Costa Deliziosa – Giro del Mondo 2015 – 06/01/2015 – 01/05/2015 di cris pat

Tra cielo e mare

Il secondo Giro del Mondo

di Stelio e Cristina

“ We shall not cease from exploration
And the end of all our exploring
Will be to arrive where we started
And know the place for the first time “
(Thomas Stearne Eliot)

“Non smetteremo di esplorare
E alla fine di tutto il nostro andare
Ritorneremo al punto di partenza
Per conoscerlo per la prima volta”

Prologo
“Chi torna da un viaggio non è mai
la stessa persona che è partita ”

Il 16 aprile 2013 finisce il nostro primo Giro del Mondo.
Tante e immense le emozioni che ci ha regalato questo viaggio
per pensare che non ci possa essere un seguito,
e così ……..
il 7 giugno 2013 si prenota.
Mancano solamente 577 giorni alla partenza del nostro secondo Giro del Mondo
con Costa Deliziosa !

 

Capitolo 1

Prima tratta

Da Savona a Valparaiso
6 gennaio – 15 febbraio

 

 

6 gennaio, Savona
La lunga e dolce attesa è finalmente terminata!

Oggi si parte o meglio si salpa per il nostro secondo giro del Mondo a bordo di Costa Deliziosa!

Dopo il trasferimento in bus da Mestre, arriviamo alle 12.30 al Palacrociere e poco dopo le 13.00 abbiamo già preso possesso della nostra cabina 5285, e fatto la conoscenza del nostro steward Bonifacio.

Tutto è filato liscio, orari rispettati, check-in e operazioni d’imbarco velocissimi, ormai conosciamo alla perfezione la nave e tutti i meccanismi che la regolano!

E’ stato come ritornare nella nostra casa dopo due anni di lontananza.

Dopo un’oretta di visita nei vari saloni la cosa che più ci ha colpito è stato il gran numero di passeggeri che già avevamo conosciuto nel precedente giro del mondo e che, come noi, hanno deciso di bissare l’esperienza.

E così i baci e gli abbracci si sono sprecati, con amici o anche semplicemente conoscenti, sia italiani sia stranieri, un po’ come ritrovarsi il primo giorno di scuola!

Abbiamo avuto la sensazione di non essere mai scesi dalla nave quel 16 aprile 2013, è stato come riannodare un filo che non si era mai spezzato!

Dopo l’esercitazione obbligatoria di emergenza, alle 17.00 in punto la nave molla gli ormeggi e parte per il lungo viaggio; è un’emozione incredibile e ci abbracciamo felici sul balcone di quella che sarà la nostra casa per i prossimi 115 giorni!

Alle 20.30 ci accomodiamo al Ristorante Albatros al nostro mitico tavolo 100, dove ritroviamo i vecchi compagni di viaggio, i “venessiani” Franco e Giorgia, i nostri consolidati amici giramondo, il “Comandante” Angelo con la sua Rina da Reggio Calabria e i due siculi “tutto fuoco” Emanuele e Angela.

C’è tutta l’Italia, Nord, Sud e pure l’isola; lo stare a tavola con questo bel gruppo sarà uno spasso e un vero piacere.

Saranno con noi per tutto il tempo, i nostri camerieri filippini Alberto ed Eric, a prima vista bravi e simpatici.

E così con tutte queste belle premesse, ci ritiriamo sfiniti ma felici, lasciando per l’indomani le piccole incombenze attinenti a una crociera così lunga, vogliamo solo godere di un sonno ristoratore, cullati dal rollio della nave e dalle onde!

 

 

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7 gennaio, Francia, Marsiglia
Oggi niente escursioni impegnative, siamo ancora stanchi per lo stress dei giorni precedenti la partenza, pertanto abbiamo deciso di prendercela comoda.

La città la conosciamo già, pertanto il nostro obiettivo di giornata (più che nostro, una fissazione di Stelio) è la ricerca di un buon ristorante dove mangiare ostriche!

Raggiungiamo il lungomare del Porto Vecchio con il bus navetta e ci facciamo una bella passeggiata nelle vie del centro storico adiacenti la zona portuale.

Già lungo i venti minuti di tragitto, ci accorgiamo di quanto sia cambiata in due anni tutta la zona portuale, oggetto di un’imponente opera di riqualificazione iniziata anni addietro e ormai pressoché completata.

In sostanza è stato rifatto tutto il tratto di collegamento dal porto nuovo, impressionante per la sua grandezza, e il porto vecchio nel centro città, un bellissimo lavoro che migliora sensibilmente tutto il waterfront marsigliese.

Dopo un tranquillo bighellonare nelle vie del centro, e passati in rassegna tutti i locali e i ristoranti che si affacciano sul lungomare, Stelio finalmente trova quello che cercava, il Ristorante Miramar, dove si può togliere lo sfizio delle ostriche!

La scelta si è rivelata ottima perché tutto è stato perfetto, dal cibo servitoci al servizio impeccabile, dalla location allo splendido sole che ci ha riscaldato, visto che abbiamo mangiato all’aperto.

E così, soddisfatti per questa prima uscita, ce ne torniamo alla nave che alle 18.00 salpa alla volta di Barcellona, da cui la separano 191 miglia.

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8 gennaio, Spagna, Barcellona
Oggi si arriva a Barcellona, tappa per noi poco significativa, dopo la brutta esperienza vissuta due anni fa (furto dello zaino con tablet, sigh)!

Il nostro programma prevede un giretto in città, senza stress e soprattutto senza alcuna cosa di valore appresso, onde evitare ….

Pertanto con un taxi ci facciamo portare sul punto panoramico del Montjuic per avere una visione completa della città vista dall’alto.

La vista è senz’altro bella, anche grazie a un bel cielo limpido che inonda di luce tutto il panorama.

Ci facciamo quindi portare in città, in Plaza de Catalunya, dove ha inizio la Rambla, che percorriamo in tutta la sua lunghezza a un’andatura turistica. Questa volta niente shopping da Custo!

Immancabile la sosta al mercato della Boqueria, dove ci facciamo gli occhi su ogni genere di bendidio mangereccio e ci rifocilliamo con il solito piattino di ostriche.

Ritorniamo in tutta tranquillità sulla nave, non senza aver approfittato del Wi-Fi della stazione marittima, moderna, pulita e funzionale!

Alle 19.00 si salpa per Casablanca, dove arriveremo dopo un giorno di navigazione e aver percorso 710 miglia. Adios Barcellona, la nostra crociera comincia ora!!

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9 gennaio, Mar Mediterraneo, in navigazione
Oggi primo giorno di navigazione !
Si comincia a prendere contatto e conoscere il team dell’animazione, in primis le istruttrici sportive, la romana Nicoletta e la brasiliana Ana Luisa: saranno le mie compagne di giochi preferite!

Mi aspetta un bel programma giornaliero di attività motorie, dal risveglio muscolare alla ginnastica più tosta; la prima impressione è più che positiva e sicuramente avrò di che sudare.

Primo contatto anche con il burraco di bordo….ma che disastro!

C’è il primo incontro di conoscenza dell’eterogeneo gruppo di burrachisti: si va dai “quasi professionisti” come noi e i nostri amici Franco e Giorgia, modestia a parte, ai dilettanti allo sbaraglio, da quelli che “so tutto io” a quelli che “io non capisco niente ma voglio giocare lo stesso”!

La paziente e volonterosa Vania, capo di tutta l’animazione, e la sua assistente Marina passano una difficile mattinata, nel tentativo di mettere tutti d’accordo; alla fine riescono ad organizzare una parvenza di torneo, che finirà senza vinti né vincitori, visto che si trattava di una prova…..ma temo che si dovrà provare ancora un po’!

Ci vorrà tanta pazienza e collaborazione da parte di tutti per cominciare a divertirsi con questa attività !

Nel pomeriggio prima corsa sul ponte 3, 10 giri (6 Km) tanto per rompere il fiato! Naturalmente Stelio non riesce a starmi dietro, mentre gli riesce meglio stare sdraiato sul lettino a prendere il sole sul ponte 11.

Immancabile l’appuntamento del cocktail di benvenuto del Comandante Serra, che presenta ai passeggeri tutto il suo grande Staff.

Stasera è in programma la prima cena di gala, ma noi preferiamo cenare al Ristorante Costa Club, per avere la possibilità di assistere, durante la cena, al passaggio per lo Stretto di Gibilterra, che ci gustiamo momento dopo momento, unitamente a dell’ottimo cibo e vino, serviti con un impeccabile servizio! Una bella serata, veramente!

Per finire la giornata, balli sfrenati al Gran Bar Mirabilis, con la conoscenza del team dei ballerini, i brasiliani Carlos, Thiago, Lia e la torinese Giusi.

Indovinate con chi ballerà Stelio!

 

 

10 gennaio, Marrocco, Casablanca
Alle prime luci del giorno si avvistano le coste marocchine e verso le otto la nave ormeggia nel porto di Casablanca.

Con una certa delusione notiamo che siamo sistemati nel pieno del porto commerciale, dove l’unica vista è costituita da migliaia e migliaia di container, quindi non c’è nulla d’interessante da immortalare in questo nostro primo approccio con questo paese.

Oggi è in programma la prima escursione con Costa, il tour della Città di Casablanca.

Non essendoci una stazione marittima passiamo direttamente dalla nave al bus, dove ci accoglie la nostra guida, il solito Mohammed di turno……ammettiamolo, siamo un po’ prevenuti con i marocchini!

Il nostro Mohammed, conscio di ciò, ci accoglie subito con una battuta : “Voi italiani vi lamentate che avete tanti marocchini in Italia!

Cosa dovremmo dire noi che in Marrocco ne abbiamo molti di più?“.

Bene, il tour può cominciare in un clima da gita scolastica, a bordo ci si conosce tutti e le battute si sprecano.

Vedremo in ordine il vecchio quartiere di Habous con la Medina, i tipici negozi di artigianato e il pittoresco mercato delle olive; poi via verso il Palazzo Reale, la Chiesa di Notre Dame de Lourdes e la bella Piazza Mohamed V.

Poi, la cosa più bella, la visita della bellissima Moschea di Assan II, splendida costruzione sulle rive dell’Atlantico, unica per la sua concezione di luogo di culto aperto alle tre religioni monoteistiche, islamismo, cristianesimo ed ebraismo.

Lo splendido sole che illumina il cielo fa risaltare ancor più i magnifici contrasti di colore.

Si riparte verso la Corniche, il lungomare della città, con i suoi locali, le spiagge e le piscine; altra piccola sosta per un caffè e un paio di foto panoramiche.

Ultima sosta nel quartiere ebraico in un negozio di erboristeria, dove ci sorbiamo una conferenza di un dottore/stregone che ci illustra le proprietà magiche di tutte le erbe e le spezie coltivate in Marocco, cosa assai interessante per molti, ma una gran barba per me, molto scettica in materia!

Stelio naturalmente si fa convincere e acquista pure una boccetta magica di olio di argan per combattere la sua cervicale!

Mah, io non ho nessuna fiducia e continuerò a massaggiarlo con il Voltaren Gel.

Rientriamo quindi in porto, dopo aver attraversato il quartiere residenziale di Anfa e il centro cittadino, tutto sommato tranquillo e con un traffico abbastanza educato.

Poiché la nave salperà solamente alle 23.00, ci sarebbe tutto il tempo di uscire di nuovo da soli per continuare la visita della città, ma noi decidiamo di rimanere a bordo; quello che abbiamo visto, interessante fin che si vuole, ci può bastare e Casablanca non è poi una città così affascinante come potrebbe sembrare nell’immaginario collettivo.

Comunque abbiamo gradito molto l’escursione e la guida è stata chiara, esauriente e soprattutto simpatica.

Come prima gita, tutto ok, soprattutto niente shopping, per questo aspettiamo mete più accattivanti….Stelio e il portafoglio ringraziano !

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11 gennaio, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi è il primo dei tre giorni di navigazione che ci porteranno nell’arcipelago di Capo Verde e più esattamente nell’isola di Sao Vicente, distante 1.398 miglia.

A differenza di altri passeggeri, i giorni di navigazioni non ci preoccupano minimamente, consci del fatto che a bordo ci sarà talmente tanto da fare che non basterà il tempo che abbiamo a disposizione!

Il programma del giorno, il “Today”, che ci viene recapitato in cabina ogni sera, è così ricco di attività, che risulta quasi difficile scegliere cosa fare, perché si vorrebbe fare tutto o quasi, così tocca fare delle scelte e sacrificare qualcosa.

Io mi butto a capofitto nelle attività sportive e danzanti, con i corsi di ginnastica, la zumba, la corsa sul ponte 3 e i vari corsi di ballo; non potendoli fare tutti, decido di puntare sul tango argentino, il cha cha cha, la bachata, il forrò (ballo brasiliano) e il nostro amato country….può bastare!

Per oggi niente burraco, niente letture, niente computer solo attività fisica, poi nei prossimi giorni si vedrà, bisognerà trovare il giusto equilibrio fra le tante attività, per non stancarsi troppo all’inizio di questo lungo viaggio, viste le fatiche future che ci attendono al varco.

Stelio si occupa invece di organizzare i servizi telefonici e le connessioni internet a bordo, oltre a studiare e prenotare le escursioni della prima tratta di crociera.

Per non parlare di tutte le “ciacole” che si fanno con i vecchi amici e con quelli nuovi che ci siamo già fatti.

Per fortuna le nostre conoscenze linguistiche ci permettono di relazionare con gente di tutta Europa, solo sul portoghese siamo un po’ carenti, ma io mi sto già istruendo perché voglio arrivare preparata in Brasile e in questo, posso contare sull’aiuto dei ragazzi brasiliani dello staff….obrigada!

Poiché è domenica, non poteva mancare il calcio! Fin tanto che sulla televisione in cabina si vedono le trasmissioni di Sky, ne approfittiamo, perché sappiamo che fra qualche giorno si perderà il segnale; e allora ci gustiamo le partite dell’odierna giornata di campionato….e l’Inter ha pure vinto!

Non siamo ancora pronti a smettere di mangiare pane e calcio, perciò la cura di disintossicazione può aspettare.

Per finire questa “stancante” giornata, qualche salutare giro di ballo nel nostro locale preferito, il Gran Bar Mirabilis, prima di crollare nel nostro letto.

 

 

12 gennaio, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi più o meno come ieri, solo un po’ meno dinamica !

Dopo la ginnastica per me, il tango e la bachata con Stelio, anche un po’ di cultura: alle 11.00 ci aspetta il Professor Carlo Scopelliti con una bella conferenza sui “Portoghesi nell’Oceano Atlantico”, tanto per darci un’infarinatura storico geografica sulle prossime mete che andremo a visitare.

Il Professore ormai lo conosciamo bene, ma a ogni sua conferenza rimaniamo colpiti dalla sua preparazione e dalla sua oratoria che rende tutti gli argomenti trattati chiari e affascinanti.

Nel pomeriggio mi butto in piscina per l’acqua gym, ma dopo pochi minuti rinuncio perché l’acqua è un po’ “freddina”….ci sarà tempo anche per questo, e poi non voglio stancarmi troppo perché stasera dopo cena mi aspetta la serata con la musica e i balli degli anni 80!

 

 

13 gennaio, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi, dopo la solita ginnastica mattutina, mi attende il primo incontro con i giocatori di pallavolo, un’altra delle mie attività preferite, per non dire la prediletta!

Sotto la supervisione dell’istruttrice Nicoletta riusciamo a formare un composito gruppo di otto giocatori di varie nazionalità, neanche dirlo, sono l’unica donna!

Ritrovo anche il tedesco Juergen, compagno di tante partite due anni fa.

Essendo il primo giorno di gioco, ci limitiamo a palleggiare, ci sarà tempo per partite e tornei.

Io comunque riesco a farmi male lo stesso, un dito insaccato, ma non mollo e gioco fino alla fine del tempo stabilito.

Non vedo l’ora di cominciare a fare sul serio! Stelio, in tribuna, si diverte a fotografarmi e, naturalmente, è orgoglioso della sua pallavolista preferita!

Anche se provata dalle fatiche sportive, prima di pranzo, trovo ancora la forza per una mezz’oretta di samba, mentre Stelio si riposa dalle fatiche fotografiche, sdraiato sul lettino a bordo piscina, criticando il mio modo di ballare.

Nel pomeriggio, partecipiamo al nostro primo torneo di burraco.

Grazie ai lodevoli sforzi delle animatrici Vania e Marina, la situazione sembra essere sotto controllo e le cose cominciano a funzionare come dovrebbero.

C’è anche da dire che noi abbiamo fornito alla Costa tutta la modulistica occorrente per giocare e il regolamento di gioco, che c’eravamo portati da casa, immaginando che a bordo non li avremmo trovati……la Costa ci ringrazia!

Vincono il torneo i nostri amici svizzeri Tarcisio e Anita, ai quali avevamo insegnato il gioco durante la crociera di due anni fa…per la serie “quando gli allievi superano i maestri”.

 

 

14 gennaio, Capo Verde, Sao Vicente, Mindelo
Alle 8.00 facciamo il nostro ingresso nel Porto Grande di Mindelo, capoluogo dell’isola di Sao Vicente nell’arcipelago di Capo Verde.

Il panorama che ci si prospetta è brullo, data la natura vulcanica dell’isola, in più c’è una grande foschia unita ad un forte vento, ma noi, abituati alla bora, non ci impressioniamo più di tanto e partiamo alla conquista dell’isola, in compagnia degli amici Franco e Giorgia, Angelo e Rina, Luciano e Tina.

Stelio assume subito il comando delle operazioni, che non mollerà più fino a fine giornata, ormai è lui il capo branco e, vista la sua naturale inclinazione al comando e la sua deformazione professionale di organizzare tutto e tutti, non è escluso che, prima della fine della crociera, il Comandante Serra se lo ritroverà in plancia di comando a dare ordini e dettare le istruzioni alla ciurma!

Dopo le solite estenuanti trattative con i tassisti locali, Stelio si accorda con un certo Antonio che, per la ragionevole cifra di 80,00 Euro, ci scorazzerà in giro per l’isola con il suo pulmino Toyota, sul quale fa salire anche un suo amico, Silvin, che dovrebbe farci da guida.

Prima meta il Monte Verde, il più alto rilievo dell’isola con i suoi 750 metri; ci arriviamo dopo mezz’ora di tragitto su una stradina acciottolata, tutta curve, senza guard rail e a strapiombo sulla vallata, un viaggio non proprio piacevole, ma con la prospettiva di godere, una volta in cima alla montagna, di uno splendido panorama sull’isola e sull’oceano.

Purtroppo tutta la visuale è offuscata dalla nebbia e il vento che tira ci impedisce qualsiasi movimento; perciò tutti di nuovo sul pulmino e giù verso il mare ripercorrendo a ritroso la “bellissima” strada appena fatta.

Seconda sosta nella Baia das Gastas, località famosa per un festival internazionale di musica che vi si tiene ogni anno, almeno qui non c’è vento.

La spiaggia è la preferita e la più frequentata dai mindelesi, protetta contro il mare aperto da una barriera rocciosa; a noi però sembra desolante, come del resto tutta l’isola.

Attraversiamo poi un paesino di pescatori, Calhau, di una povertà incredibile, misere casette in riva al mare, non si vede anima viva, a parte un mendicante.

Proseguiamo lungo la costa e ci fermiamo alla Praia Grande, per ammirare lo spettacolo delle onde di un oceano abbastanza incazzato.

Rientriamo quindi verso la città, attraversando lande desolate, niente paesi, ogni tanto una baracca o una casa diroccata, qualche capra e tanti cani randagi.

Riusciamo a vedere anche l’unica zona agricola dell’isola, tanto magnificata dal nostro autista, ma, secondo noi, poco più grande di qualche orto di casa nostra.

Arriviamo in città e ci fermiamo nell’Avenida Cabral, dove si eleva la Torre di Belem che si affaccia sul mercato del pesce, assai animato e uno dei più importanti di tutto l’arcipelago.

Qui ci congediamo da Antonio e da Silvin, il quale, per inciso, non ha detto una parola per tutto il viaggio….meno male che doveva farci da guida!

Passeggiamo per le stradine adiacenti la piazza Estrela, dove si trova il mercato comunale e dove compriamo i soliti poveri souvenir.

Pranziamo in un ristorante consigliatoci dal tassista, che si chiama O Cocktail: gamberi alla griglia , innaffiati da un buon vino bianco locale; il locale è pulito, il personale abbastanza amichevole, rapporto qualità prezzo decente.

Per finire una passeggiata sul lungomare Avenida Cabral dove ammiriamo, si fa per dire, gli edifici, sia pubblici che privati che vi si affacciano, in stile portoghese, dipinti in vari colori, che danno a tutto l’ambiente un carattere prettamente coloniale.

Ce ne torniamo a piedi sulla nave, soddisfatti della nostra giornata a terra.

Il posto avrà anche il suo fascino, ma sicuramente non è incantevole e noi non pensiamo minimamente di venire in futuro a passare qui le nostre vacanze !

Alle 18.00 la Deliziosa parte alla volta del Brasile, dove arriveremo fra quattro giorni, a Recife, dopo aver percorso 1618 miglia marine.

Serata movimentata a base di disco music….e vai, tutti in pista !

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15 gennaio, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi prima di quattro giornate di navigazione, apparentemente lunghe e noiose ma in realtà vivaci e dense di impegni.

Prima cosa al mattino, pianificare bene gli impegni dopo un’attenta lettura del “Today”, con la scelta degli obiettivi di giornata.

Per me è facile perché metto la crocetta su tutti, o quasi, gli appuntamenti sportivi.

Oggi però, e temo anche domani, devo rinunciare a tutte le attività motorie perché i miei muscoli sono inzuppati di acido lattico, residuo della pallavolo di due giorni fa; purtroppo quando gioco a pallavolo mi dimentico di non essere più una ragazzina!

Pertanto oggi attività più tranquille e sedentarie, tipo una bella conferenza del Professor Scopelliti sui “Misteri dei primi americani”, un po’ di cultura non fa male !

Nel pomeriggio il solito torneo di burraco, che di volta in volta risulta sempre più piacevole perché ormai la tenace Vania ha in mano la situazione e riesce ad imporsi sui giocatori anarchico-casinisti….e brava Vania!

I risultati ancora non ci premiano e riusciamo a perdere anche dai dilettanti….quando non gira non gira !

Dopo il burraco è la volta del karaoke.

Sono la prima a cantare nel primo karaoke organizzato a bordo, e ancora non so a che destino andrò incontro!

Infatti, finita la mia esibizione vengo contattata dal Professor Giorgio Montagner, massima autorità musicale di bordo, il quale si complimenta con me e mi propone di partecipare al “C Talent Show”, ovvero una specie di X Factor, uno spettacolo vero in teatro, fatto dai comuni passeggeri.

Io non credo alle mie orecchie, visto che è una vita che mi sento dare della stonata.

Fatto sta che accetto la proposta e mi imbarco in questa nuova avventura, fatta di prove su prove con l’esimio Maestro per arrivare preparata al grande giorno.

Stelio, naturalmente non sa ancora nulla, perché quando io canto al karaoke lui si eclissa o finge di non conoscermi.

Provate a immaginare la sua reazione alla grande notizia che farò parte del cast del C Talent!

Tutto il suo incoraggiamento è un “ma sei impazzita?”.

Naturalmente, una volta rassegnato all’idea, mi seguirà orgoglioso passo dopo passo e so già che si agiterà più di me!

Per completare questa giornata gloriosa, una bella chiacchierata con il Direttore di crociera Gaetano e la Guest Relation Manager Margherita, per discutere di un progetto editoriale della Costa che mi vedrà coinvolta……vedremo cosa succederà nei prossimi giorni.

E per finire, serata di gala con a seguire la gara di ballo classico, cui Stelio è iscritto d’ufficio in coppia con la francese di colore Cecile, visto che io non sono alla sua altezza dal punto di vista danzante!

Alla fine trionferà una coppia tedesca, ma Stelio e la sua ballerina, che ballavano insieme per la prima volta, si esibiscono in una splendida performance che riscuote gli apprezzamenti del pubblico, una gran bella soddisfazione per uno che fino a due anni prima zompettava con le stampelle!

 

 

16 gennaio, in navigazione
Mentre la Deliziosa prosegue il suo navigare in un oceano Atlantico molto tranquillo, quasi liscio come l’olio, incappiamo nel nostro primo incidente di percorso.

Stelio, semplicemente camminando, si procura una contrattura al muscolo tibiale della gamba sinistra ed è costretto a ricorrere per la prima volta dall’inizio della crociera alle cure del centro medico, dove è visitato e dimesso con antidolorifici e stampella, diagnosi tre giorni di stop.

Secondo me cercava una scusa per poter rivedere la bella caposala Bianca, che già aveva conosciuto nel precedente viaggio, la quale, vedendolo, ha esclamato: “ Oh no, ancora qui! “

Pertanto, giornata forzatamente tranquilla, Stelio “stampellato” ed io ancora col mio acido lattico, perciò via con un programma di sane letture, torneo di burraco (vittoria sfiorata) e pubbliche relazioni con …. qualche centinaio di passeggeri, ormai conosciamo quasi tutti e “ciacoliamo” a tutto gas, dando libero sfogo al nostro multilinguismo, da troppo tempo ingabbiato fra noneso e bisiaco !

Finiamo la serata, comodamente seduti al Gran Bar, stasera non si balla !!!!!

 

17 gennaio, in navigazione
Stelio sta già meglio, gli antidolorifici e i miei massaggi con Voltaren hanno fatto effetto, pertanto si può muovere e seguirmi, in qualità di accompagnatore / fotografo / istruttore / critico nelle mie varie attività: palestra, piscina, ponte 11 per prima abbronzatura, corso di tango, corso di bachata, ecc. ecc.

All’ora di pranzo grande festa in piscina con tutto il team dell’animazione per festeggiare l’attraversamento dell’equatore: oggi infatti la Deliziosa lascerà l’emisfero boreale per quello australe.

Nel pomeriggio, mentre io mi scateno nuovamente sul campo di pallavolo, Stelio tiene una lezione sulle regole del burraco ai burrachisti dilettanti e indisciplinati, coadiuvando Vania, che sta diventando di volta in volta sempre più brava e autoritaria, ormai a suo agio nel ruolo di organizzatrice di torneo ed arbitro.

Dopo cena Stelio, con un’azione degna di Enrico Toti, butta la stampella e si lancia di nuovo in pista per ballare i suoi balli preferiti con le sue ballerine preferite, le belle e brave Lia e Giusy……non riesco proprio a tenerlo a freno !

 

 

18 gennaio, in navigazione
Alle 6.00 di mattina siamo già svegli!

Il quarto cambio di fuso orario comincia a far sentire i suoi effetti, ora siamo a -4 ore indietro rispetto all’ora italiana e pertanto siamo i primi alle 6.30 al buffet della colazione….che pace !

Proseguendo la nostra navigazione verso Recife, verso le 10.00 la Deliziosa costeggia l’Arcipelago de Ferdinando de Noronha ad una distanza di circa 2,5 miglia, un gruppo di isole e rocce di origine vulcanica appartenente allo stato del Brasile, dalle cui coste dista 200 miglia.

Oggi ultimo giorno tranquillo, si fa per dire, prima del tour de force che ci aspetta nei prossimi giorni in Brasile: ginnastica, corsi di ballo, pallavolo, jogging e solarium riempiono la nostra giornata, ma dopo cena subito a nanna, cotti dal primo sole equatoriale e dalle fatiche sportive.

Qualche considerazione su queste prime due settimane di crociera :
La nave e i suoi servizi c’erano già noti, pertanto nessuna sorpresa, bell’ambiente, sia come passeggeri, sia come equipaggio……ci sembra di essere a casa nostra.

La qualità dei servizi è ottima e tutto è organizzato nel migliore dei modi.

La cucina ci offre giornalmente le sue prelibatezze e non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Le giornate di navigazione, almeno per noi e per i nostri amici, sono sempre super impegnate e non conosciamo il significato della parola “noia”.

Le poche escursioni a terra, pur sapendo prima che le tappe iniziali sarebbero state le meno interessanti, sono state comunque soddisfacenti, sia quelle organizzate da noi sia quella fatta con Costa.

Per finire, siamo sempre stati assistiti dal bel tempo e il mare, soprattutto l’oceano, è stato sempre tranquillo, e, se si è ballato, lo si è fatto solo a suon di musica!

 

 

19 gennaio, Brasile, Recife
Finalmente Brasil, o paìs tropical!

Oggi, per la prima volta in vita nostra, tocchiamo terra in questo paese che, nel comune pensare, è sinonimo di spiagge, samba e allegria, speriamo di non rimanerne delusi!

Alle 7.00, accolta da uno sky line di grattacieli affacciati su una lingua di spiaggia, la Deliziosa entra nel grande porto di Recife, capitale dello stato di Pernambuco, città di tre milioni di abitanti che si stende là dove il fiume Capibaribe si getta nelle acque dell’Atlantico.

Siccome siamo poco più a sud dell’equatore, qui é piena estate e si prevedono per oggi temperature elevate e un’alta percentuale di umidità; pertanto dobbiamo
essere ben attrezzati (crema solare, cappello, tanta acqua) per affrontare l’escursione Costa all’Isola di Itamaracà, che durerà ben otto ore.

Il nostro gruppo è ristretto, siamo solo in sedici a salire sul pulmino che ci porterà alla meta, più la nostra guida locale Francisco, simpatico e loquace, con una bella padronanza della lingua italiana. Ci fa compagnia anche il simpatico Christian del Tour Office, in regime di “semi-libertà”

Ci accorgiamo subito che le strade extraurbane sono abbastanza dissestate e piene di buche e ci sembra di essere dentro uno shaker per via dei continui sobbalzi; inoltre quello che vediamo dai finestrini non è affatto piacevole: il panorama è abbastanza misero, città e paesi abbastanza poveri, un susseguirsi ininterrotto di costruzioni brutte, diroccate, mai terminate, un’accozzaglia di negozi, baracche, capannoni, casupole, terreni incolti, animali randagi e tanta, tanta immondizia per le strade; non si tratta di favelas, ma di normali paesi, dove la gente vive sempre in strada, nel caos più totale, non era questo quello che ci si aspettava!

Dopo più di un’ora di viaggio, raggiungiamo la prima tappa: Il Centro per la
protezione del lamantino (o dugongo) di Ibama, una base di studi e tutela di una delle più preziose specie in via di estinzione.

Stelio è un grande appassionato di animali e aspetta con ansia questa esperienza.

Vediamo alcuni esemplari in grandi vasche, ma niente di più; anche qui si nota
subito una certa trascuratezza.

Si prosegue quindi verso la seconda tappa, la spiaggia di Itamaracà, dove ci attende un catamarano che ci porterà sull’isoletta di Coroa do Aviao, le cui coste sono bagnate dall’Atlantico su un lato e dal fiume sull’altro.

Nel momento in cui salpiamo, questo fazzoletto di terra è circondato dalla bassa marea, e si vedono fuoriuscire dall’acqua delle lingue di una sabbia bianchissima, dove dei pescatori pescano vongole e granchi.

Visto dall’alto della barca è uno spettacolo splendido, quest’alternanza di colori, il turchese dell’acqua e il bianco della sabbia, mai avevamo visto una cosa del genere.

Prima di toccare terra sull’isolotto ci facciamo anche un bel giro nella vicina laguna, dove possiamo ammirare dei boschi di mangrovie e i pescatori di ostriche.

Quindi, eccoci sulla nostra isola: spiaggia, palme e qualche baracchetta dove
servono cibi e bevande, chiamarli bar e ristoranti sarebbe eccessivo!

Ci accomodiamo a un tavolo con gli amici torinesi Anna e Arrigo; ci viene
servito del pesce fresco con verdura, ma le condizioni igienico sanitarie non offrono grandi garanzie, quindi meglio non rischiare.

E per digerire, io mi faccio a piedi ben tre giri dell’isola, mentre Stelio approfitta di una amaca sotto le palme, gentilmente messa a disposizione dal “ristoratore”,
questa si che è vita!

Il grande caldo non dà fastidio, perché spira un bel venticello.

La sosta sull’isola dura tre ore, dopodiché ripercorriamo a ritroso la stessa strada fatta all’andata e per finire facciamo, sempre in bus, un giro panoramico del centro città di Recife: qui la situazione è decisamente migliore rispetto alle aree extraurbane, ma comunque non possiamo considerare Recife una gran bella Città !

Dopo cena, per festeggiare l’arrivo in Brasile, Brazilian Party in piscina, a base di samba e forrò; Stelio, provato dalla giornata, dove peraltro ha tenuto botta alla grande, rinuncia a ballare, mentre io, con le forze residue, mi “scateno” in balli per me fin’ ora sconosciuti.

La prima giornata in terra brasiliana non sarà memorabile, ma noi ci ritiriamo comunque soddisfatti e felici….come sempre!

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20 gennaio, Brasile, Maceiò
Oggi seconda tappa brasiliana, la città di Maceiò, capitale dello stato di Alagoas, dove sosteremo solo sei ore.

Da quello che abbiamo capito, la città non è molto diversa da Recife, cioè niente di eccezionale, perciò il nostro programma odierno prevede una tranquilla mattinata in spiaggia, niente escursioni, niente City tour.

Navetta per uscire dal porto e taxi per la spiaggia più vicina, la Praia de Avenida, in compagnia di Franco e Giorgia.

Anche qui notiamo abbastanza sporcizia ,trascuratezza e maleducazione, ma da parte dei locali, non certo dei turisti.

E’ un vero peccato rovinare dei posti così belli, per mancanza di educazione o senso civico, che qui assolutamente latitano.

D’altra parte, ci siamo anche accorti che questi brasiliani vivono in allegria, sono sempre felici, a dispetto magari della situazione economica non propriamente ottimale per loro, e soprattutto non lesinano in sorrisi e cortesie.

L’acqua del mare non è limpidissima ma è calda ed invoglia a farci un tuffo, ma niente a che vedere con le acque e le spiagge
caraibiche.
Prima di rientrare in nave, vista al Pavillhao de Artesanato, nome altisonante per un mercato di prodotti artigianali, dove ci limitiamo all’acquisto di pochi souvenir; la gente del posto parla solo portoghese, accetta solo valuta brasiliana e non ammette la contrattazione, pertanto Giorgia ed io non siamo tanto invogliate ad acquistare, Franco e Stelio ringraziano.

Alle 14.00 salpiamo alla volta di Salvador de Bahia, distante 282 miglia.

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21 gennaio, Brasile, Salvador de Bahia
Lo sky line che ci accoglie oggi è sempre lo stesso, una distesa immensa di grattacieli: è questa la prima immagine che cogliamo di Salvador de
Bahia, capitale dello stato di Bahia, tre milioni di abitanti che con altri dodici milioni occupano una regione che è grande due volte l’Italia.

Salvador, fondata dai portoghesi nel 16° secolo e prima capitale dello stato del Brasile, è ritenuta da tutti una delle più belle e affascinanti città del Brasile e noi andremo a verificarlo con l’escursione Costa in programma oggi per noi.

A bordo di un comodissimo pullman (ci sono persino gli strapuntini per allungare le gambe) e con la nostra guida locale Verena, partendo dalla
città bassa ci inerpichiamo sulle stradine che portano alla città alta; arriviamo alla Praca Municipal, dove si trova il Palacio dell’Assemblea, La
Prefeitura Municipal e l’Elevador Lacerda, la teleferica che congiunge città bassa e città alta, e vediamo dall’alto la zona portuale dove la nostra
nave fa bella mostra di sé.

Di qui proseguiamo a piedi nel centro storico, attraverso vie tortuose, sia per le pendenze che per la pavimentazione fatta di ciotoli, non certo il terreno favorito dalle gambe di Stelio.

Ammiriamo i bellissimi palazzi con il loro stile architettonico portoghese, dai
colori variegati, di recente ristrutturazione, ma soprattutto le splendide chiese, situate nel Terreiro de Jesus, veri e propri musei d’arte, come la Chiesa di San Francesco e la barocca Chiesa di Sant’Antonio; persino noi, non troppo appassionati di chiese, rimaniamo a bocca aperta davanti a tanta bellezza e tanta ricchezza.

La nostra guida è bravissima e tutto il gruppo la sta ad ascoltare in “religioso” silenzio, mentre ci spiega tutto, ma proprio tutto, di questi tesori, che, è bene farlo presente, sono fruibili da tutti, in quanto queste chiese sono aperte tutti i giorni per le funzioni religiose.

Proseguiamo quindi il nostro tour a piedi verso il largo del Pelourinho, il centro storico più famoso del Brasile, simbolo della città, patrimonio mondiale dell’Unesco, una via in discesa che porta alla Cattedrale, dove tutti gli edifici sono stati recuperati dopo un periodo di degrado e ristrutturati mantenendo lo stile originale, una tavolozza di colori che rendono unico questo posto.

Ci sono migliaia di turisti che affollano le vie e i tantissimi negozietti di prodotti artigianali e di souvenir; nelle strade si esibiscono piccole bande di percussionisti e le donne bahiane, altro simbolo di questa città, con i loro tradizionali costumi.

Finalmente, dopo le grigie città di Recife e Maceiò, vediamo una città dai
mille colori, il verde oro che trionfa su tutti, e respiriamo la vera atmosfera brasilera, tutta suoni, canti, colori, allegria.

Ci concediamo anche una piccola sosta, perché il caldo e la fatica si fanno sentire. Mentre siamo seduti al tavolino di un bar, facciamo conoscenza di una giovane coppia di italiani in vacanza per tre settimane in Brasile e, chiacchierando, veniamo a sapere che sono di Bolzano, che abbiamo degli amici in comune e
soprattutto, che passano le vacanze estive a Castelfondo, il mio paese……il mondo è proprio piccolo!!

Risaliamo quindi sul nostro bel pullman e cominciamo il viaggio di rientro, passando per la zona residenziale con le sue vecchie ville dell’epoca coloniale, per la zona popolare con i suoi grattacieli, la zona costiera con il suo bellissimo faro e, dopo aver attraversato il quartiere Barra, facciamo l’ultima sosta al Mercado Modelo, mercato di prodotti tipici del luogo e principale centro di artigianato della città, posto affollatissimo sia di turisti che di locali.

Assistiamo ad un’esibizione di capoeira, una specie di lotta danzata, tipica di Bahia e ci scateniamo, si fa per dire, negli acquisti di magliette, magneti e pins.

Nell’allegro caos brasiliano alcuni dei nostri compagni di viaggio si sono persi e sono stati recuperati da altri bus, in compenso noi abbiamo salvato sul nostro pullman passeggeri di altri gruppi a loro volta dispersi.

Dopo quasi cinque ore, rientriamo sfiniti dal caldo (32°) e dall’afa (80%
di umidità) al fresco della nostra Deliziosa, che nel frattempo è stata raggiunta in banchina dalla sorella Favolosa.

Bellissima città, anche se, bisogna avere mille occhi, i ladruncoli sono dietro ogni angolo, e non si può mai stare tranquilli.

In serata assistiamo allo spettacolo “ C talent show”, dove si esibiscono sei passeggeri nelle varie sezioni di musica, danza, canto!

Aiuto, la prossima volta toccherà a me!!!

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22 gennaio, in navigazione
Dopo le fatiche delle tre tappe brasiliane, ci vuole proprio un giorno di riposo prima di affrontare lo sbarco a Rio de Janeiro!

E allora via alle solite attività di bordo, per lo più sportive, corsa, pallavolo e nuoto, intervallate da corsi di ballo; in vista della festa di carnevale in programma questa sera, un bel ripasso di forrò ed i primi rudimenti di samba impartiti da maestri di ballo brasiliani saliti a bordo per l’occasione.

Ma quanto si suda su questa nave, vuoi per il movimento, vuoi per il caldo torrido che ci affligge…..ma dopotutto siamo in piena estate australe!

E la sera, via col carnevale di Rio in miniatura!

Grazie al lavoro eccezionale di Carola, la ragazza dalle mani d’oro, moltissimi ospiti possono sfoggiare i costumi creati a bordo per l’occasione, e tutti i ragazzi dell’animazione, con Vania in testa, si scatenano nella sfilata di carri e
maschere, trascinando con sé anche i passeggeri più refrattari a questo genere di feste.

Una gran bella festa!

 

 

23 gennaio, Brasile, Rio de Janeiro
Verso mezzogiorno la Deliziosa fa il suo ingresso nella baia di Guanabara, dove ci accolgono subito i tre simboli di Rio: il Pan di Zucchero, la spiaggia di Copacabana e, seppur in lontananza, la statua del Cristo Redentore.

Ci vorrà più di un’ora prima di attraccare al porto, al Pier Maua, ed
io, inchiodata sul ponte 11 a sparare foto a tutto le meraviglie che mi si presentano, rimedio la mia prima bruciatura solare; tanta è l’emozione di
trovarmi in questo posto da sogno, che non mi accorgo di avere la schiena abbrustolita!

Giusto il tempo di pranzare e poi via per la nostra escursione Costa, con meta il Pan di Zucchero: è un dei numerosi morros (colline) che fanno da
cornice alla città; è una collina alta 395 metri e domina la baia di Guanabara.

Il porto si trova proprio in città e ci accorgiamo subito che tutta la zona portuale e gran parte del centro cittadino sono un enorme cantiere: si sta infatti lavorando per preparare la città per i Giochi Olimpici che qui si terranno l’anno prossimo.

La nostra prima impressione è che i lavori siano ancora lontani dall’essere completati e non si capisce bene se i brasiliani ce la faranno a finire tutto in tempo!

Nonostante i cantieri, il traffico non è caotico come ci si potrebbe aspettare in una città di dieci milioni di abitanti e dalla orografia così complicata: è tutto un susseguirsi di viali, colline, tunnel, spiagge, baie e non è facile orientarsi.

Lasciato il porto, ci addentriamo nel centro città, una vera e propria giungla di grattacieli, accanto ai quali sopravvivono alcune significative testimonianze del passato coloniale portoghese: il centro è occupato in gran parte da edifici dove si concentrano le attività di commercio e gli affari, e che sono abitati solo in orario lavorativo.

I carioca, così si chiamano gli abitanti di Rio, finito di lavorare, lasciano il centro e ritornano nelle loro abitazioni, chi nei quartieri residenziali della borghesia benestante, chi nei quartieri della classe media, e chi nelle favelas, ammassi di baracche ai margini della zona residenziale.

A un passo dalle grandi avenidas non mancano vicoli e viuzze inaspettati in una metropoli moderna, e, a fianco di centri commerciali dalle dimensioni esagerate, sopravvivono i mercati rionali e bancarelle di venditori ambulanti.

Costeggiamo con il nostro bus il Parco de Flamengo (un’area verde situata lungo la costa, uno spazio di 120 ettari destinato a parco pubblico, molto curato e attrezzato con campi sportivi e da gioco, piste da pattinaggio e da jogging, il monumento ai Caduti della seconda guerra mondiale) e la Praia de Botafogo, dove hanno sede alcuni fra i più noti club nautici.

Arriviamo alla Praia Vermelha nel quartiere di Urca, dove si trova El Teleferico Pao de Azucar che ci dovrà portare con la prima tratta (220 metri) fino al Morro de Urca e da qui con una seconda cabina in vetta.

Sono le 15.30 e, secondo la nostra guida dopo un paio di ore dovremmo essere di nuovo sul bus per continuare il giro della città.

Peccato che, una volta scesi dal pullman, si stenda davanti a noi, in fila ordinata, una folla oceanica!

Stelio, al quale per poco non viene un colpo, impaziente com’è, sta già pensando di rinunciare alla salita, ma io lo convinco ad attendere …” la coda è veloce, le cabine sono capienti, le corse durano tre minuti, non durerà a lungo, ecc. ecc.”.

Ci mettiamo pazientemente in coda e dopo la bellezza di due ore abbiamo
appena raggiunto la stazione intermedia!

Passate due ore e mezza, Stelio, stanco e afflitto da un tremendo mal di schiena, si arrende e riscende a valle, rinunciando a proseguire, mentre io, stoica, continuo pazientemente la lenta marcia di avvicinamento alla vetta, che raggiungerò dopo un altro quarto d’ora.

La vista che si può godere sulla città e sulla baia è, naturalmente, affascinante e ripaga, seppur per pochi minuti, della fatica sopportata per arrivare fin lassù.

Appena il tempo per scattare un centinaio di foto, che è già ora di riscendere perché il pullman sta aspettando.

Insieme agli amici trentini Giovanni e Alida, mi sorbisco altre due code e finalmente alle 19.00 tocco terra, ignara del fatto che avrei aspettato
un’altra mezz’ora per l’attesa vana di quattro passeggeri non presenti all’appello.

Non potete nemmeno immaginare tutti gli improperi dei miei compagni di viaggio, sfiniti da un intero pomeriggio passato in coda!

Stelio, arrivato ai pullman molto prima di noi, chiede un passaggio al bus
dei francesi che è già pronto per il rientro in nave; non sa ancora che rimarrà bloccato un’altra mezz’ora nel caos del traffico del venerdì sera, allorquando c’è l’esodo dal centro verso la periferia; per lui la delusione è cocente, tanta attesa per non arrivare là, dove arriva chiunque venga a visitare Rio, anche se questa sorte oggi è toccata a tante altre persone che si sono arrese prima dell’arrivo in cima.

Per noi del bus 46 salta chiaramente il programma stabilito, visto che siamo in grave ritardo, e la guida decide di rientrare alla nave, concedendoci solamente 5 (cinque) minuti di sosta alla spiaggia di Copacabana come contentino.

Arriviamo sulla nave che sono ormai le 20.00 passate, sfiniti e incazzati neri!

Una piccola consolazione: dal balcone della nostra cabina, riusciamo a vedere in lontananza la statua del Cristo Redentor illuminata in un cielo nuvoloso!

 

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24 gennaio, Rio de Janeiro, 2° giorno
Ritemprati da un buon sonno ristoratore, eccoci già pronti di buon mattino a rituffarci nel traffico di Rio, con l’escursione Costa “ Corcovado e Copacabana”.

Simbolo internazionale di Rio, il Morro do Corcovado è una collina alta 704 metri nel Parque National de Tijuca.

Sulla sua cima si innalza l’imponente Cristo Redentor, una delle sette meraviglie del mondo, una statua alta 38 metri, pesante 1.145 tonnellate, che domina in un ideale abbraccio tutta la città.

Raggiungiamo con la nostra guida Daniel, la stessa di ieri, la stazione ferroviaria di Cosme Velho, dove prendiamo la cremagliera elettrica che ci porterà in cima; questa linea ferroviaria è considerata la più piccola ferrovia del mondo con i suoi 3.824 metri di lunghezza.

Per fortuna ci sbrighiamo presto e, dopo venti minuti, ci troviamo in cima alla collina, dopo aver attraversato la foresta de Tijuca, che con i suoi 120 chilometri
quadrati é il parco urbano più grande del mondo.

Lo spettacolo che ci si presenta è, a dir poco emozionante, sia per l’imponenza della statua, che emana una grande spiritualità anche in chi non è credente, sia per il fantastico panorama sulla città, i colli e le baie che eguaglia in bellezza quello già visto dal Pan di Zucchero.

L’unico rammarico è dato dal cielo nuvoloso, carico di afa, che impedisce scatti fotografici, che, in altre condizioni, sarebbero stati magnifici.

Inutile dire che quassù, su questo piccolo belvedere si accalca una marea di gente proveniente da tutto il mondo, in più aleggia nell’aria un esercito di insetti, a noi sconosciuti, che attaccano a tutto spiano i poveri turisti.

Pertanto, dopo un quarto d’ora, ripercorriamo a ritroso la via verso la stazione del trenino che ci riporta, sani e salvi, alla stazione di partenza.

La seconda parte del nostro programma prevede la sosta a Copacabana!

Questa spiaggia, lunga cinque chilometri, nella parte sud-orientale della città rende famoso in tutto il mondo l’omonimo quartiere.

La distesa di sabbia è costeggiata in tutta la sua lunghezza dall’ Avenida Atlantica, un ampio viale caratterizzato dalle decorazioni geometriche alla portoghese dei marciapiede: sul lato spiaggia si stende il “calcado” con le sue famose onde bianche e nere fatte in mosaico.

La via, trafficata e vivacissima, scorre all’ombra di anonimi grattacieli costruiti lungo tutto l’arco costiero.

Copacabana oggi è messa un poco in ombra dalla più bella ed esclusiva spiaggia di Ipanema, ma è tuttora molto amata dalla popolazione cittadina che vi si reca in massa per prendere il sole brasiliano o tuffarsi nelle onde atlantiche.

Una miriade di ambulanti che vendono gli articoli più svariati animano la costa, insieme ad un susseguirsi ininterrotto di bar e bancarelle.

Naturalmente anche noi lasciamo il nostro obolo, acquistando un bel pareo con i colori del Brasile e con un’“offerta” (obbligata) di dieci reais ai costruttori di statue di sabbia, manco a dirlo il soggetto: dei bei corpi femminili stesi al sole!

A dire il vero, per tutta la nostra permanenza in spiaggia, nella moltitudine di bagnanti, non abbiamo notato tutte queste decantate bellezze brasiliane, anzi
la maggior parte delle donne esibisce delle forme non propriamente da copertina….Stelio dixit !

Poiché è evidente che siamo turisti, non possiamo permetterci di lasciare i nostri zaini incustoditi, pertanto ci limitiamo a mettere i piedi in acqua, tanto per dire di aver fatto il bagno a Copacabana, col risultato di bagnarci quasi completamente i vestiti, per colpa di un’ onda anomala.

Dopo questo bel bagno involontario, lasciamo la spiaggia con la sua variopinta popolazione e bighelloniamo un po’ nelle vie del quartiere, anch’esse affollate e frenetiche, e ci concediamo una piccola sosta ristoratrice in un baretto, a base di spremuta di ananas.

Nel frattempo, i nostri amici di merende, Franco e Giorgia, Massimo e Flavia,
Luciano e Tina, che ci avevano abbandonato scendendo a Ipanema, hanno il privilegio, grazie alla nostra guida Daniel, di visitare la più importante fabbrica di gioielli del Brasile, la famosa Stern, finendo naturalmente per fare dei “piccoli acquisti”… Stelio non si pente per non averli seguiti; finiscono poi la loro visita di Rio, pranzando, con immensa soddisfazione, da Marius, uno dei ristoranti più rinomati della città.

Terminato il tempo a nostra disposizione a Copacabana, cominciamo il viaggio di rientro alla nave, questa volta non si è perso nessuno, a parte i sei “acquirenti di gioielli”; il nostro Daniel, argentino di nascita ma brasiliano di adozione, con il suo italiano strampalato e divertente, ci offre una dettagliata panoramica della città, dal punto di vista storico, geografico, politico e sociale che noi ascoltiamo con grande piacere, e così senza nemmeno accorgercene arriviamo dopo circa sei ore di tour in porto.

Dopo la faticaccia di ieri, finalmente una bella giornata, gita splendida, guida
preparata e simpatica, solo il caldo afoso è stato un po’ pesante, ma anche questo fa parte del pacchetto.

Oggi è l’ultima giornata in Brasile e ci rimarrà il rammarico di aver visto molto poco e in fretta di tutto quanto ci sarebbe stato da vedere; a conti fatti, sarebbe stato meglio passare un giorno in più nella bellissima Rio e saltare l’ insignificante pit stop di mezza giornata a Maceiò!

Anche l’uscita dal porto e dalla baia alle prime luci della sera è uno spettacolo cui assistiamo comodamente seduti sul balcone della nostra cabina;
peccato che tutti i grattacieli del centro e della zona portuale siano immersi nell’oscurità, visto che di sabato tutti gli uffici sono chiusi e che qui si
risparmia sull’illuminazione!

Ciao Brasil, o paìs para todos, vero caleidoscopio di genti e di culture, dove l’eterogeneità razziale è divenuta un punto di forza di un paese che,
nonostante l’estrema povertà di oltre un terzo della sua popolazione, non perde mai la sua voglia di vivere e di sorridere.

Per finire in bellezza questo soggiorno brasiliano, dopo cena, serata al Grand Bar Mirabilis con lo spettacolo “Special Brasil, Ritmi e Colori”, con la
straordinaria partecipazione della famosa cantante Yvette Matos ed i ballerini della compagnia Dana Brasil.

Stelio, ovviamente, non si lascia sfuggire la ghiotta e irripetibile occasione di ballare la samba insieme ad una ballerina professionista, dalla quale riceverà poi mille complimenti per la sua performance, e questa soddisfazione lo ripaga in parte per la delusione di non aver raggiunto la vetta del Pan di Zucchero.

Obrigado Brasil, até breve!

 

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25 gennaio, in navigazione
Dopo il tour de force brasiliano, arrivano a puntino due bei giorni di navigazione !

Oggi primo appuntamento col maestro Montagner, che mi consegna la base della canzone che canterò nel C Talent, con l’invito a provare, provare, provare!

Dopo le attività fisiche del mattino, ci concediamo un pomeriggio di relax giocando a burraco.

La novità del giorno consiste nello spostamento della sala carte dalla chiassosa e caldissima balconata sopra la piscina all’ovattato ambiente del Ristorante Club Deliziosa, gentilmente messoci a disposizione dal Maître, su intercessione della efficiente Margherita: posto giusto per giocare in tutto silenzio ed al fresco dell’aria climatizzata, condizioni indispensabili per potersi concentrare sul gioco.

Ma c’è uno scotto da pagare per questa miglioria: la nostra Vania, per motivi logistici di animazione, non potrà assicurare la sua presenza continua, e pertanto, per quanto riguarda l’organizzazione del torneo, noi passeggeri dovremo
arrangiarci da soli, la qual cosa, grazie alla nostra esperienza in materia, non costituisce assolutamente un problema.

E così io e Stelio, con l’assistenza di Franco, organizziamo il primo torneo auto-gestito; la Costa ci mette a disposizione tutto il materiale occorrente, compresi i premi per i vincitori, a tutto il resto pensiamo noi!

Evvai, tutti felici e contenti!

Stasera cena di gala, a seguire festa danzante “ Ladies Night”, serata dedicata a tutte le donne. io, per l’occasione, sfoggio per la prima volta in vita mia un bell’abito lungo; mi sento un po’ strana e non sono del tutto a mio agio, ma i complimenti per la mise ricevuti dagli amici e dai ragazzi dell’animazione mi rinfrancano un po’!

Non poteva mancare un piccolo incidente di percorso.

Il bel Sylvain, il grande e grosso animatore francese, ballando con me, appoggia il suo piedone da rugbista sul mio sandaletto da ballo, sfracellandomi l’unghia dell’alluce, che già aveva subito la stessa sorte due anni prima ad opera del colosso brasiliano Josè, così la mia serata danzante termina in anticipo.

Naturalmente faccio l’indifferente, seppur con la scarpa inzuppata di sangue, per non far sentire in colpa il povero Sylvain!

Comunque, una bella serata, in compagnia dei soliti amici.

 

 

26 gennaio, in navigazione
Oggi giornata di riposo: nessuna attività sportiva, eccetto un po’ di zumba!

Serata double face: Stelio a ballare i ritmi brasiliani, io a letto a smaltire i postumi di un colpo di calore, rimediato con le due ore di esposizione mattutina al sole!

 

 

27 gennaio, Uruguay, Punta del Este
Ormai è un classico, ogni luogo dove arriviamo ci accoglie col suo sky line di grattacieli e Punta del Este non fa eccezione.

Punta del Este , con le sue innumerevoli spiagge, le eleganti residenze sul mare, gli alti condomini, gli hotel costosi e i ristoranti di lusso, è una delle destinazioni più modaiole dell’America del Sud, tant’è vero che è chiamata la Saint Tropez dell’ America Latina.

La città è relativamente piccola, circa 180.000 abitanti, ed è confinata su una stretta penisola che divide ufficialmente il Rio del Plata dall’ Oceano Atlantico.

Oggi la nave attracca in rada, ed è la prima volta in questa crociera.

Le operazioni di sbarco in lancia sono velocissime, non ci sono code ne
disordini, come spesso succede in queste situazioni.

E, dopo solo un quarto d’ora di tragitto, mettiamo piede sulla terraferma, nel marina, proprio di fronte al glorioso Yacht Club, famoso per essere tappa di tutte le regate veliche transatlantiche e intorno al mondo.

Oggi optiamo per un giro in solitario, e puntiamo direttamente alla Playa Brava, la spiaggia dove si trova La Mano en la Arena, una gigantesca scultura di ferro e cemento a forma di mano che emerge dalla sabbia.

La mano esercita un’ attrazione irresistibile su visitatori e bagnanti, che vi si arrampicano e saltano giù dalle sue dita e si mettono in posa per migliaia di fotografie.

Anche noi non ci sottraiamo a questo rito, senza peraltro arrampicarci sulle
gigantesche dita, cosa che mi sarebbe piaciuto fare, ma che Stelio mi ha proibito nel modo più assoluto.

Dopodiché ci tuffiamo nelle acque gelide dell’ Atlantico per rinfrescarci dalla calura opprimente, il termometro segna 38 gradi.

Dopo un’oretta, decidiamo di abbandonare la spiaggia, lasciando in eredità il nostro ombrellone ad alcuni ragazzi dell’animazione che ci avevano raggiunto; per noi, non abituati a questi climi, non è proprio possibile stare più di un’ora al sole.

Dopo un veloce ristoro in un locale sul lungomare (cameriera che parla a monosillabi, con un muso fin per terra), decidiamo di prendere un taxi per fare il giro della città; dopo un paio di tentativi andati a vuoto (anche i tassisti locali non sono molto socievoli), ne troviamo uno che si degna di accoglierci sul suo mezzo, che, più che una macchina, sembra un frigorifero, tanta è l’aria condizionata che vi aleggia.

Naturalmente a Stelio viene un coccolone che si trascinerà per tutto il pomeriggio.

Ristabilita una temperatura decente per esseri normali come noi, partiamo con meta Punta Ballena, chiamata così perché in autunno di qui le balene passano nella loro migrazione a poche decine di metri dalla costa.

Anche senza balene il panorama sull’ estuario del Rio de la Plata è splendido.

Sullo sfondo ammiriamo anche la bianca struttura ci Casa Pueblo, la stravagante villa e galleria d’arte dell’artista uruguayano Carlos Perez Villarò.

Questa costruzione è disposta su nove piani che degradano lungo una scogliera, ed è una delle attrazioni più gettonate del paese.

Noi però rinunciamo a visitarne l’interno, visto che per pochi minuti di permanenza avremmo dovuto sborsare una ventina di euro, oltre al tassametro del nostro taxi che avrebbe continuato a correre.

Ritorniamo allora verso il porto, godendo del tragitto che lambisce le molte spiagge cittadine, attraverso quartieri residenziali di nuova costruzione, immersi nel verde.

Tutto è molto pulito e ordinato, il poco traffico scorre fluente perché tutti rispettano i limiti di velocità e le regole del codice stradale.

Il nostro autista si vanta di tutto quello che ammiriamo, orgoglioso del benessere e della tranquillità che albergano in questa città, e noi siamo d’accordo con lui.

Se solo ‘sti uruguagi fossero solo un po’ più sorridenti …..

 

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28 gennaio, Argentina, Buenos Aires
Dopo tre settimane di navigazione e 6426 miglia marine percorse, ci attende oggi una delle mete, in assoluto, più attese di tutto il nostro viaggio:
BUENOS AIRES, capitale dell’ ARGENTINA, città e nazione che io amo appassionatamente.

Potete quindi immaginare il nostro stato d’animo allorquando, svegliatici di buon’ora per non perdere nemmeno un minuto dell’ingresso nell’immenso porto sito alla foce del fiume Rio del Plata, ci accorgiamo di essere nel pieno di una vera bufera: buio, tuoni, fulmini, forti raffiche di vento.

Dopo tre settimane di bello, proprio oggi doveva incazzarsi il tempo!!

La nave ha le sue difficoltà per raggiungere il molo di ormeggio e ci riesce solo dopo un’ora buona, grazie all’aiuto di ben tre rimorchiatori, uno a prua e due a poppa, e, soprattutto, alla perizia degli ufficiali sul ponte di comando.

Io, incurante delle intemperie e dell’acqua che scende a catinelle, salgo sul ponte 11 per fotografare e filmare tutto quanto, ma non sono la sola, insieme a me c’è un altro intrepido passeggero (in braghe corte, naturalmente tedesco); purtroppo devo desistere per evitare di rovinare la mia nuova Canon!

Oltretutto non sembra trattarsi di una maltempo passeggero, e anche le previsioni meteo danno pioggia per tutto il giorno: ci si prospetta pertanto una giornata rovinata dal brutto tempo.

Oh no, proprio oggi che abbiamo in programma l’escursione Costa “Tour della città con shopping”, della durata di otto ore.

Fosse stato in qualsiasi altra città avremmo anche rinunciato e ce ne saremmo rimasti all’asciutto sulla nave, ma a Buenos Aires proprio non si può!

Armati di ombrelli e giacche antipioggia, eccoci pronti a invadere la città sul bus 29, sotto la guida di Carolina, argentina figlia di italiani, di giorno guida turistica, di sera cantante di tango.

Il porto dove siamo ormeggiati, dall’altisonante nome Terminal Benito Quinguela Martin, è il più grande del Sud America ed uno dei più grandi al mondo e ci vogliono ben venti minuti di bus per uscirne, è una vera e propria città dentro la
città; oggi vi sono attraccate ben cinque navi da crociera, fra cui la nostra sorella Costa Favolosa, pronte a riversare nella città migliaia di persone assetate di tango e asados, più una moltitudine incredibile di navi mercantili, per non parlare dei milioni di container accatastati a perdita d’occhio e delle migliaia di camion che fanno la spola fra navi, magazzini, terminal e città, insomma un enorme caos ben organizzato!

Incurante della pioggia battente, e soprattutto dello stato d’animo dei suoi passeggeri, Carolina comincia la sua lezione sulla storia di Buenos Aires, dalla fondazione nel 1536 ai giorni nostri e ci prospetta a grandi linee il tour della città che partirà dai quartieri nord, per tornare al centro e finire nei
quartieri a sud.

La città si stende su un territorio di 200 chilometri quadrati e conta tre milioni di abitanti, che arrivano a dieci milioni con quelli della fascia periferica e noi già ci stiamo chiedendo come faremo a vedere tutta la città in un solo giorno!

Nel seguente ordine passeremo per i quartieri :
RETIRO, uno dei quartieri più lussuosi: Plaza San Martin, Torre de los Ingleses, l’Edificio Kavanagh (simile all’Empire State Building di New York) e l’Estacion Retiro, l’enorme stazione da cui partono tutti i bus per il resto del paese.

RECOLETA, dove risiede il ceto più agiato di Buenos Aires; la via più famosa è la Avenida Alvear, fiancheggiata da ville d’epoca e dalle boutique di stilisti di fama internazionale.

Dotato di un gran numero di parchi lussureggianti, musei e palazzi in stile francese, Recoleta è noto soprattutto per il Cementerio della Recoleta, le cui cripte custodiscono le spoglie degli esponenti più illustri della storia della città e della nazione, tra cui presidenti, eroi militari, importanti uomini politici, nonché personaggi ricchi e famosi; ma l’attrazione maggiore è senz’altro la tomba di Evita Peron che calamita l’attenzione di tutti i visitatori, noi compresi.

PALERMO, il quartiere più verde della città, perché caratterizzato da larghi viali alberati e grandi parchi: il parco 3 Febbraio, dove si trova El Rosedal, il giardino botanico, il giardino giapponese, il Planetario, lo zoo, l’ippodromo, il campo di polo e il campo municipale di golf; qui si trovano pure le Ambasciate ed i Consolati stranieri, tutti ospitati in splendide ville e palazzi d’epoca.

Naturalmente, vista la pioggia incessante, noi ci limitiamo a vedere o a intravedere tutte queste bellezze dai finestrini bagnati del pullman, ad
eccezione della tomba di Evita, che merita assolutamente una visita, visto il fascino che ancora e sempre esercita questa controversa figura di donna.

Risaliamo completamente inzuppati sul nostro pullman, che, come di consueto a queste latitudini, é ben refrigerato; così si riparte verso il centro, fra starnuti e colpi di tosse a non finire, mescolati a santi e madonne nei confronti dell’autista.

MICROCENTRO, cuore pulsante della città: Plaza de Mayo, famosa cornice delle più accese manifestazioni di protesta della popolazione di Buenos Aires e dove ogni giovedì si ritrovano le Madres de la Plaza de Mayo in memoria dei loro figli “desaparecidos”; al centro della piazza si erge la Piramide de Mayo, piccolo obelisco costruito per celebrare il primo anniversario dell’indipendenza dalla Spagna.

L’intero lato est della piazza è occupato dalla Casa Rosada, dall’inconfondibile facciata, sede degli uffici del Presidente della Repubblica, la tanto odiata dagli argentini Cristina Kirchner.

Dai balconi di questo palazzo si sono affacciati Juan e Eva Peron, nonché tanti altri presidenti o generali di turno, rivolgendosi a infervorate masse di argentini; dal balcone ha anche cantato la pop star Madonna, durante le riprese del film Evita.

La barocca Catedral Metropolitana, il più importante punto di riferimento religioso della città, dove Jorge Bergoglio esercitò il suo incarico di vescovo prima di diventare Papa Francesco.

Qui si trova, custodita da due granatieri, la tomba del generale Josè de San Martin, l’eroe più amato dagli argentini, e la fiamma sempre accesa davanti alla cattedrale simboleggia il suo spirito, sempre vivo e sentito nel paese.

Arrivati a questo punto, è previsto il pranzo nel ristorante “La Bistecca” nel quartiere di Puerto Madero, ma, appena risaliti sul pullman, ecco la
doccia fredda, in senso figurato, anche se siamo comunque già bagnati: il pullman non riesce a partire a causa di un guasto meccanico!

Trascorriamo pertanto un’ora fermi in pullman, in attesa che un altro mezzo venga a prelevarci, con la ventilazione a manetta, fra mille brontolii di
bocca e di stomaco….. non c’è che dire, proprio una bella giornata!

Arriviamo al ristorante che sono già le 14.00, quando tutti gli altri passeggeri
escono già “mangiati e digeriti”.

Ci consoliamo subito vedendo il locale ben arredato e soprattutto un buffet ben fornito; la qualità del cibo è ottima e questo basta, per il momento, a placare la fame e il generale malcontento.

PUERTO MADERO E’ il quartiere più recente della città, sorto, grazie ad un’imponente opera di riqualificazione, là dove prima esisteva un porto, su
progetto degli stessi architetti ai quali si deve il recupero del quartiere Docks di Londra, del quale ricalca in tutto e per tutto l’originalità.

LA BOCA Quartiere essenzialmente proletario e piuttosto malfamato.

Deve il suo nome al fatto che si trova alla bocca del fiume Riachuelo che
sfocia nel Rio del Plata.

Qui sorgeva il porto che accoglieva nel diciannovesimo secolo gli immigranti italiani e spagnoli, i quali vi si stabilirono fondando una piccola Italia, ricostruendo le case ad immagine e somiglianza di quelle lasciate al loro paese, dipingendole con le vernici di scarto delle pitturazione delle barche; e così sorse un quartiere caratteristico per le sue casette multicolori.

La via più famosa è il Caminito, letteralmente presa d’assalto ogni giorno da autobus carichi di turisti, i quali curiosano nei mercatini di artigianato e si fanno immortalare vicino ai ballerini di tango che si esibiscono in strada.

Qui si trova anche lo stadio della Bombonera, sede della locale squadra di calcio del Boca Juniors, dove mosse i suoi primi passi calcistici Diego Maradona, vera icona del calcio argentino e di questo quartiere.

Come per miracolo, la pioggia ci dà un po’ di tregua, lasciandoci passeggiare tranquillamente per il Caminito; riusciamo persino ad acquistare i primi souvenir in terra argentina…..era ora!

CONGRESO Questo quartiere é un mix di cinema e teatri d’epoca, negozi e palazzi politici, università e ministeri.

E’ separato da Microcentro dalla Avenida 9 de Julio, la via più larga del mondo, con i suoi 125 metri da lato a lato e le sue 16 corsie; all’incrocio con l’Avenida Corrientes si trova l’Obelisco, alto 7 metri, dove gli appassionati di sport argentini si riuniscono per festeggiare le vittorie più importanti.

Palacio del Congreso, ispirato allo stile del Campidoglio di Washington, è la sede del Senato.

Il Teatro Colon, il più importante della città e della nazione, opera di
architetti italiani, fino all’apertura nel 1973 della Sydney Opera House, è stato il teatro più grande dell’emisfero australe.

CALLE FLORIDA, la lunga via pedonale è la strada principale del quartiere Microcentro, vero e proprio paradiso dello shopping, dove i poveri turisti danno libero sfogo alla voglia di spese, dopo otto ore di storia, geografia e arte porteña.

La via è tutta un brulicare di turisti, suonatori,

mendicanti e venditori di strada; ci sono negozi e negozietti, soprattutto di abbigliamento e pelletteria, nonché di souvenir, ma su tutti svetta lo
splendido centro commerciale Galerias Pacifico, esteso su un intero isolato, in stile francese, risalente al 1889,che vanta soffitti a volta impreziositi da splendidi murales; qui ci sono negozi di lusso e ristorazione di ottimo livello.

Con più di un’ora di ritardo sulla tabella di marcia, il tour volge al termine e, nel riaccompagnarci al terminal, la nostra guida Carolina ci diletta con una bella esibizione canora, cantandoci uno dei pezzi più famosi di tango, Media Luz, meritandosi gli applausi di tutti noi che ci complimentiamo per la sua bravura; la ringraziamo anche per averci illustrato in modo chiaro e semplice le tante facce di una città così eclettica, e, soprattutto, per aver pazientemente sopportato lamentele e brontolii, in parte più che giustificati, per tutto l’arco della giornata.

Dopo più di nove ore passate in bus, per la maggior parte sotto la pioggia, rientriamo sulla nave leggermente “distrutti”, Stelio specialmente, con
un principio di bronchite.

Ma la nostra giornata non è ancora finita, perché ci attende l’escursione serale con Costa : Dinner & Tango al Café de Los Angelitos, un must in una città dove il tango è nato e che vive di tango.

Ma Stelio non ce la fa e rinuncia a malincuore all’uscita, cedendo il suo biglietto all’ amica fiorentina Carla.

Pertanto, appena il tempo per asciugarmi e cambiarmi, e via di corsa sul pullman, insieme agli spagnoli, per correre in centro al famoso e storico locale Café de Los Angelitos, dove abbiamo in programma una cena tipica argentina e, a seguire, uno spettacolo di tango dal vivo con orchestra.

Io assisto estasiata ad uno spettacolo eccezionale, per la bravura dei dieci ballerini, per la musica coinvolgente e le bellissime coreografie e scenografie, davvero una grande emozione.

E’ mezzanotte passata quando rimetto piede in cabina, rintronata dalla stanchezza e dalla musica del tango che non mi vuole abbandonare; ora la mia lunga giornata è proprio finita, domani è un altro giorno, si vedrà !

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29 gennaio, Buenos Aires, 2° giorno
Passata la bufera, un cielo terso con un sole abbacinante si presenta ai nostri occhi, lasciandoci finalmente vedere quanto ci circonda, ieri immerso nel buio e nella pioggia.

Il mio primo pensiero è: io non posso perdermi Buenos Aires con un tempo così e allora, grazie all’imbeccata di Franco e Giorgia, e alla intercessione dell’amico tarantino Giovanni, riesco ad ottenere dalla Costa di ripetere l’escursione di ieri , peraltro gratuita.

E così, abbandonato Stelio nel suo letto di dolore, mi infilo sul bus 36, zeppo di amici, e riparto per la seconda volta alla conquista di questa splendida città, che rivedrò oggi con altri occhi e con ben altri colori.

Con la guida italo-argentina Alice ripercorriamo pari pari l’itinerario di ieri,
ma con ben altro spirito: la temperatura esterna è perfetta, mente sul bus continua incessante la battaglia con l’autista per l’abbassamento dell’aria condizionata a livelli accettabili, ma sarà una battaglia persa in partenza.

Oggi riusciamo persino a visitare il parco del Rosedal, con i suoi splendidi giardini fioriti ed a fotografare il fiore metallico che apre i suoi immensi petali alla luce del sole e li chiude al calar del buio; sembra persino allegro il Cimitero della Recoleta; arriviamo persino primi all’appuntamento con il pranzo, dopo il tribolare di ieri.

Insomma una gran bella giornata, in bella compagnia ed io assaporo ogni momento e ogni passo attraverso questo città meravigliosa, sparando a raffica con la mia Canon su tutto quello che vedo.

Allorché passiamo nel quartiere della Boca, la guida chiede se il gruppo è interessato a visitare lo stadio della Bombonera, ma tutti rifiutano, eccetto la sottoscritta, e perciò niente Bombonera, uno degli stadi più gloriosi del mondo, quando la gente non capisce niente…. e via allora tutti a fiondarsi nei negozi di souvenir del Caminito.

Riusciamo anche a vedere ballerini di tango che ballano spontaneamente in strada, ad uso e consumo dei turisti.

Ma il momento più atteso, dagli altri, dopo tanta cultura storico-geografica-artistica, è quello dello shopping in calle Florida, dove la guida ci toglie il guinzaglio per un’ora e mezzo, lasciandoci liberi di scorazzare per negozi e
negozietti.

Oggi, approfittando anche dell’assenza di Stelio, mi scateno anch’io, comprando t-shirt e cinture in pelle nei negozi di artigianato locale, ignara del fatto, che anche lui era uscito per un’oretta a fare shopping in Calle Florida……anche se il suo è stato solo uno shopping farmaceutico!

Una cosa che ci ha colpito molto in questo nostro primo approccio con l’Argentina e con la sua capitale, è la moltitudine di persone che in strada offrono di cambiare valuta straniera con il pesos locale, a condizioni peraltro molto vantaggiose per i turisti; questo la dice lunga sulla crisi economica che attanaglia questo paese e sulla fiducia che gli argentini, sempre alla disperata ricerca di incamerare più valuta straniera possibile, ripongono nella loro moneta.

Piccolo brivido finale, al rientro in porto, allorquando il nostro autista refrigeratore per ben due volte sbaglia la porta d’accesso al nostro terminal, e, dopo una ventina di minuti di girovagare, all’interno di questo immenso labirinto, raggiungiamo finalmente la nostra banchina.

A parte il fatto di quattro passeggeri ritardatari, lasciati a piedi dalla guida, tutto è filato liscio e sono veramente felice di aver conosciuto meglio una splendida città, degna di un’altra visita più approfondita in futuro.

A causa dell’enorme traffico di navi nel porto, la nave parte con più di un’ora di ritardo sull’orario previsto ed io mi godo dal balcone della cabina un tramonto da cartolina sullo sky line di Buenos Aires. Hastaluego porteños !

 

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30 gennaio, Uruguay, Montevideo
Dopo la puntata di due giorni in terra argentina, eccoci oggi di nuovo in Uruguay, nel porto della capitale Montevideo.

Ad attenderci all’uscita del terminal troviamo il nostro amico Lilio  di Castelfondo, emigrato ormai da molti anni in Uruguay e che non vediamo più da oltre dieci anni.

Lo accompagna il fratello Luigi, visto che lui non può guidare, dal momento che una settimana prima si è sbrindellato una mano con una sega circolare.

Prima di portarci a pranzo a casa loro, Lilio e Luigi ci fanno fare una visita della città, prima a piedi nel centro storico e poi in macchina sul lunghissimo lungomare.

La città non è affascinante come la dirimpettaia Buenos Aires, ma la troviamo comunque pulita e ordinata, con belle vestigia dell’epoca coloniale unite a bei palazzi moderni.

Proseguiamo la nostra corsa nell’entroterra per una trentina di chilometri, continuando a stupirci del panorama che ci si presenta: distese di verde, belle case, parchi e giardini, e pure i capannoni industriali sorti negli ultimi anni sono
costruiti con gusto e circondati dal verde.

Transitiamo anche davanti all’aeroporto, nuovo di zecca pure lui; la strada è ben tenuta e il traffico scorrevole; insomma, sembra proprio un paese molto civile, come già avevamo notato a Punta del Este.

Arrivati a destinazione, accolti con grande affetto dal resto della famiglia, ci tratteniamo per il pranzo, snocciolando ricordi e aneddoti relativi alla vita del paese, aggiornandoli sulle novità intercorse e sul prosieguo del nostro viaggio. Alla fine ci si commiata, con la promessa di vederci la prossima volta in Italia nel nostro paesello.

Lilio e Luigi ci riportano alla nave, percorrendo un’altra strada, che ci conferma l’espressione avuta nel viaggio di andata: questo è un posto dove la gente vive bene, anche se risparmiano un po’ nelle effusioni e nei sorrisi.

Al nostro rientro in porto, scopriamo che sotto la nave è stata allestita
una pedana, dove si esibiscono, sotto gli occhi compiaciuti dei passeggeri di ben due navi (oltre a noi è attraccata anche la Golden Princess, costruita nel cantiere della nostra città Monfalcone) una coppia di ballerini di tango.

Presenzia allo spettacolo, offerto dalla comunità di Montevideo, pure la Signora Ministro della Cultura dell’Uruguay: è la prima accoglienza degna di nota che riceviamo in questa crociera!

A proposito di prime volta, qui a Montevideo è la prima volta che vediamo un faro dentro il porto, incorporato nel bel palazzo, sede del comando
della Marina Militare ed è pure la prima volta che vediamo un cimitero di navi!

Infatti all’uscita del porto, subito dopo la diga giacciono decine di navi, in parte sommerse, che non potranno più solcare alcun mare: non è certo un bello spettacolo e non si capisce perché in un paese così civile possa esistere un tale mostro ecologico!

 

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31 gennaio, in navigazione
Dopo quattro giorni consecutivi di discese a terra, ci voleva proprio questo giorno di navigazione per ritemprare un po’ i fisici provati di tutti i poveri croceristi, di Stelio soprattutto, il cui stato catatonico continua, per colpa della forte tosse che lo affligge da tre giorni ormai.

Per il momento a nulla sono valsi i medicamenti presi, anche se lui insiste nel frequentare il centro medico di bordo, nella speranza di trovare un
farmaco miracoloso, o almeno di farsi curare dalla bella, brava ed efficiente Bianca.

Per me l’appuntamento odierno più importante è senz’altro la prova in teatro dello spettacolo di domani sera.

Appuntamento alle 11.15, insieme agli altri partecipanti; con la supervisione straordinaria di Pietro , il musicista più acclamato della nave, mi esibisco sul palco, cantando la canzone “Fiore di maggio” di Fabio Concato.

La prova va molto bene, al di sopra di tutte le aspettative, e Pietro ed il Maestro
Montagner mi fanno i complimenti.

Stelio, seduto in prima fila, rimane basito e non crede alle sue orecchie, forse la smetterà di dire che sono stonata e che non so cantare.

Comunque anche questa è andata, spero solo che domani vada nello stesso modo e che l’emozione non mi giochi brutti scherzi.

Dopo lo stress artistico, pomeriggio relax, per modo di dire, con torneo di burraco; io e Franco organizziamo e gestiamo il torneo con efficienza e
pugno fermo nei confronti del solito maleducato rompiscatole.

Serata tranquilla, si programma insieme agli amici calabresi Rina e Angelo l’escursione di domani alla Penisola di Valdés.

 

 

 

1 febbraio, Argentina, Patagonia, Puerto Madryn
E’ con una grande emozione che mettiamo piede in Patagonia!

Per me, grande appassionata di letteratura di viaggio, e di Bruce Chatwin in primis, e che mai avrei pensato di arrivare un giorno fin quaggiù, oggi si sta realizzando un sogno: la Patagonia, la regione di frontiera più meridionale
del Sud America, dove la natura ha una bellezza selvaggia e spoglia e gli spazi sono infiniti, come i silenzi che li riempiono.

Il primo approdo in questa terra misteriosa è Puerto Madryn, porta di accesso alla Penisola di Valdés, a ben 1.200 chilometri da Buenos Aires.

Questa città, capoluogo della regione del Chubut, circa centomila abitanti, di per sé priva di attrattive, deve la sua fama e la sua fortuna, al fatto che nei mesi da giugno a dicembre si anima grazie al passaggio delle balene franco australi nelle sue acque; da luglio a settembre le balene arrivano talmente vicine che si possono avvistare comodamente dal molo in città e pertanto migliaia e migliaia di turisti arrivano da tutto il mondo per ammirare questo fantastico spettacolo della natura.

Viste le condizioni ancora non ottimali di Stelio, non possiamo partecipare alle escursioni organizzate dalla Costa, che prevedono parecchie ore di
pullman per arrivare a Punta Tombo, il paradiso dei pinguini Magellano, o per fare il giro della Penisola di Valdés, e decidiamo, insieme agli amici
calabresi Angelo e Rina, di arrivare in taxi fino alla riserva naturale di Punta Loma, distante solo diciotto chilometri dal porto.

Il nostro autista Juan, grande e grosso indio locale, loquace e molto acculturato, fine conoscitore e amante della sua terra, ci porta alla meta con la sua
sgangherata Fiat Siena lungo una strada sterrata, che attraversa il nulla: questa è la Patagonia, una immensa landa desolata, deserta, dove l’unica forma di vita è il vento che costantemente la spazza, ma questo è il fascino di questa terra, ed è proprio così che per tanti anni me le sono immaginata.

L’unica cosa che ci fa capire di essere arrivati a destinazione è un baracchino per il pagamento del ticket d’ingresso al parco, 10 dollari a persona; tutto il personale del parco consiste nella ragazza che riscuote il pedaggio, pressoché muta, e in un guardia parco, un giovanotto che scopriamo essere figlio di pugliesi, e che ci parla, orgoglioso delle sue origini, in una bizzarra lingua ispano-leccese.

Quello che vediamo dalla balconata artificiale a picco sulla scogliera è incredibile per noi, per nulla abituati a queste visioni: sulla spiaggia sottostante se ne
stanno tranquillamente stesi al sole decine e decine di leoni marini, e, aggrappati alla parete, in ordinata file decine di cormorani.

Ci fermiamo una ventina di minuti a goderci questo spettacolo, prima di ripartire e continuare il nostro giro di rientro in città.

Dopo aver ingoiato un bel po’ di polvere, che s’infila in auto nonostante i finestrini chiusi, ci fermiamo al mirador di Punta Cuevas: in questo punto si erge la statua all’Indio Teuelche che scruta il mare, e da qui si ha un privilegiato punto di osservazione su tutto il golfo, nostra nave compresa.

Juan ci fa vedere poi quel poco che offre la città, ovvero la Piazza 25 de Mayo, nulla a che vedere con la omonima di Buenos Aires, poco più di un giardinetto, poi il porto di pesca, il secondo più grande della nazione, e la Aluar, la prima fonderia di alluminio dell’Argentina, che dà lavoro a tutta la città.

Finito il tour, ci accomiatiamo con riconoscenza dal nostro Juan, e proseguiamo da soli il nostro giro in città. Mentre Angelo e Rina se ne tornano a bordo, noi
decidiamo di rimanere a pranzo fuori e ci accomodiamo nel miglior ristorante locale, consigliatoci da Juan, la “Cantina el Nautico”, proprio sul lungomare.

Bel posto, frequentato da gente del posto, no turisti, a parte altri quattro passeggeri Costa, cibo ottimo, vino Chablis di Mendoza, servizio impeccabile, prezzo più che giusto, proprio quello che ci voleva per cambiare la routine dei ristoranti di bordo.

Quindi ripercorriamo a ritroso tutto il lungomare fino al molo, e Stelio non può sottarsi all’abituale visita ad una farmacia locale per le pastiglie per la sua tosse.

Prima di salire a bordo, riesco a fotografare un leone marino, tranquillamente steso sul parabordo della banchina !

Archiviata la prima giornata in terra patagonica, ripulita della polvere, mi accingo a prepararmi fisicamente e spiritualmente al grande appuntamento della serata, il C Talent Show.

Ore 22.00 tutti in teatro!

La platea è gremita, Stelio e tutti i miei amici sono lì in attesa della mia esibizione.

Canto per seconda, l’emozione mi attanaglia e la voce un po’ trema, ma riesco ad arrivare alla fine, gli applausi scrosciano convinti e numerosi.

Ce l’ho fatta!

Peccato che il giudizio dei quattro giudici non sia in linea con quello del pubblico e così arriva la bocciatura, non parteciperò alla finale.

Naturalmente sono un po’ dispiaciuta, e Stelio ancor più di me, ma sono comunque felice per tre motivi: primo, ho vinto la sfida con me stessa, riuscendo a cantare in un teatro vero davanti a centinaia di spettatori; secondo, ho convinto Stelio che so cantare e che non sono stonata; terzo, i complimenti sinceri
ricevuti da tante persone, sia amici sia semplici conoscenti.

Resta il rammarico che i giudici, tutti musicisti, non abbiano capito ed apprezzato la scelta di una canzone bellissima, che, anche se cantata da una dilettante come me, ha saputo emozionare sia chi questa canzone già la conosceva sia chi non l’aveva mai sentita prima, stranieri compresi.

Per tutta la durata dello spettacolo sono stata assistita dal “valletto” Sylvain, quello che mi aveva divelto l’unghia dell’alluce, ma stavolta avevo scarpe robuste !

E così, sfinita dalla tensione e dalle emozioni, termino la mia prima giornata patagonica, anche se il sonno tarderò ad arrivare……… nella testa
continuano a risuonare le dolci note di “ tu che sei nata dove c’è sempre il sole “ ……

 

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2 febbraio, in navigazione
Dopo le forti emozioni di ieri, programmiamo una giornata di completo riposo.

Stelio comincia a stare meglio, anche grazie alla cura di aerosol gentilmente offerta dall’amica fiorentina Carla.

Pertanto si dedica alla sua attività di bordo preferita, scrutare il mare per ore nella speranza e nell’attesa di avvistare fauna marina, che in queste acque naviga copiosa.

Finalmente oggi quest’attesa è premiata dall’avvistamento di un branco di delfini, decine, a sentire lui, che offrono ai passeggeri appostati sui ponti e alle finestre, uno spettacolo emozionante di salti e piroette, accompagnati da stormi di uccelli, con i quali si contendono i malcapitati pesci, e questo basta per fare di lui l’uomo più felice del mondo!

Arriverà anche il giorno delle balene.

Mentre Stelio fa bird watching, io mi rilasso giocando per più di un’ora a pallavolo, al fresco del ponte undici.

Ormai le temperature sono in picchiata, i quaranta gradi del Brasile e dell’Uruguay sembrano un lontano ricordo, e si comincia a preparare l’abbigliamento pesante per affrontare i prossimi rigori australi.

Con grande piacere facciamo la conoscenza diretta con il Vice Comandante Francesco Schiano, di Napoli, che s’intrattiene piacevolmente con noi al bar sul ponte 9, parlandoci del suo lavoro, della sua carriera, e del suo sconfinato amore per il mare; ci illustra pure nei dettagli i prossimi giorni di navigazione, con il passaggio del mitico Capo Horn.

Noi lo ascoltiamo estasiati e staremo tutto il pomeriggio a sentire i suoi racconti di vita di mare e di navi, ma il dovere lo chiama e noi lo ringraziamo per il suo tempo prezioso gentilmente concessoci.

Stelio, ormai in preda all’“ansia da Capo Horn”, chiede ufficialmente alla Costa, nella persona della dolce ma decisa Margherita, che sia fornita ai passeggeri una carta geografica con il dettaglio del territorio che a breve attraverseremo.

Detto, fatto!

Con l’aiuto di Gaetano, Direttore di crociera, che intercede con il Comandante Serra, sarà posizionata al posto della grande carta nautica con il tragitto totale della crociera una carta nautica specifica della Terra del Fuoco!

Non solo, Gaetano ha promesso che cercherà di far pervenire a tutti i passeggeri, una copia in piccolo di questa carta.

Immaginatevi la soddisfazione di Stelio, vedendo di sera, nel corridoio centrale che porta al Ristorante Albatros, file di passeggeri accalcati in adorazione di questa carta.

Ci voleva lui per pensare a una cosa tanto evidente, non ci aveva pensato ancora nessuno!

Anche da pensionato non smette mai di pensare “prima”, di essere sempre “avanti”!

Ancor’ oggi, a meno di ventiquattr’ore dallo spettacolo, incontro passeggeri, anche sconosciuti, che si complimentano con me per la mia performance, cercando di consolarmi per l’ingiusta eliminazione.

Oggi serata di gala, e, visto che siamo in Argentina, e tutto è a tema, sfoggio per la prima volta il mio bel vestito nero con bolerino rosso da tanguera, facendo la mia bella figura.

Gran bello spettacolo in teatro con la Buenos Aires Company che si esibisce in una fantastica esibizione di tango e milonga.

Dopo cena, benché nel Gran Bar Mirabilis si balli a suon di tango e nella piscina al ponte 9 siano in corso le selezioni di ballo per lo spettacolo “Ballando con le stelle”, il salone dove c’è più fermento è senz’altro il Bar Alcazar, regno incontrastato del grande Pietro e delle schiere dei suoi adoranti ammiratori.

Grazie alla forza coinvolgente di Pietro e al ritmo sempre affascinante della disco music tante persone ballano freneticamente, compresi quelli che normalmente se ne stanno tranquilli ad ascoltare la bella musica suonata dalle magiche mani del nostro grande pianista.

Fin dal primo giorno a Mestre, viaggia con noi la Signora Teresa, friulana di Cividale, con la sua bella figliola Selene, ragazza trentatreenne, da ormai sedici anni paralizzata su una sedia a rotelle in seguito ad un pauroso incidente; le due intrepide friulane, a dispetto delle evidenti difficoltà motorie sono delle grandi viaggiatrici, e con tanta volontà e determinazione affrontano questo lungo viaggio, faticoso persino per le persone normodotate.

Ebbene, sulle note di una versione melodica di “Riderà” di Little Tony suonata da Pietro, Stelio riesce a far ballare la dolce Selene, tenendola stretta a sé e sostenendone tutto il peso con le sue forti braccia; sono momenti di grande commozione per tutti i presenti, ed alla fine del pezzo, caldi e sinceri applausi avvolgono i due eccezionali ballerini!

Bravo Stelio, quando uno è speciale………………

 

 

3 febbraio, Cile, in navigazione, transito di Capo Horn
Unico e grande tema della giornata odierna: il passaggio da Capo Horn, previsto nel pomeriggio.

La mattinata scorre lenta, nell’attesa di questo momento storico, che segnerà in modo indelebile questo nostro lungo viaggio intorno al mondo.

Il Capo si trova nelle acque territoriali cilene.

L’isola è costituita da un terreno completamente privo di alberi, ricoperto di un erba gialla e folta presente grazie alle frequenti precipitazioni (il Capo è spesso avvolto nella foschia e nella nebbia, essendo il tasso di umidità dell’atmosfera sempre compreso tra il 70% e il 95%).

Qui il fondale dello Stretto di Drake da 4000 metri di profondità sale fino a 100 in poche miglia.

Questa impressionante differenza di profondità marina, unitamente ai venti polari crea onde micidiali, talvolta alte anche venti metri, motivo per il quale Capo Horn è considerato una delle aree più difficoltose da attraversare.

I suoi venti terribili soffiano tra i 160 e i 220 km/h e la grande massa d’acqua che vi confluisce, fa scontrare le correnti atlantiche con quelle pacifiche.

I forti venti sono dovuti alle correnti d’aria da Ovest che corrono lungo l’oceano australe, che poi colpiscono la catena delle Ande in Cile e sono forzate ad accelerare intorno a Capo Horn, una roccia dalla forma semilunare, che cresce a picco dalle acque gelide.

Attraversare Capo Horn è considerato nello sport della vela l’equivalente di una scalata dell’Everest.

Incuranti del freddo e del forte vento, imbacuccati come veri esploratori polari, ci appollaiamo sul ponte 11, per vivere in diretta il grande momento e non perdere nemmeno un attimo del transito.

Alle ore 16.00 arrivano i tre fischi della sirena, in segno di referente saluto a questo posto sperduto in fondo al mondo: il cielo è plumbeo, ci sono 12°, ma la sensazione di freddo è resa maggiore dai 50 chilometri orari del vento e dal 95% di umidità; la temperatura dell’acqua è prossima allo zero, siamo a 55/58/57° latitudine S e 67/22/40° longitudine W.

L’unica forma di vita visibile sono gli uccelli che volano a pelo d’acqua, sulla terraferma non si vede movimento alcuno, con il binocolo riusciamo a vedere un faro, un’antenna, due case più grandi e alcune piccole costruzioni quadrate in muratura, dove abitano il guardiano del faro e la sua famiglia, i quali cambiano ogni dodici mesi, visto che il periodo massimo di sopportazione in questo luogo inospitale come pochi altri al mondo è appunto di un anno.

C’è pure una chiesetta, aperta a tutte le religioni, dove una volta i marinai, prima di entrare nel canale di Drake rivolgevano una preghiera al loro Dio.

Intravediamo anche il monumento all’albatros di Capo Horn, in onore di quest’uccello, la cui apertura alare raggiunge i tre metri.

Per nostra grande fortuna, il mare è incredibilmente tranquillo e ci permette di vivere quest’esperienza senza grandi sconquassi e mal di mare.

Verso le 18.00 ancora tre colpi di sirena per salutare definitivamente la piccolissima comunità che popola questo impervio angolo di mondo ai confini dell’ emisfero australe.

Comincia il viaggio di avvicinamento a Ushuaia, la città in fin del mundo!

 

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4 febbraio, Argentina, Terra del Fuoco, Ushuaia
Non abbiamo ancora smaltito l’emozione del passaggio di Capo Horn, che già un altro piatto forte del nostro viaggio ci viene servito: eccoci a Ushuaia, la città più a sud del mondo, la fin del mundo!

Distante 3.200 chilometri da Buenos Aires, Ushuaia si trova sulla costa meridionale dell’ Isola Grande della Terra del Fuoco, sul canale di Beagle, ed offre un paesaggio unico in Argentina con la combinazione di montagne, mare, ghiacciai e boschi.

Non sono ancora le sette del mattino che io sono già nella mia postazione sul ponte 11 a riprendere l’ingresso della Deliziosa nel porto di Ushuaia.

Un cielo limpidissimo, di un blu accecante, e una corona di montagne ricoperte di neve fanno da sfondo alla città, uno stretto lembo di strade ripide e case costruite alla rinfusa ai piedi delle cime del Glaciar Martial, una vista meravigliosa!

Abbiamo la mattinata libera, perché l’escursione Costa che abbiamo scelto (Navigando tra colonie di pinguini) parte alle 14.30.

Decidiamo pertanto di fare una prima ricognizione a piedi in città, il cui centro è proprio attaccato al porto.

La temperatura è perfetta e lo spirito pure.

Percorriamo tutta la Avenida San Martin, l’arteria principale che taglia in due in senso orizzontale il centro storico, e sui cui lati sorgono tutti i negozi ed i ristoranti più importanti; per un breve tratto è anche zona pedonale.

L’aspetto sarebbe quello di una qualsiasi nostra località turistica di montagna, se non fosse che la via parallela, l’Avenida Maipù, scorre lungo il mare.

Le case, sia i palazzi che le villette, hanno lo stile tipico delle case di montagna, con i tetti spioventi e gli abbaini, le casette singole sono addirittura costruite in legno e sono dipinte in tanti colori; tutto l’insieme è suggestivo ed il colpo d’occhio è veramente piacevole.

Siccome è relativamente presto, i negozi sono quasi tutti chiusi e c’è poca gente in giro.

Percorsa tutta la San Martin, ritorniamo verso il porto sulla via Maipù, sul lungomare.

Non molto lontano dalla nostra nave giace arenato su un banco di sabbia un peschereccio.

Vediamo numerosi monumenti dedicati perlopiù agli eroi dell’indipendenza argentina, ma il più imponente di tutti è quello sorto in onore dei caduti nella guerra contro gli inglesi per la liberazione delle Isole Malvinas – Falklands nel 1982.

Questo tema è una vera fissazione per gli argentini tutti e per i Fueghini soprattutto e tutto qui ricorda quella ferita, per loro non ancora rimarginata: “Las Malvinas son argentinas” è lo slogan che campeggia ovunque, sui muri delle case, sulle macchine, sui depliant pubblicitari, sulle cartoline, sui souvenir.

Alle 14,30 ci imbarchiamo sul catamarano con un bel gruppo di amici, fra i quali i bolognesi Alfredo e Gloria e il bergamasco Italo, nome a me molto caro, Novecento per gli amici.

Come “angeli custodi” Costa, sono con noi la bella Marinella e il simpatico Marco, che deve anche fare da traduttore per il gruppo dei tedeschi.

Troviamo pure, ma loro sono in libera uscita, la nostra amica Myles, nostra steward due anni fa, e l’Executive Chef Salvatore, calabrese verace, che abbiamo il piacere di conoscere per la prima volta.

Con questa bella compagnia partiamo per la nostra crocierina nel bellissimo Canale di Beagle, lo stretto che separa l’Isola Grande a nord dall’ Isola Navarino ed altre isole minori a sud.

Costeggiamo per prima la “Isla de los Pajaros” abitata da una colonia di cormorani imperiali; il tanfo che aleggia nell’aria è assai sgradevole.

La maggior parte dei passeggeri, presa dall’ “ansia da pinguino” si accalca sul bordo, felice di poter fotografare tanti pinguini, peccato che i pinguini non abbiano le ali e non volino !

Arriviamo quindi all’ “Isla de los Lobos”, abitata dai leoni marini.

Anziché starmene comodamente seduta al calduccio del catamarano, io mi insedio sul ponte superiore esterno per meglio vedere e fotografare tutto quello che si muove e pure quello che non si muove, e non voglio perdere nulla di tutto quello che mi circonda.

Attraversiamo quindi l’arcipelago “Les Eclaireurs” dove campeggia l’omonimo faro, che io fotografo da ogni angolazione più e più volte; questo faro è il simbolo della Terra del Fuoco e la sua immagine è riprodotta su ogni tipo di souvenir e di insegna in città.

Proseguendo la nostra navigazione, abbiamo la fortuna di avvistare a prua una balena che solitaria solca queste acque gelide, e riesco pure a fotografarla!

Transitiamo davanti al paese di Port Williams, sull’Isola Navarino, sulla sponda cilena del Canale: poco più di 1500 abitanti, questo si che è il paese più a sud del mondo!

Il suo porticciolo è il punto d’accesso ufficiale per le navi dirette a Capo Horn e in Antartide e qui gettano l’ancora gli yacht che sono riusciti a doppiare Capo Horn.

In questo villaggio vive l’ultima discendente delle native tribù fueghine, gli Yagham, ha 87 anni e si chiama Cristina (!) Calderon, mentre altre cinque famiglie di discendenza Yagahn, seppur con sangue meticcio, vivono nel vicino piccolissimo villaggio di Villa Ukika.

Ultima tappa di questa navigazione è l’“Isla Martillo”, popolata da una colonia di eleganti pinguini Magellano.

Il catamarano si ferma sulla spiaggia, ma non possiamo scendere a terra, per non disturbare troppo gli animali.

Dobbiamo pertanto limitarci ad osservarli e fotografarli da bordo: anche questo è uno spettacolo indimenticabile, centinaia di pinguini che sguazzano in acqua o camminano a pochi passi da noi!

C’è anche un pinguino politico che tiene un comizio su di uno scranno ma in pochi lo ascoltano.

Sul cielo sopra di noi volteggiano pure delle aquile di mare, ma pochi se ne accorgono, impegnati tutti come sono a guardare i pinguini; ci sono pure cinque esemplari di pinguini Imperatore; naturalmente Stelio, in piena “trance da fauna” è l’unico che li ha individuati e contati!

Dopo questa orgia di pinguini, comincia il viaggio di rientro.

Io, ormai stecchita dal freddo e dal vento, rientro al mio posto nel ventre caldo del catamarano.

Passiamo le due ore di viaggio, chiacchierando piacevolmente con i nostri amici e pure con lo Chef, che ci parla del suo importante lavoro a bordo: comanda un piccolo esercito di 167 persone, 112 cuochi e 55 addetti alle pulizie, è al suo quarto giro del mondo, e oggi si è preso mezza giornata libera.

Il bello delle escursioni Costa è anche questo, il contatto diretto e amichevole con le persone che, dietro le quinte, fanno sì che la nostra crociera sia veramente indimenticabile !

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5 febbraio, Ushuaia, 2° giorno
Oggi niente escursioni, usciamo dal porto senza una meta precisa.

Il tempo è sempre bello e la temperatura è ideale per passeggiare.

Ripercorriamo la Via San Martin, oggi molto più affollata di ieri, vista la contemporanea presenza in porto di ben tre navi da crociera, i cui passeggeri sembra siano tutti a fare shopping!

Ci sono molti negozi di souvenir, ovviamente, ma molti di più di abbigliamento tecnico da montagna e io mi sento come Alice nel paese delle meraviglie; Stelio fatica a trattenermi, ma io, imperterrita, batto a tappeto questi santuari dell’ outdoor, lustrandomi gli occhi.

Non compro nulla, primo perché i prezzi sono molto alti, contrariamente a quanto si pensasse, secondo perché il mio guardaroba di abbigliamento da montagna è già talmente fornito che potrei persino aprire una rivendita…..Stelio dixit!

Ci limitiamo pertanto ad acquistare le immancabili t-shirt, con l’immancabile faro, e dei berretti a forma di pinguino, per le bimbe dei nostri amici.

Il personale dei negozi è gentile e professionale, ma non si spreca in sorrisi o inutili convenevoli; solo una commessa molto gentile ha fatti i complimenti a Stelio per il suo cappello spagnolo.

Non avendo esaurito il tempo a nostra disposizione con lo shopping, decidiamo di prendere un taxi per vedere gli immediati dintorni della città.

Il buon Oscar, di chiare origini italiane, ci porta con la sua Fiat Siena rossa, alle pendici del Ghiacciaio Martial, circa otto chilometri a monte della città: qui si trova una seggiovia, peraltro ferma da tempo per scarsità di fondi, che una volta portava alle piste da sci sui fianchi del ghiacciaio e c’è anche un rifugio di montagna, in vero stile alpino; giusto il tempo per le solite foto e giù di nuovo verso il mare.

Ormai è ora di pranzo e così ci fermiamo nella San Martin, dove pullulano i ristoranti che servono il piatto per eccellenza della cucina locale, la centolla, cioè il granchio reale, le cui zampe possono arrivare anche a un metro di larghezza.

Scegliamo il Dublin Irish Pub, l’unico pub irlandese in Terra del Fuoco, rinomato però per la sua cucina fueghina; qui troviamo pure lo chef Salvatore con due suoi assistenti, che mangiano tranquillamente, allora possiamo stare tranquilli anche noi, la scelta dello chef è significativa!

Mangiamo un piattone di granchio al naturale, annaffiato da una Beagle, l’ottima birra locale.

Ancora due passi vicino al porto per digerire, poi l’immancabile foto vicino al cartello con l’insegna “Fin del Mundo”, che ogni viaggiatore che arriva fin quaggiù deve fare, prima di rientrare sulla nave, stanchi ma estremamente soddisfatti della nostra ultima giornata in terra argentina.

In questi ultimi dieci giorni non abbiamo potuto vedere molto, avremmo avuto bisogno di molto più tempo per visitare uno stato così vasto e complesso, ma lo stesso siamo riusciti a cogliere quella che è l’anima di questo bellissimo paese e della sua gente.

Adios Argentina, terra dai mille contrasti, dove tutte le bellezza naturali hanno la loro sede, terra di immensi spazi e di silenzi, dove il vento e le forze della natura la fanno da padroni!

Adios argentini, popolo rude e coraggioso, orgoglioso della sua terra e delle sue origini, fiero custode delle sue tradizioni, innamorato dei suoi simboli, Tango, Asados e Libertà!

Al nostro rientro in cabina troviamo una gradita sorpresa: come da promessa di Gaetano, ci sono state recapitate la grande carta della Terra del Fuoco, autografata dal Comandante Serra, ed una cartina dei ghiacciai che ammireremo in serata; una bella soddisfazione per Stelio, che aveva richiesto proprio questo, per vivere questi transiti maggiormente informati!

Alle 16.30 la nave lascia il porto di Ushuaia per dirigersi verso Punta Arenas, a 290 miglia marine, navigando nel meraviglioso e strabiliante panorama dei fiordi cileni.

 

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6 febbraio, Canale di Beagle , Fiordi Cileni, Argentina Cile, 

La prima parte della navigazione si svolgerà nel Canale di Beagle: la porzione orientale del canale è attraversata dal confine tra Argentina e Cile, mentre la parte occidentale ricade interamente nel territorio cileno; ha una lunghezza di 240 chilometri e una larghezza di 5 chilometri nel suo punto più stretto; alla sua estremità occidentale la baia di Darwin lo collega all’Oceano Pacifico.

Lungo tutto il suo corso si stagliano imponenti catene di montagne, che non sono altro che la parte finale della Cordigliera delle Ande che qui sembra volersi buttare nell’oceano.

Verso sera passiamo davanti a cinque ghiacciai, che prendono il nome di Ventisquero Olanda, Italia, Francia, Germania, Romanche e Beagle.

Per non perderci nemmeno un minuto di questo spettacolo della natura, ceniamo, ottimamente, al Ristorante Club Deliziosa, dalle cui ampie vetrate possiamo ammirare in tutto il loro splendore i ghiacciai e le cascate di ghiaccio che finiscono in acqua.

Ci fa splendida compagnia Margherita, il più bel sorriso della Costa Deliziosa, con la quale abbiamo voluto condividere questa indimenticabile serata, un modo per ringraziarla per il suo lavoro al Costa Club, per tutte le cortesie e per tutti i sorrisi che regala a noi e a tutti i passeggeri che hanno il piacere di relazionare con lei. Grazie Margherita !

 

 

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7 febbraio, Cile, Punta Arenas
Dopo l’emozionante traversata del Canale di Beagle si arriva nella baia antistante la città di Punta Arenas, capitale della regione delle Magallanes, la Patagonia cilena.

Questa città è stata fondata nel 1848, come colonia penale e guarnigione militare, ed una consistente parte dei suoi abitanti sono di origine croata, in particolare della Dalmazia, giunti fin qua nel diciannovesimo secolo sull’onda della febbre dell’oro nella vicina Terra del Fuoco.

Prima dell’apertura del Canale di Panama, era il principale punto di transito tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico.

Oltre che di allevamento di pecore e commercio di lana, la florida economia locale vive di commerci ed estrazione di risorse naturali, soprattutto il gas che qui è consumato in enormi quantità per il riscaldamento, visto il clima polare.

E’ sede dell’Istituto Nazionale Antartico ed è il punto di partenza privilegiato per le spedizioni scientifiche dirette in Antartide, compresa la NASA che ha una sua sede permanente in città.

Poiché il molo non è sufficientemente grande per ospitare le grandi navi da crociera, la Deliziosa, unitamente ad altre due navi, è costretta a fermarsi in rada.

Noi abbiamo la mattinata libera e scendiamo con la lancia a terra; le operazioni per l’attracco al molo si protraggono per una quarantina di muniti, sia per le avverse condizioni del mare che per la poca perizia del nostro pilota.

Osserviamo allora le diverse reazioni dei passeggeri nel frangente: ci sono i pazienti, come noi, che attendono tranquilli che il pilota porti a termine la complicata operazione; ci sono gli esagitati, tutti i francesi naturalmente, che pretendono di essere riportati sulla Deliziosa, minacciando, in caso contrario, la rivoluzione; ci sono gli esperti, come un signore veneziano, pratico di vaporetti, che dà indicazioni all’ equipaggio sulle tecniche di ormeggio; ci sono gli incazzati, perlopiù tedeschi, che imprecano contro la solita incapacità italiana, anche se il pilota è filippino.

In questo miscuglio di lingue e di comportamenti, tra fischi e applausi, riusciamo finalmente a mettere piede a terra.

Il termometro segna 8 gradi, ma il forte vento che soffia incessante e un’umidità del 95%, ci fanno rabbrividire, nonostante il nostro abbigliamento da alta montagna.

Non ci serve il taxi perché il centro città è a ridosso del porto e lo si può comodamente girare a piedi.

Ci sembra un posto tranquillo, solita architettura di tutte le città argentine, costruite su una scacchiera di strade che si intersecano, formando le cosiddette “quadras”, ovvero gli isolati; al centro la Piazza principale, Plaza des Armas, con il monumento a Magellano e tutti gli edifici governativi ospitati in palazzi signorili e la Cattedrale.

C’è pure il mercatino dell’artigianato locale, soprattutto indumenti di lana di alpaca e prodotti in cuoio, oltre ai soliti souvenir.

Tutto è molto ben tenuto e curato e i venditori non sono per niente aggressivi o appiccicosi, come succede in altre parti del mondo: qui le persone sono gentili, ma al tempo stesso riservate e di poche parole.

Dopo un paio d’ore rientriamo alla nave, perché io mi devo preparare per l’escursione Costa in programma per il pomeriggio, “Trekking nella Foresta di Magellano”.

Siamo solo in venti, di varie nazionalità, sul pulmino che ci porterà al punto di partenza del nostro percorso a piedi.

Con me sono gli amici milanesi Maurizio e Angela, più il nostro accompagnatore Costa, l’onnipresente Marco.

La guida locale, Juan, parla solo inglese, così dovrò prestare maggiore attenzione alle sue spiegazioni.

Il tragitto fino al punto di partenza del percorso a piedi dura una ventina di minuti; il mini bus, una volta superata la ordinata periferia della città, si inerpica sui fianchi della collina, ricoperti da bei parti verdi, dove pascolano mucche e pecore e io mi godo questo bel paesaggio bucolico.

Lasciato il calduccio del nostro mezzo, ci incamminiamo a piedi, inoltrandoci all’interno della foresta, dove la fitta e bella vegetazione ci ripara un po’ dal vento. Juan ci illustra le caratteristiche della vegetazione e della fauna locale, con semplicità e perizia.

Saliamo compatti e dopo tre quarti d’ora giungiamo in cima alla collina chiamata Felton Hill, dove il vento tira più forte che mai, facciamo fatica a mantenere l’equilibrio ed è molto difficile persino fotografare.

Giusto il tempo per ammirare dal Mirador Zapador Austral una splendida vista panoramica sulla città, sullo Stretto di Magellano e sulla leggendaria Isola Terra del Fuoco e per qualche scatto, e poi giù, quasi di corsa, poiché il vento proprio non ci invoglia a rimanere un minuto di più.

Dopo una mezzoretta raggiungiamo la base di partenza, dove ci viene servita la merenda e del buon caffè caldo!

Risaliamo sul nostro bus e non facciamo nemmeno in tempo a riscaldarci, che è già ora di scendere: il tour, infatti, prevede una sosta in città.

Io che ci sono già passata in mattinata, mi fermo al mercatino, ancora aperto, per fare i miei acquisti di souvenir e due sciarpe di lana d’alpaca.

In anticipo sull’orario stabilito, cosa che non succede mai, siamo tutti pronti per rientrare in porto.

Le condizioni meteo, che nel frattempo sono ulteriormente peggiorate, non facilitano il nostro rientro sulla lancia e il pilota, il bravissimo napoletano Giuseppe, riesce ad attraccare pur fra mille difficoltà.

Che giornata ragazzi, la Patagonia Cilena sarà anche bella, ma questo vento è proprio un castigo di Dio, e se lo dico io, che a casa convivo con la bora!

Stelio, rimasto a fannullare sulla nave, mi accoglie con il suo caldo abbraccio, come se fossi reduce dalla vicina Antartide!

La serata è ancora lunga e molti passeggeri scendono a terra per cenare nei ristoranti tipici che servono i granchi giganti e l’ottima birra locale; noi ci guardiamo bene dal farlo perché di freddo ne abbiamo preso abbastanza e nulla ci invoglia ad affrontare un’altra traversata in lancia e abbandonare il caldo delle mura domestiche, pardon, della nostra Deliziosa!

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8 febbraio, Punta Arenas, 2° giorno
Oggi abbiamo un’intera giornata a disposizione per visitare con calma Punta Arenas e vedere tutto ciò che di interessante offre, come il Museo Marittimo, il Museo Salesiano e il Cementerio Municipal, uno dei luoghi di sepoltura più suggestivi del Sud America il lungomare, oltre che provare uno dei ristoranti consigliatici dagli amici che li hanno già testati ieri.

Ma un annuncio tramite altoparlante ci comunica che, causa il forte vento ed il mare mosso, non è possibile calare in acqua le lance; pertanto tutti fermi a bordo in attesa di aggiornamenti.

Il tempo passa, e soltanto verso mezzogiorno è possibile scendere a terra, ci sono le escursioni da fare, anche se viene data la possibilità a chi non se la sente di annullarle senza penale.

Noi, come molti altri, rinunciamo alla nostra escursione e optiamo per una tranquilla giornata in nave, non abbiamo più nessuna voglia di combattere contro il brutto tempo.

Organizziamo il torneo di burraco, non siamo ancora riusciti a vincerne uno, e così andrà anche oggi ma perlomeno abbiamo la gratitudine dei giocatori per il nostro lavoro organizzativo.

Dopo cena, serata dedicata alla musica anni ’70 e chi non è morto di freddo si scatena al ritmo sfrenato della Disco Music che imperversa sia al Gran Bar con i ragazzi dell’animazione, sia al Bar Alcazar dove Pietro fa il mattatore, trascinando tutti nel suo vortice.

 

9 febbraio, Stretto di Magellano, in navigazione
Oggi continua la navigazione nello Stretto di Magellano.

Il tempo è pessimo, il termometro segna 8°, il vento tira a 80 km/h e c’è un’umidità del 99%: ci vuole pertanto molto coraggio per salire al ponte 11 per fotografare il ghiacciaio Amelia che si para proprio davanti a noi in fondo al fiordo!

Con altre condizioni di tempo, oggi sarebbe stata una navigazione splendida in questo braccio di mare, dove una natura selvaggia ci è così vicina che ci sembra quasi di poterla toccare; invece dobbiamo accontentarci di ammirarla dalle finestre dei saloni o dalla nostra cabina.

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10 febbraio, Oceano Pacifico, in navigazione
Il tempo non migliora ed è persino interdetto, per troppo pericolo, l’accesso al ponte 3.

E allora via con le attività, trascurate nelle faticose giornate in terra argentina, come ginnastica, zumba, burraco; riprendo pure i corsi di ballo e costringo anche un riluttante Stelio a partecipare per farmi da cavaliere, lui che non sopporta perdere tempo a contare passi con i dilettanti.

Poi però la sera mi fa ballare in pista con lui e ammette persino che sto facendo notevoli miglioramenti.

Stasera SERATA ITALIANA: la maggior parte degli ospiti, noi compresi, sono vestiti in tricolore, un bel colpo d’occhio!

In ristorante i nostri camerieri si esibiscono nello spettacolo di canzoni italiane e coinvolgono tutti i commensali in un vortice di canto e ballo, sulle note delle più famose melodie nostrane.

La festa poi prosegue al Gran Bar con balli e canti di gruppo in un’atmosfera di totale allegria, che avvolge tutti i presenti, italiani e non!

 

 

11 febbraio, Cile, Puerto Chacabuco
Ovvero, il posto che non conosceremo mai!

Viste le condizioni meteo avverse, vento forte e mare agitato, le lance non possono essere calate in acqua; pertanto questa tappa del nostro viaggio viene annullata e la Deliziosa prosegue la sua rotta nei fiordi cileni in direzione nord verso Puerto Montt, distante 284 miglia marine, ad una velocità di 6/7 nodi per non arrivare troppo in anticipo sull’orario previsto.

Questo paesino di duemila anime deve la sua importanza al fatto che è un punto strategico della Carretera Austral, la strada più famosa dell’emisfero sud: questa strada, lunga 1.240 Km, la cui costruzione fu iniziata nel 1976, durante la presidenza Pinochet, collega da nord a sud la Patagonia cilena e attraversa un’area caratterizzata da fitte foreste, fiordi, ghiacciai, canali e ripide montagne ed è stato necessario l’impiego di oltre diecimila soldati per portarne a termine la sua costruzione, che durò vent’anni.

Le sole attrazioni di questo scalo sono le bellezze naturalistiche dei parchi nazionali o privati di quest’area, la natura selvaggia del distretto di Aysen fatta di laghetti, cascate oppure la navigazione in catamarano lungo il fiordo di Aysen, alla scoperta del magnifico panorama circostante, ricco di specie faunistiche e di flora tipica del nord della Patagonia.

Annullato lo scalo, fra le immancabili proteste di chi tutto contesta, non rimane che improvvisare un’imprevista giornata a bordo.

Oltre alle solite attività, si passa anche tanto tempo ad osservare il bellissimo panorama che si para ai nostri occhi, visto che la navigazione si svolge sempre all’interno dei fiordi.

Lungo le coste non notiamo nessuna traccia d’insediamenti umani, solo la rigogliosa e selvaggia natura di questi posti tanto belli quanto inaccessibili.

Di questa “isola che non c’è” ci resterà il grande rammarico di non averla vista con il sole e la giusta luce, ma solo attraverso una nebbia che l’ha resa ancor più misteriosa.

 

 

 

12 febbraio, Cile, Puerto Montt
Dopo quattro lunghi e nebbiosi giorni di navigazione, finalmente un bel sole ci accoglie al nostro arrivo nella baia di Puerto Montt, città di 230.000 abitanti, capitale della regione Dos Lagos, chiamata così vista la presenza di molti laghi, fra i quali il più esteso di tutto il Cile il Lago Llanquihue.

Ci accorgiamo subito del cambio di temperatura, effetto della risalita di qualche parallelo verso l’equatore (Ushuaia dista ormai 1.350 miglia): non più il gelo antartico che ci ha penetrato le ossa fino a ieri, bensì un piacevole tepore che ci riscalda il cuore!

Oggi niente escursione con Costa, decidiamo di arrangiarci da soli, dopo il solito e attento studio preventivo del territorio.

L’ obiettivo di giornata é la visita della città di Puerto Varas e del paesino di Fruttilar situati proprio sul lago Llanquihue.

La nave è in rada, perciò altro sbarco in lancia, e questa volta senza intoppi.

Sono con noi il Cruise Director Gaetano e il Capo Tecnico Josè, oggi in libera uscita, ai quali diamo delle buone dritte su come trascorrere le preziose ore di riposo.

Come nel porto di Punta Arenas, al posto di controllo doganale, i nostri zaini vengono scrupolosamente ispezionati, in quanto in Cile è vietatissimo portare frutta, verdura, latticini, carne, cibi secchi e disidratati, e, se colti in fallo, è prevista una multa di 300 pesos cileni; Io, con le mie caramelle Big Fruit, portate dall’Italia, la passo liscia, ma molti passeggeri si vedono confiscare banane e quant’altro dai doganieri.

Tutto ciò non succede in Argentina, dove i viaggiatori che sgranocchiano frutta secca non sono considerati alla stregua di delinquenti.

Con il tassista Abel, per la modica cifra spesa di 50,00 €, a bordo di una berlina Samsung, si proprio una Samsung, partiamo alla scoperta di questo territorio, che col passare dei chilometri e delle ore ci sembra proprio bello.

Questa zona è stata fin dalla metà del diciannovesimo secolo terra di colonizzazione delle popolazioni germaniche e, vuoi per la conformazione del terreno, vuoi per l’architettura tipica di città e paesi che troviamo sul nostro percorso, ci sembra di stare in un’ angolo di Mitteleuropa: prati verdi, campi di grano, mucche al pascolo, dolci pianure intervallate da altrettanto dolci colline, oltre al lago sul quale si rispecchia maestoso il vulcano Osorno, alto 2.650 metri, con la sua cima innevata.

Anche la strada che collega Puerto Montt a Puerto Varas è piacevole da percorrere, anche se attraversa zone periferiche, peraltro molto ordinate, e zone industriali-artigianali, anche queste sorte nel massimo rispetto per l’ambiente circostante.

Ci fermiamo prima a Puerto Varas, distante 30 Km da Puerto Montt: tutte le case, anche quelle di recente costruzione, sono costruite in legno, con la tecnica alpina delle “scandole” e sono dipinte in vari colori dai toni pastello.

C’è un bel lungolago, in parte adibito a spiaggia (c’è pure gente che fa il bagno, anche se la temperatura dell’acqua non raggiunge i 15°), in parte ricoperto da bei praticelli verdi.

Sulla riva si ergono diversi alberghi, tutti rivestiti in legno e con i tetti spioventi, proprio come in montagna.

C’è tanto verde, tanta pulizia e tanta tranquillità, anche se qui siamo in estate e la stagione turistica è al suo culmine.

Fatte le foto di rito con il vulcano sullo sfondo, proseguiamo il viaggio fino a raggiungere il paesino di Fruttilar, distante 15 km, anch’esso fondato nel 1856 dai coloni tedeschi.

Qui l’economia è basata esclusivamente sull’ agricoltura e l’allevamento, e notiamo subito all’ingresso del paese diverse cooperative agrarie, caseifici, industrie conserviere e macellerie, esattamente come “da noi” (in Trentino!).

Il centro del paese si snoda tutto sul lungolago, con le sue casette di legno immerse in splendidi giardini, i suoi numerosi locali, tutti con nomi tedeschi, come “Am See”, “Altes Dorf”, “Blumen Dorf”; c’è anche il Museo Coloniale Aleman ed il Circolo Ricreativo Aleman; insomma, qui si respira un’aria che di sudamericano ha assai poco, sembra piuttosto di essere in un angolo di Baviera, chissà come capitato quaggiù nella parte più remota del Cile!

Dopo una rilassante passeggiata sul lungolago, decidiamo di rientrare alla base, percorrendo questa volta tutta la strada costiera, potendo ammirare così il vulcano da ogni angolazione ed anche il paesino di Llanquihue, meno turistico degli altri ma per questo ancor più caratteristico.

Una volta giunti in città, ci facciamo lasciare da Abel in pieno centro, per poter vedere anche questa zona cittadina non lontana dal porto.

La struttura urbanistica è uguale a tutte le altre città patagoniche che abbiamo già visitato, cioè pianta a scacchiera con la piazza principale (Plaza de Armas) al centro; attraversiamo la zona del mercato di strada.

Contrariamente a quello che succede in Italia, qui i mercati rimangono aperti fino a sera inoltrata, perciò, anche se è tardo pomeriggio, c’è un gran brulicare di persone del posto intente a fare acquisti, mentre i turisti si limitano perlopiù a curiosare, perché nulla di quello che si vede sulle bancarelle invoglia a metter mano al portafoglio.

Percorriamo quindi il lungomare che ci porta al Terminal passeggeri dove Stelio si arrende e prende la prima lancia disponibile.

Avendo ancora del tempo a disposizione, io mi fermo al Terminal delle corriere per curiosare un po’:è un posto enorme, perché da qui partono centinaia di bus, ed è affollato da centinaia e centinaia di passeggeri, la maggior parte dei quali con zaino in spalla, in partenza per le molte destinazioni turistiche cilene, argentine e della Patagonia in particolare.

Mai avrei pensato che in una città relativamente piccola potesse esserci una stazione delle corriere così grande!

Continuando la mia strada, visito anche il famoso Mercado Angelmo, il mercato dell’artigianato locale che si trova nell’omonimo quartiere, subito alle spalle del porto, mescolandomi alla marea di turisti sbarcati oltre che dalla Deliziosa anche dalla Golden Princess (costruita nella nostra Monfalcone) ancorata proprio vicino a noi.

Rientro sulla nave con una delle ultime lance, poco prima della partenza per Valparaiso, dove arriveremo nella serata di dopodomani (645 miglia).

Per finire la giornata, al ponte 9, SERATA LATINA, con balli, divertimento con l’equipe di animazione e la musica del DJ Cristiano; Stelio disperso da qualche parte, io non ballo, ma chiacchiero piacevolmente con i nostri Gaetano, contento della sua gita “fuori porta”, e Margherita, afflitta da raffreddore “da ghiacciai”! Buonanotte.

 

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13 febbraio, Oceano Pacifico, in navigazione
Lasciata alle nostre spalle la bellissima e freddissima Patagonia con i suoi ghiacciai e i suoi fiordi, prosegue la navigazione verso nord, destinazione Valparaiso a 645 miglia marine da Puerto Montt.

Un po’ di meritato riposo dopo le fatiche patagoniche e attività di assoluto riposo: torneo di burraco, che finalmente ci vede vincitori, e soprattutto tante “ciacole” con gli amici.

Siccome noi, per limitazioni di ordine fisico di “qualcuno”, non possiamo fare le escursioni cosiddette “overland”, ovvero quelle che prevedono pernottamenti esterni alla nave, ci dobbiamo accontentare degli entusiastici resoconti degli amici che hanno avuto la possibilità di farle.

C’è un folto gruppo composto da Massimo, Flavia, Arrigo, Anna, Alfredo, Gloria, Italo, che è stato al Ghiacciaio Perito Moreno e nel Parco Torres del Paine.

Il nostro grande amico Italo, appassionato viaggiatore come noi e col quale viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda ci regala, come per altre sue escursioni, i suoi bellissimi video, rendendoci così partecipi del suo personalissimo viaggio e delle sue emozioni.

I simpaticissimi amici torinesi Massimo e Flavia hanno fatto l’escursione della Carretera Austral, unici italiani in un gruppetto di diciannove persone, partendo da Punta Arenas, con pernottamento previsto di quattro notti, che poi sono diventate cinque, causa l’annullamento dello scalo a Puerto Chacabuco.

In questi cinque giorni, spostandosi in bus, in aereo, in barca, a piedi, hanno avuto la possibilità di visitare le zone più selvagge e remote della Patagonia, alloggiando nelle caratteristiche baite di montagna, dove le spartane camere da letto erano riscaldate solo dal caminetto, prima di cadere sfiniti per la stanchezza nei confortevoli letti del lussuoso Hotel Kennedy a Santiago del Cile.

Il bello della crociera è anche questo, condividere esperienze ed emozioni con gli amici e questa comunione quotidiana arricchisce ulteriormente il nostro viaggio, rinforzando il senso di appartenenza a questa strana “community”!

 

 

14 febbraio, Cile, Valparaiso
Comincio bene la mia giornata: Stelio mi regala per San Valentino ?? un bel ciondolo con un lapislazzulo, la pietra locale, che fa pendant con anello e orecchini!

Oggi si può quasi considerare giornata in navigazione, perché l’arrivo a Valparaiso è previsto solamente per le ore 19.00.

Pertanto cerchiamo di far passare le ore con le solite attività sportive-danzanti-ludiche.

Vinciamo per la seconda volta consecutiva il torneo di burraco, cosicché vediamo aumentare la nostra dotazione di gadget Costa a forza di vincite nelle varie manifestazioni di bordo, non solo con le carte.

Valparaiso, capitale dell’omonima regione, città di 275.000 abitanti è la capitale amministrativa e principale porto del Cile, e con i comuni limitrofi forma un’area urbana di circa un milione di abitanti.

E’ costruita su quarantacinque colline, chiamate “Cerro” e le strade più ripide sono servite da 15 Elevadores.

Il centro storico e i vecchi ascensori nel 2003 sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità.

Alle 19.00, puntuali come gli svizzeri, giungiamo nel porto di Valparaiso, ma, con grande disappunto del Comandante Serra e del suo staff, troviamo la banchina ancora occupata dalla Golden Princess, che ci ha preceduto in ogni tappa finora, e dobbiamo aspettare più di un’ora prima di avere via libera per le operazioni di attracco.

Pertanto il nostro programma, che prevedeva la discesa a terra con cena di San Valentino, è scombussolato da questo ritardo; mangiamo a bordo e solo dopo cena, usciamo in compagnia degli amici torinesi Beppe e Clara.

Fra milioni di container accatastati sulla banchina, e le navi da guerra dell’Armada de Chile alle sue spalle, la Deliziosa è attraccata sul molo Prat, proprio di fronte alla piazza principale della città, che si potrebbe raggiungere in pochissimi passi.

Ma la “mafia” locale impone alla Costa il divieto di transito dei passeggeri nell’area portuale, rendendo obbligatorio l’uso dei bus navetta per poter accedere al terminal passeggeri e all’uscita verso la città, distante circa tre chilometri dalla nave, per dover quindi prendere un taxi per ritornare verso il centro, una vera assurdità, tanto per far guadagnare le compagnie di bus e i tassisti!

Si uniscono a noi anche Margherita e Antonino e, a bordo di un taxi raggiungiamo, inerpicandoci su una ripida via, il Cerro Alegre, la zona che ci è stata indicata come il centro della movida locale.

In effetti, è tutto un pullulare di locali che straripano di persone che in tutta allegria festeggiano il sabato sera e san Valentino; per fortuna noi quattro abbiamo già mangiato, mentre sarà dura per Margherita e Josè, che ci abbandonano, trovare due posti liberi per cenare.

Ammiriamo il bel panorama della città con le sue colline illuminate che la fanno sembrare un presepe e tutti gli edifici ricoperti da splendidi murales.

Riscendiamo a piedi verso il porto, passando per strade pulite e, benché affollate, apparentemente tranquille.

Giunti nella piazza principale, proprio di fronte alla nave, siamo costretti a riprendere il taxi che ci porta al terminal dove riprendiamo lo shuttle bus che ci riporta, infastiditi, a bordo!

 

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15 febbraio, 2° giorno, Santiago del Cile
Oggi, ma solo per me, è in programma l’escursione nella capitale Santiago del Cile, che durerà tutta la giornata; per Stelio sono troppe le ore “fuori casa”, pertanto lui si organizza un’uscita a corto raggio da solo e mi dà in affido temporaneo agli amici Franco e Giorgia, che mi terranno compagnia per tutta la gita.

Valparaiso è avvolta dalla nebbia, la temperatura non supera i 15° con la solita umidità del 90% e con queste belle premesse atmosferiche ci infiliamo sul bus n. 8 in partenza per Santiago, distante 110 km.

Con nostra grande sorpresa, dopo pochi chilometri appare all’orizzonte un sole splendente ed il panorama cambia completamente.

Il bus procede spedito in autostrada attraversando un territorio meraviglioso: si susseguono tre vallate (Casablanca, Veramonte, Mapucho) ricoperte da boschi di palme cilene, colline di vigneti e uliveti, ininterrotte coltivazioni di fiori, verdure, cereali, e frutta, specialmente avocado e mandorle; insomma, questa è la parte più aperta e florida di questo paese, lungo ben 4.500 km e che, nel punto di massima larghezza, non raggiunge i 200 km, incastrato com’è fra la Cordigliera delle Ande a est e l’Oceano Pacifico a ovest.

In tutto questo territorio si trova un solo centro abitato, Casablanca, famoso per i suoi vigneti e per le sue cantine, che producono un ottimo vino esportato in tutto il mondo.

La cosa strana è che all’infuori di questo paese e del traffico autostradale non notiamo nessuna forma di vita, non si vede nessuno in tutta questa campagna e io mi chiedo chi mai lavora queste fertili terre.

Nel frattempo la temperatura esterna è in continuo aumento e così a bordo del bus scoppia la solita guerra dell’aria condizionata: il povero autista si trova tra due fuochi, cioè il popolo dei “sani”, quelli che invocano a gran voce un po’ di refrigerio, e il popolo degli “ammalati”, in maggioranza, afflitti da raffreddori-tossi-faringiti-laringiti ecc. che invocano un po’ di pietà, e così per non scontentare nessuno, sceglie la linea dell’alternanza, con conseguenze che si riveleranno a posteriori micidiali, mietendo vittime in ambo gli schieramenti.

E così, in questo bell’ambientino, raggiungiamo dopo un’ora e mezza di viaggio la capitale.

Santiago del Cile, fondata come quasi tutte le grandi città sudamericane dagli spagnoli nel sedicesimo secolo, conta oggi 4.500.000 abitanti che diventano 7.000.000 con la regione metropolitana, vale a dire più del 40% dell’intera nazione, e produce da sola il 50% di tutta l’economia nazionale.

E’ la capitale politica, economica, finanziaria e culturale ed è una città piena di attrazioni, eventi, cultura e vita notturna.

Oggi è domenica ed è tutto ma tutto chiuso, negozi, bar, ristoranti; sono aperti solo i musei, il cui ingresso è gratuito, e le chiese.

Il traffico è praticamente inesistente, perciò il nostro pullman si muove veloce lungo vie e viali della città, riuscendo a parcheggiare in prossimità di tutti i siti che visitiamo, con risparmio di tempo e di sofferenza; la temperatura è torrida, il termometro cittadino segna 36° e questi continui sbalzi di temperature cui è sottoposto il nostro fisico spiegano il perché dei malanni dell’apparato respiratorio che affliggono una buona parte dei passeggeri e dell’equipaggio della Deliziosa.

Troviamo per primo sulla nostra strada il più grande e più bell’ippodromo del Sudamerica, costruito dagli inglesi, copiando per intero il famoso ippodromo londinese di Longchamp; naturalmente, essendo domenica mattina, non ci sono ne’ cavalli né cavalieri!

Poi entriamo in pieno centro, nella Città Vecchia, e ci fermiamo nella Plaza de Armas, proprio davanti al Palazzo Presidenziale, teatro di tragici eventi negli anni bui della dittatura di Pinochet.

La nostra brava guida Veronica ci fa un panorama storico-politico del paese, senza però esporsi troppo, proprio sotto il monumento dedicato a Salvador Allende.

Montano la guardia due “Carabineros” in alta uniforme a cavallo, davanti ai quali tutti fanno quasi a botte pur di farsi fotografare.

Visitiamo quindi il Centro Culturale della Moneda, la Cattedrale, il Museo di Storia Nazionale, con la sua prestigiosa raccolta di opere d’arte dall’epoca precolombiana alla rivoluzione, passando tramite le memorie risalenti al periodo della colonizzazione.

In questa bella piazza comincia a vedersi anche un po’ di vita, sotto forma di famigliole a spasso, ciclisti e runners in piena libertà, visto il traffico inesistente, anche per la chiusura delle vie del centro cittadino per lo svolgimento pomeridiano di una corsa ciclistica.

Tutta la zona ci sembra molto pulita, pattugliata discretamente dalla polizia e non c’è il solito assalto dei venditori di souvenir.

L’unica cosa che dà veramente fastidio è il caldo afoso, quasi insopportabile.

E’ pertanto con grande sollievo che ci fermiamo per la pausa pranzo in un grande e fresco locale, in grado di ospitare centinaia di persone.

Con nostra sorpresa scopriamo che, oltre al pranzo, è previsto anche uno spettacolo folcloristico di musiche e balli attraverso i costumi e i ritmi cileni; e così mentre mangiamo, poco e male a dir la verità, ci gustiamo almeno un’ora di splendido spettacolo.

Usciti dal ristorante, siamo investiti da un’ondata di caldo torrido, prima di salire nel nostro bus-frigo, col quale percorriamo tutte le più importanti arterie cittadine, fra le quali la Avenida O’Higgins che separa la città vecchia dalla città nuova.

Dopo aver attraversato il fiume Mapocho, che scende dalle Ande e taglia in due la città con la sua acqua di un bel color marrone, saliamo in bus fino al punto panoramico della collina di San Cristobal, per ammirare una vista a 360 gradi sulla città e sulle vette andine che la circondano in un magnifico abbraccio.

Ripercorriamo a ritroso i 110 km che ci separano da Valparaiso, dove arriviamo stanchi morti nel tardo pomeriggio.

Anche se non mi resterà nel cuore, sono contenta di aver visitato questa metropoli, ordinata e pulita, affascinante nel suo contrasto fra storia coloniale e modernità.

Mentre io soffro al caldo di Santiago e al freddo del bus, Stelio si spinge, sul multicolore autobus locale, fino alla confinante città di Viña del Mar, per una ricognizione esplorativa in vista della giornata di domani, dove è prevista la nostra escursione Costa.

Il tempo, per lui che patisce, ancor più di me, il caldo è l’ideale: 15°, nebbiolina e pioggerellina…..sai che allegria!

E così, in perfetta solitudine, passeggia sul bel lungomare cittadino, animato, a dispetto del tempo bruttino, da una moltitudine di gente che festeggia una domenica estiva al mare, facendo pure il bagno nelle gelide acque del Pacifico, com’è strano il mondo!

Dopo una decina di chilometri ed un caffè slavato rientra poco prima di me in nave.

Oggi si sono imbarcati pure i nostri amici romani Ida e Pino, già compagni di viaggio nel 2013 e artefici del primo raduno dei Costadeliziosiani ad Abano nel 2014, che faranno la seconda tratta, fino a Sydney.

Che bella sorpresa!

 

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Fine prima Tratta

 

 

Capitolo 2

Seconda tratta

Da Valparaiso a Sydney
16 febbraio – 15 marzo

 

 

 

 

16 febbraio, 3° giorno, Cile, Viña del Mar
Oggi la nostra sveglia suona alle 6.15 perché alle 7.15 c’è il punto d’incontro dell’escursione “ La città di Valparaiso e le bellezze di Viña del Mar “.

Peccato che io mi alzi con un tremendo raffreddore, eredità della gita di ieri a Santiago, che fuori sia ancora notte e che piova, roba da mettersi a piangere.

Ovviamente di tutto ho voglia tranne che di uscire, ma non voglio lasciare da solo e per il secondo giorno consecutivo Stelio, che invece è guarito dalla sua bronchite.

Così alle 8.00 siamo già sul pullman che ci porterà per mezza giornata in giro per la città: questa volta non ci sarà il problema dell’aria condizionata, ma quello del riscaldamento!

La nostra guida ci conduce alla scoperta dei monumenti e degli scorci più significativi di Valparaiso, passando dal quartiere di Playa Ancha, dove si trova l’Accademia Navale Cilena, verso la zona più pittoresca e popolare della città dove ammiriamo la Chiesa La Matriz, la Plaza Echaurren e l’imponente Palazzo del Governatore, la Plaza Victoria, principale piazza cittadina, con il mausoleo di Bernardo O’Higgins, l’eroe nazionale cileno.

Dopo aver attraversato il quartiere universitario, Valparaiso vanta un gran numero di importanti università che attirano studenti non solo dal Cile ma da tutto il Sudamerica, riscendiamo verso il porto e da qui, percorrendo una strada costiera lunga cinque chilometri con spettacolare vista oceanica, raggiungiamo il centro di villeggiatura più rinomato della costa cilena, la graziosa cittadina di Viña del Mar, che poi tanto cittadina non è, visto che conta 200.000 abitanti.

Un tempo non era altro che la residenza estiva dell’aristocrazia e della classe agiata del paese, come si evince dalle bellissime ville in stile coloniale; a partire però dagli anni sessanta ha conosciuto un’espansione progressiva che l’ha portata alle dimensioni attuali, attraverso un’imponente opera di cementificazione, che l’ha riempita di grattacieli, alberghi e condomini, piazze e lunghi viali alberati, togliendole quel fascino di luogo elitario.

La prima tappa per noi è sul lungomare in Avenida Perù, davanti al Casinò Municipale, elegante edificio in puro stile liberty, con i suoi curatissimi giardini.

Io faccio pure una capatina all’interno, per vedere le grandi ed eleganti sale da gioco, a quell’ora vuote e silenziose.

Da questo punto sul lungomare si può vedere anche la possente struttura del Castello Wolf, la residenza Presidenziale, a picco sul mare.

Seconda sosta, al Museo di Scienze Naturali Fonk, davanti al quale troneggia l’unica statua Moai che si trova al di fuori dell’Isola di Pasqua, che naturalmente calamita tutte le attenzioni e gli scatti fotografici.

Proseguiamo il nostro tour lungo la costa in direzione nord fino alla cittadina di Renaca, che ricalca in piccolo la più grande e famosa Viña del Mar, ma che offre in più un angolo di spiaggia con delle rocce sulle quali hanno stabilito la loro dimora stormi di gabbiani e pellicani, oltre che una nutrita colonia di leoni marini.

Stelio, in piena trance da animali, spara a raffica con la mia Canon e riesce persino a immortalare un avvoltoio che tranquillo passeggia sulla sabbia prima di librarsi in aria con le sue forti ali, una vera goduria per lui che adora tutto quello che appartiene al mondo animale!

Finita la scorpacciata faunistica, via di nuovo verso Viña del Mar, per l’ultima sosta, la foto di rito davanti al bellissimo orologio floreale.

Noi non vediamo l’ora che questa escursione finisca perché, sia per colpa del tempo avverso che delle mie condizioni di forma non ottimali, non abbiamo potuto apprezzare in pieno le bellezze di queste due perle della costiera cilena.

Appena il tempo di pranzare e via subito a letto, una buona dormita e un’aspirina dovrebbero riportarmi al mio standard normale.

Un po’ prima delle 18.00, orario di partenza previsto, sono svegliata dagli altoparlanti di bordo che annunciano a tutti i passeggeri che, a causa di “problemi tecnici”, la partenza sarà rinviata a domani ad un orario che sarà comunicato in seguito!

Costernazione generale, quasi panico, oddio cosa mai sarà successo?

E’ la prima volta che succede!

Tutti si arrovellano il cervello per trovare i motivi di questa ritardata partenza e conseguente notte supplementare nel bel porto di Valparaiso, dove ventiquattrore al giorno vengono movimentati milioni di container.

Tanti passeggeri organizzano un’insperata discesa a terra alla ricerca di ristoranti o negozi dove spendere gli ultimi pesos, mentre noi rinunciamo senza esitazione alcuna al pacchetto, già tante volte sperimentato, di shuttle bus + terminal + ispezione doganale anti/banane + annusamento da parte dei feroci cani anti merendine.

Bighellonando nei saloni del ponte 2, troviamo Pino e Ida, vabbè arrivati ieri, che chiacchierano tranquillamente con Mauro e la sua complice affettiva Franca, nostri compagni di viaggio nel 2103, nonché fondatori del Club dei Deliziosiani, grandi amici nostri, con i quali non abbiamo mai perso i contatti in questi due anni.

Ebbene, grazie alla complicità di Pino e Ida, questi due signori sono riusciti a tenerci nascosto il fatto che si sarebbero imbarcati a Valparaiso per compiere insieme a noi la traversata fino a Sydney: la gioia di ritrovarli è pari all’incredulità di trovarceli inaspettatamente a bordo!

Dopo i convenevoli di rito, comodamente seduti sui divani del Bar centrale, aggiorniamo i quattro amici su quello che è successo in crociera prima del loro arrivo e cominciamo già a fare progetti per i giorni a venire.

Evvai, da oggi il nostro viaggio avrà un valore aggiunto, con questa bella compagnia.

Una delle congetture per il ritardo è che si debbano aspettare i passeggeri che hanno fatto l’overland a Machu Picchu.

Ma questa voce non trova fondamento perché dopo cena incontriamo i nostri amici torinesi Arrigo e Anna, rientrati in mattinata dall’escursione.

Stiamo ad ascoltare il loro entusiastico racconto su questo viaggio, fatto in compagnia di altre ventisei persone, durato 5 giorni, con destinazione Machu Picchu e l’antica città di Cusco, la capitale archeologica delle Americhe, centro nevralgico dell’impero Inca.

Sono partiti da Puerto Mont e con due voli hanno raggiunto prima Santiago e poi Cusco, facendo scalo a Lima e altri due voli per il rientro a Valparaiso; in pratica dei cinque giorni, due li hanno passati negli aeroporti, ma secondo loro ne è valsa veramente la pena !

 

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17 febbraio, in navigazione
La mattinata a bordo trascorre nella spasmodica attesa della partenza che avviene solamente alle 11.30.

Poiché l’Isola di Pasqua dista ben 1996 miglia marine da Valparaiso, vale a dire quattro giorni di navigazione, il timore di tutti è che non si giunga in tempo con quella che in assoluto è la tappa più attesa del nostro viaggio, l’isola dei grandi Moai, nonostante l’assicurazione, da parte dei responsabili di bordo, che questo non succederà.

Ci accorgiamo subito che la Deliziosa viaggia a una velocità mai toccata fino ad ora, vale a dire dai 21,5 ai 22 nodi, circa 40 chilometri l’ora, nonostante un forte vento contrario che spira dagli 80 ai 90 chilometri l’ora, pertanto “ xe come eser a Trieste co la bora a 130 ”; oltretutto l’Oceano incazzato produce delle lunghe onde, i cui spruzzi, con il vento, arrivano fino al ponte 10.

Questa velocità di crociera ci lascia ben sperare per un arrivo puntuale all’isola dei nostri sogni.

Naturalmente tutto ciò porta ad una inevitabile conseguenza: metà dei passeggeri inizia a soffrire il mal di mare, e meno male che la velocità della nave riduce in parte l’effetto rollio e beccheggio, altrimenti le sofferenze sarebbero ancora maggiori!

Visto che il raffreddore mi impedisce di partecipare alle attività sportive del mattino, Stelio mi appioppa l’ingrato compito di mettermi in coda all’ufficio escursioni per prenotare le gite della seconda tratta, messe in vendita oggi, dal momento che lui non ha la pazienza sufficiente, con la promessa di venire di tanto in tanto a salutarmi….bontà sua!

Passata un’ora abbondante, viene a trovarmi anche la dolce Flavia, che mi porta pure un caffè per consolarmi!

Passate le due ore di coda, arriva finalmente il mio turno e, come per incanto, compare anche Stelio, pronto con la lista dei desideri.

Peccato che le escursioni che avremmo voluto fare siano già tutte sold out e pertanto dovremmo arrangiarci da soli ad organizzare i nostri scali nelle isole polinesiane, anche se questo non sarà un problema per noi.

Otteniamo solo di cambiare un’escursione gratuita a Auckland, già fatta nel 2013, con un’altra di valore superiore, per la quale dobbiamo pagare un consistente conguaglio.

Senz’altro una bella mattinata!

Dopo pranzo una brutta notizia ci arriva inaspettata: il nostro amico Italo, il bocia della compagnia, è stato colto da infarto ieri pomeriggio ed è stato ricoverato nell’ospedale di Valparaiso, una vera mazzata per noi, ma soprattutto per lui, così pieno di vita e di entusiasmo per l’avventura che sta vivendo.

La speranza nostra e di tutti gli amici che hanno la fortuna di conoscerlo è che il suo forte fisico reagisca bene, in modo che possa risalire presto a bordo e continuare con noi il viaggio dei suoi sogni.

Noi staremo ad aspettarlo, pregando per lui, FORZA ITALO !

Oggi abbiamo lasciato il continente sudamericano, a noi prima sconosciuto.

Ci ha sorpreso in positivo per la bellezza delle sue terre, per il carattere forte e fiero dei suoi abitanti, per la storia e le tradizioni che trasudano dai suoi siti.

La nostra avventura continua nei mari del sud, nelle remote isole polinesiane, per prima l’Isola di Pasqua, la più lontana e la più misteriosa di tutte le isole del mondo.

 

 

19feb navigazione

 

 

 

18,19,20 febbraio, navigazione

 

 

 

21 febbraio, Cile, Isola di Pasqua
C’è uno scoglio piantato in mezzo all’Oceano Pacifico, alcune centinaia di chilometri a sud del Tropico del Capricorno, uno scoglio pieno di storia,
misteri, drammi, enigmi, fascino: in maniera ancora ignota, questo minuscolo granello di terra ha dato vita a una delle culture preistoriche più
affascinanti e misteriose del mondo, questo scoglio è l’Isola di Pasqua!

Rapa Nui, una minuscola isola nel Pacifico meridionale, è la più isolata delle terre abitate del globo: è situata alla latitudine 27° S, alla longitudine
109° O, a circa 2250 km a sudest di Pitcairn, la più vicina isola abitata, e patria dei discendenti degli ammutinati del Bounty.

Il punto dell’America del Sud più vicino è Concepcion, in Cile, a 3747 km in direzione sudest.

Una lontananza assoluta e opprimente: l’Isola di Pasqua, scoperta il 5 aprile 1722 dal comandante olandese Jacob Roggeven a bordo dell’Afrikaansche Galei, si trova a cinque o sei ore di aereo dalla terra più vicina.

I suoi abitanti la chiamano Rapa Nui, Grande Rapa, nome coniato dai marinai tahitiani che la ritenevano somigliante all’Isola di Rapa, in Polinesia, a 3850 chilometri in direzione ovest.

Ha la forma di un triangolo pressoché simmetrico, con lati di 22, 18 e 16 Km; la superficie totale è di soli 166 km quadrati; ci abitano 5.000 persone, in gran parte di origine polinesiana, che vivono nel capoluogo Hanga Roa, l’unico centro abitato in tutta l’isola.

E’ ancora buio quando vediamo pararsi davanti a noi l’isola tanto sognata.

Non vediamo l’ora di scendere a terra per scoprire i suoi misteri e le sue bellezze.

A bordo c’è un gran fervore e dall’impazienza di tutti di sbarcare si capisce che questa non sarà un’escursione come le altre e che questa sarà una giornata veramente speciale.

Già in autunno, in fase di preparazione di questo nostro lungo viaggio, cercando di raccogliere più informazioni possibili riguardo a questa meta, spulciando un po’ nel vari blogs di viaggio, ero riuscita a trovare l’indirizzo mail di un tassista.

Poiché l’isola è piccola e non abbondano i servizi per i turisti, era essenziale arrivare qui già organizzati senza dover cercare al momento dello sbarco un arrangiamento.

Dopo una fitta e complicata corrispondenza con il Señor Mito Minutomatoma, questo lo strano nome del tassista, sono finalmente riuscita a confermare per oggi un servizio di auto con guida per tutta la giornata a terra, per noi e per i nostri amici veneziani Franco e Giorgia, cosa invidiatissima da tanti
passeggeri, non altrettanto previdenti.

E così, allorquando, poco prima delle dieci, sbarchiamo dalla lancia nel porticciolo di Hanga Piko, troviamo ad attenderci Mito con la sua scassatissima Nissan, il quale ci bacia e ci abbraccia come fossimo amici di vecchia data (siamo comunque amici su Facebook).

Mito è un bell’uomo, dal tipico aspetto polinesiano, fisico possente, pelle ambrata, capelli lunghi, sorriso smagliante, insomma un bel tipo.

Ma non sarà lui ad accompagnarci, perché ci affida a sua moglie Cristina “Cristy”, altrettanto giovane, bella e simpatica; naturalmente Stelio e Franco apprezzano il cambio di conducente!

Non altrettanto si può dire della loro auto: mai eravamo saliti prima su un taxi così scassato e sporco, il bagagliaio è così lercio che non ci fidiamo di appoggiare i nostri preziosissimi zainetti, che saremo costretti a tenere sulle ginocchia per
tutto il tragitto; i finestrini non si possono chiudere, così non servirà l’aria condizionata e non ci sono nemmeno le maniglie per tenersi.

Noi quattro ci guardiamo un po’ titubanti, con la speranza che il motore sia un po’ meglio della carrozzeria e che riesca almeno a giungere a fine giornata!

Ma la carica di simpatia di Cristy è tale che i problemi logistici legati al mezzo passano in secondo piano, non appena incomincia il nostro tour guidato all’Isola di Pasqua, e l’entusiasmo con cui ci parla della sua isola e dei siti che andremo a visitare non fa altro che accrescere in noi la gioia per essere arrivati fin qui.

La prima cosa che salta ai nostri occhi è il verde che regna ovunque!

Chissà perché noi ci immaginavamo questo posto, arido e brullo, invece passiamo attraverso prati verdi, vediamo dolci colline ricoperte di tante piante che noi non conosciamo, i cui nomi Cristy ci snocciola con bravura, come fosse una vera botanica.

Splende il sole, temperatura 25 gradi, condizione ottimale.

La prima tappa è l’antico villaggio cerimoniale di Orongo, ubicato in un paesaggio eccezionale, affacciato sull’oceano di fronte agli isolotti di Motu
Nui e Motu Iti, sul fianco di un pendio ai bordi di una scoscesa parete rocciosa a picco sul mare.

Le case hanno pareti in pietra e il tetto arcuato in lastre sovrapposte, coperte da un’erba verdeggiante e danno l’impressione di essere parzialmente sotto il livello del terreno.

La porta di accesso a ogni casa è stretta e bassa, praticamente un cunicolo per consentire ai guerrieri di controllare la via di accesso da parte delle tribù nemiche.

Orongo era il centro di un antico culto diffuso in tutta l’isola: il culto dell’ “uccello divino”.

Il momento culminante della cerimonia era una gara per impossessarsi del primo uovo della “sterna fuscata”, uccello rarissimo che si riproduceva sui due isolotti antistanti il sito.

Tutte le tribù locali partecipavano alla competizione mettendo in campo il loro guerriero più forte.

Gli atleti scendevano di corsa dalla parete rocciosa di Orongo e con l’aiuto di una tavoletta in canne nuotavano fino alle isolette sfidando la forza delle onde oceaniche e gli squali attirati dal sangue che sgorgava dalle ferite riportate nella pazza discesa.

Il guerriero che per primo trovava l’uovo della sterna e, legato in fronte, era in grado di portarlo sulla terra ferma, si guadagnava il titolo di “uomo uccello” e consentiva al proprio capo tribù di guadagnare il potere per un anno su tutta l’isola.

Mentre Christy ci racconta questa bella storia, una pioggia improvvisa ci bagna per non più di cinque minuti, lasciando quindi di nuovo spazio al sole ed a un bellissimo arcobaleno spezzato in più punti sull’oceano!

Continuiamo la nostra camminata all’interno di questo sito, rigorosamente
all’interno dello stretto sentiero segnato, fino a raggiungere il cratere del vulcano Rano Kau, ancora oggi bacino per la raccolta delle acque per la fornitura domestica a tutti gli abitanti dell’isola.

Tutto il sito è di una bellezza paesaggistica eccezionale e la leggenda dell’”uomo uccello” pare tutt’oggi aleggiare, capace di rapire la fantasia di tutti i visitatori.

Infatti, benché ci siano centinaia di persone sparpagliate per il sito, in
maggioranza i passeggeri della nave, non si avverte l’atmosfera tipica dei luoghi affollati da turisti, di solito casinisti e fragorosi, come se tutti fossero consci di trovarsi in un luogo speciale, cui portare il dovuto rispetto.

La nostra Christy ci spiega con dovizia di particolari tutta la storia del sito, indicandoci a più riprese particolari, che a molti altri visitatori sono sfuggiti, un vero pozzo di sapienza, unita a un amore genuino per la sua terra; inoltre scopriamo che è pure appassionata di fotografia, pertanto continua a farci foto con le nostre macchine e a indicarci i posti e le pose migliori da fotografare.

Seconda tappa il sito di Ranu Raraku, l’officina all’aria aperta dove venivano scavati e scolpiti i moai.

Dopo aver pagato il ticket d’ingresso di 60 dollari per persona, ci avviamo verso la cava da cui venivano estratti i blocchi di tufo utilizzati per scolpire i moai, e, seguendo uno stretto sentiero, camminiamo incuriositi ed emozionati tra centinaia di moai corrispondenti alle diverse fasi di lavorazione: moai ancora prigionieri nella roccia, moai abbozzati, moai completi, moai reclinati e moai eretti.

Una cosa strabiliante, sembra che una strana magia si sprigioni intorno a noi,
che cerchiamo di catturare in centinaia di scatti fotografici ogni piccolo e grande dettaglio per cercare di conservare per sempre questi momenti.

Stelio si sta comportando egregiamente perché nonostante il caldo, ormai sfioriamo i 30 gradi, ed il continuo e tortuoso saliscendi, cammina estasiato fra tutte queste pietre magiche!

Finito però il giro della cava, le nostre strade si dividono: Stelio ritorna verso l’uscita, dove ci aspetterà seduto al fresco mentre io, Cristy e gli amici saliamo verso il cratere del vulcano, che raggiungiamo dopo una ventina di minuti di arrampicata.

Lo spettacolo che ci si presenta è a dir poco incantevole: nel cratere del vulcano si è formato un lago di acqua dolce, con le rive ricoperte di una verde vegetazione che fa da contrasto con le rocce laviche di un colore marrone rossiccio; tutt’intorno sono sparpagliati dei resti di moai.

Qui troviamo pochissime persone, dal momento che la salita è abbastanza difficoltosa, ma non per noi, resa ancor più dura dal caldo, e si respira un’atmosfera veramente idilliaca.

Mentre riscendiamo verso il basso, incontriamo un branco di cavalli che tranquillamente sale verso il lago ad abbeverarsi.

Durante tutto il tragitto percorso dall’uscita del porticciolo, avevamo già visto decine e decine di cavalli pascolare liberi nei prati o lungo il mare; questi cavalli sono di proprietà dei gronchos, i locali cowboys, ma, di fatto, vivono allo stato brado e sono i veri padroni delle strade e dei sentieri.

Recuperato Stelio, risaliamo impolverati più che mai sulla nostra vettura che comunque non corriamo il rischio di sporcare, visto che è già sporca di suo.

Terza tappa il sito di Ahu Tongariki, la piattaforma più imponente dell’isola, in splendida posizione nei pressi dell’oceano, con i suoi quindici bellissimi moai, di cui uno solo con l’acconciatura originale.

Questo sito è ancor più magico degli altri e non basteranno tutte le foto scattate per rendere un’idea dell’atmosfera che qui si respira, per immortalare la bellezza e la magia di questi enigmatici monoliti.

Durante il fortissimo terremoto che nel 2010 colpì il nord del Cile, per effetto dello tsunami scatenato dal terremoto stesso, questi moai furono gravemente
danneggiati, e si deve solo alla magnanimità del popolo giapponese, se essi sono stai restaurati e restituiti nel loro splendore all’umanità!

Quarta tappa la spiaggia di Anakena.

Percorrendo la strada costiera, con qualche sosta per “attraversamento cavalli”, immersi in un panorama fantastico, tra l’oceano con le sue alte onde su un lato e un’immensa distesa di prati e collinette sull’altro lato, con la guida veloce di Christy, arriviamo nella baia di Anakena, con l’omonima spiaggia di finissima sabbia bianca, contornata da una corona di palme e dominata da una
piattaforma con sette moai.

Il nostro sguardo vaga a 360 gradi per cogliere la bellezza di questo posto, dove il bianco della sabbia e il verde delle piante contrastano con l’azzurro del cielo e del mare.

Poiché è abbondantemente passato mezzogiorno, e lo stomaco rivendica i suoi diritti, ci fermiamo a mangiare in uno dei tre ristorantini della spiaggia; più che di ristoranti si tratta di tettoie di legno, dove, molto alla buona, vengono
serviti piatti locali.

Si accomoda con noi anche Cristy e tutti, a parte la sottoscritta, molto scettica in fatto di cibi etnici, che si accontenta di un sandwich, si gustano un’empanadas ripiena con tonno e banana, il tutto annaffiato dalla birra locale Mahina.

Seduti sulle grezze panche in legno, tra un boccone e l’altro, scopriamo da Cristy che il marito Mito (fa anche rima) non fa il tassista di professione, ma è un cantante di folk, famoso in tutto il Cile e il Sudamerica, sempre in giro a fare concerti, a incidere dischi o a girare film; pure Christy, fino a pochi anni orsono, faceva la ballerina nel gruppo folcloristico che accompagnava Mito, una gran bella coppia davvero, che a tempo perso porta in giro per l’isola i turisti,
siamo stati veramente fortunati a trovarli.

Finito lo spuntino, lasciamo libera Cristy per una mezzoretta, e ci fiondiamo in spiaggia: Stelio fa il bagno nell’acqua limpidissima, Franco e Giorgia si bagnano solamente i piedi mentre io mi limito, si fa per dire, a fotografare e a raccogliere la sabbia da aggiungere alla collezione delle sabbie di tutte le spiagge del mondo.

Ci arrampichiamo quindi sulla collinetta dove stanno i moai per vederli più da vicino e fotografarli in tutto il loro splendore.

I siti che volevamo vedere ormai li abbiamo visitati tutti, e con grande soddisfazione, così alle 17.00 ci congediamo con baci e abbracci dalla
nostra Cristy, che ci regala pure un disco di Mito; Stelio si fa accompagnare fino all’imbarcadero, ormai per lui la lunga e faticosa giornata può ritenersi conclusa, mentre io, Franco e Giorgia ci facciamo lasciare nel centro del paese di Hanga Roa per un ultimo giro e magari fare anche un po’ di shopping.

Il paesino, non lo si può definire città anche se è il capoluogo dell’isola, è carino, con le sue costruzioni basse, quasi tutte di legno, e le poche vie che degradano verso il mare: ci sono dei negozietti di souvenir, qualche bottega, una farmacia, l’ufficio postale, due banche più tutti i servizi necessari per la vita di una piccola comunità come questa.

Le persone sono gentili, per niente invadenti ma rispettose e abituate a trattare bene i turisti che sono la risorsa più importante dell’isola.

A Rapa Nui tutto ruota attorno al turismo, anche se si tratta di un turismo
abbastanza selezionato, vista la lontananza da tutto e gli alti costi necessari per arrivare fin quaggiù.

C’è l’aeroporto di Mataveri, dove ogni giorno arriva un aereo e uno ne decolla, poi ci sono le navi da crociera che attraccano nella baia, circa una ventina, nel periodo di alta stagione che va da ottobre fino a febbraio; secondo Cristy e tutti i suoi colleghi tassisti erano tanti anni che non si vedeva da queste parti una nave tanto grande e tanto bella quanto la nostra Deliziosa, che fa bella mostra di sé in baia, in attesa del rientro di tutti i suoi passeggeri.

Sbrigata velocemente la pratica shopping, solite magliette, pins, magneti, ecc. riprendiamo la via del ritorno, che erroneamente ritenevamo più breve, ma che in effetti durerà una mezzoretta; percorriamo tutto il lungomare, ammirando lo spettacolo delle onde che si infrangono sugli scogli, creando un bel fragore
e giochi di spruzzi che noi catturiamo con le nostre telecamere.

All’imbarcadero di Hanga Pika saliamo su una delle ultime lance che alle 19.00 ci
deposita, sfiniti dalla fatica e dal gran caldo, sulla nave che, un’ora più tardi, salperà alla volta dell’isola di Thaiti nella Polinesia Francese, distante
la bellezza di 2.311 miglia marine e cinque lunghi giorni di navigazione.

Oggi è stata in assoluto la più bella giornata di tutta la crociera!

Non penso che si potrà mai tornare quaggiù ma la bellezza e il fascino misterioso
di questo posto magico resteranno un ricordo indelebile e struggente che porteremo nel nostro cuore.

 

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22,23 febbraio, in navigazione
Dopo le forti emozioni dell’Isola di Pasqua, ci attendono ben cinque giorni di navigazione.

Per certi passeggeri, i negativi, si prospettano dure giornate; le lunghe ore di ozio infatti favoriscono lo sport del piagnisteo ed ogni occasione è buona per lamentarsi di qualcosa, dal tempo alle escursioni, e costoro si trascinano da un ponte all’altro, da un salone all’altro, solamente in attesa dei tanti momenti mangerecci.

Poi ci sono gli altri, i positivi, che sfruttano tutto quello che possono di quanto viene offerto giornalmente a bordo; costoro si dividono in due categorie: i tranquilli, ovvero quelli che preferiscono la posizione sdraiata (lettini piscina e ponti) ad uso tintarella, o seduta (divani e poltrone) ad usi vari, come letture, computer, carte, chiacchiere; poi ci sono gli iperattivi, che impazzano da un ponte all’altro, di corsa, facendo ginnastica, correndo, cantando, ballando.

L’unica cosa che accomuna tutti quanti è la corsa serale al ristorante Albatros per la cena.

Tanto per rendere l’idea ecco una carrellata di quanto la nave offre giornalmente a noi passeggeri :
SPORT : corsi di ginnastica di tutti i tipi, dolce, acqua gym, zumba, combat, pallavolo, basket, ping pong, calcio balilla, palestra attrezzata con corsi di pilates, stretching e personal trainer

BALLO : corsi di ballo (tango, bolero, swing, jive, cha cha cha, latino) balli di gruppo

CARTE : corso e tornei di bridge, tornei di burraco, tutti i giochi di carte
MANUALITA’ : Laboratorio di manualità con Carola, maestra di tutte le arti manuali.

MUSICA: Lezioni di canto e di musica con il Maestro Montagner, canto con il gruppo corale dei passeggeri, corso per Disk Jokey con DJ Cristiano, karaoke.

QUIZ E GIOCHI: Quiz vari, Supertrivial, competizione Champion quiz, puzzle, Bingo.

CULTURA : Conferenze su temi vari a cura del Professor Scopelliti, corsi di italiano, inglese e spagnolo, biblioteca, informazioni su porti ed escursioni.

INTRATTENIMENTO : Musica per tutti i gusti nei vari saloni con tanti bravi artisti e band: musica d’ascolto nella Hall centrale, musica da ballo al Gran Bar Mirabilis, musica classica al Vanilla Bar, repertorio internazionale con Pietro al Bar Alcazar, Piano Bar e musica internazionale al Piano Bar Excite, disco music alla Discoteca Sharazad.

TEATRO : spettacoli di alto livello con artisti professionisti, cantanti, ballerini, gruppi folcloristici locali, acrobati, giocolieri, illusionisti; spettacoli con la partecipazione dei passeggeri come il “C Talent”, “Ballando con le stelle”, “We can dance”.

ANIMAZIONE : giochi vari in piscina al ponte 9 e intrattenimento serale al Gran Bar

SAMSARA SPA & VENUS BEAUTY : un’oasi per il benessere di ispirazione asiatica, con rituali ayurvedici indiani ed un ampio menù di trattamenti
E’ mai possibile annoiarsi a bordo ?

 

 

24 febbraio, transito di Pitcairn Island
Proprio per interrompere a metà i cinque giorni di navigazione, ecco arrivare l’appuntamento con questo isolotto, lontano da tutto e da tutti, famoso per essere stato il rifugio gli ammutinati del Bounty.

Questo pezzetto di terra, la cui superficie di 47 chilometri quadrati è abitata da 65 persone, appartiene alla Corona Inglese, nella forma di United Kingdom overseas territory, anche se la valuta corrente è il dollaro della Nuova Zelanda.

Nel 1856 abitavano a Pitcairn 194 persone, tutti discendenti dei nove marinai sbarcati dal Bounty e in quell’anno il governo britannico decise di trasferirli, visto che l’isola non sembrava in grado di mantenerli, nell’isola di Norfolfk, nei pressi dell’Australia orientale.

Alcuni anni più tardi alcune famiglie, nostalgiche di quella che era ormai diventata la loro patria, fecero ritorno a Pitcairn, dando vita alla comunità oggi esistente, e ancora oggi vivono sull’isola i pronipoti degli ammutinati, alcuni dei quali parlano il dialetto inglese del diciannovesimo secolo.

Verso le otto la nave si ferma nella baia antistante l’isola, nessuno sbarcherà ma è prevista a bordo la visita di alcuni esponenti della piccola comunità che venderanno i loro prodotti.

Sale pertanto l’attesa per questo strano evento, unico in questo viaggio.

Tutti i passeggeri si accalcano sui ponti e sui balconi sul lato sinistro per ammirare l’isola e seguire il viaggio della barca con una ventina di isolani partita dal piccolissimo molo, creando un certo sbandamento…..si parla sempre di circa duemila persone!

I più previdenti si sono intanto già accaparrati i posti migliori a bordo piscina e sulle balconate dei ponti 10 e 11 per non perdersi la cerimonia di benvenuto da parte della nave a questa strana comunità.

Peccato che questo non succeda, perlomeno in forma pubblica, e che l’evento sia costituito solamente dal mercatino allestito sui lati del ponte 9.

All’apertura ufficiale delle danze, pardon, delle vendite, i passeggeri, come impazziti, si buttano a capofitto sulle bancarelle e sui poveri venditori, spintonandosi e litigando per arrivare primi agli agognati souvenir, magliette, magneti, pins, manufatti in legno, bracciali, collane, miele, marmellate, cartoline e francobolli.

Uno spettacolo indecoroso, venditori che, assaliti dai compratori, non capiscono più nulla e a fatica riescono a fare i conti ed incassare il dovuto, in un tourbillon di euro e dollari, per non parlare di qualcuno che, approfittando del caos, si appropria di qualcosa senza pagarla.

Noi assistiamo in disparte a questo spettacolo e solo alla fine, io mi avvicino ad una bancarella per comprare una maglietta per Stelio, come ricordo di questo sperduto angolo di terra.

Nel frattempo ritornano da terra i quattro ufficiali della Deliziosa scesi in visita all’altra metà degli abitanti rimasti a guardia dell’isola, portando i doni per il Comandante e il suo staff, banane e altra frutta fresca.

Alle 11.00 se ne tornano tutti sulla loro isola, felici per queste poche ore a contatto con il mondo, chissà quanto tempo passerà prima che da queste parti si veda passare qualcuno!

 

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25,26 febbraio, in navigazione

 

 

27 febbraio, Polinesia Francese, Thaiti
Dopo aver percorso 4.300 miglia marine in dieci giorni, una volta lasciati Valparaiso e il continente sudamericano, sbarchiamo oggi in Oceania, il più a sud di tutti i continenti.

Il nostro primo approdo è Papeete, capoluogo di Thaiti, la maggiore delle isole che formano l’arcipelago delle Isole della Società, che con una miriade di altri arcipelaghi, isole e isolotti, formano la Polinesia Francese, “Territorio d’ Oltremare” della Francia.

Sull’isola di Thaiti, il cui perimetro misura 120 km, vivono, in modo apparentemente felice, 178.000 abitanti.

Qui la lingua ufficiale è il francese, gli abitanti hanno il passaporto francese, solo la moneta non è l’euro, ma il franco polinesiano.

Appena messo piede a terra ci rendiamo subito conto che questo è veramente un pezzo di Francia, se non fosse per il caldo torrido e per i nativi del posto, dal possente fisico tipico di tutti i polinesiani.

Il porto è inserito in un bel contesto cittadino, posto frontalmente rispetto al centro città, che si raggiunge in due passi, finalmente.

Anche qui non è consentito dalle leggi locali portare a terra alcun tipo di prodotti, vegetali, frutta o fiori, pertanto tutti quelli che al buffet si riforniscono di ogni ben di dio in vista delle escursioni a terra rimangono “fregati”.

L’accoglienza riservataci dai thaitiani è poi degna della loro tradizione di ospitalità: belle ragazze che distribuiscono fiori, orchestrina che suona i dolci ritmi locali, un efficiente ufficio turistico che elargisce a piene mani materiale informativo e assistenza, tassisti e tour operator che offrono i loro servizi e l’immancabile mercatino di prodotti artigianali.

Passiamo la mattinata passeggiando per le vie del centro, piene di vita, di aromi, di sapori.

Visitiamo il mercato municipale al coperto, dove si trovano decine e decine di venditori di fiori e di tutto quello che si può fare con essi, dalle coroncine alle collane; vi sono altresì venditori di frutta tropicale, che qui cresce rigogliosa, grazie al clima caldo e umido, ma al tempo stesso molto piovoso.

Ci sono poi gli immancabili prodotti per turisti, in primis parei e perle di tutti i tipi, che qui si coltivano in grande quantità.

Proseguiamo il nostro giro, ammirando il bellissimo palazzo comunale, in stile coloniale, e tutti gli edifici vecchi e nuovi posti sul bel lungomare, prima di rientrare in nave per il pranzo.

Nel pomeriggio è prevista l’escursione con Costa “Alla scoperta della costa orientale di Thaiti”.

Saliamo con tanti amici e la guida locale Angelle su un comodo bus e partiamo in direzione nord est, percorrendo una bella strada costiera, direttamente sull’oceano, nel senso che il mare dista pochissimi metri da noi; sull’altro lato, appena usciti dalla città, un’ininterrotta distesa verde, intere piantagioni e coltivazioni di frutta tropicale di tutti i tipi, ananas, banane, mango, papaya e altri frutti a noi sconosciuti, per non parlare delle palme che ricoprono di verde tutte le colline ed i rilievi di questa isola.

La nostra guida ci spiega che questa è la parte più fertile e produttiva di Thaiti, mentre la costa occidentale è quella dove ci sono le spiagge più belle.

Nonostante però tutto questo verde, la produzione locale non riesce a soddisfare il fabbisogno interno e i polinesiani sono costretti ad importare grandi quantitativi di frutta, verdura ed altri generi alimentari dalla Nuova Zelanda e dall’ Australia.

Prima sosta a Point Venus, punto di approdo di numerosi esploratori europei, in primis James Cook, che da qui osservò il transito di Venere durante una spedizione scientifica, in un punto segnalato oggi da un piccolo monumento di forma sferica.

C’è anche un bellissimo faro, costruito nel 1867, inserito in un contesto di fresche palme, subito alle spalle di una bella spiaggia di sabbia nera.

Proseguiamo quindi alla volta del soffione di Arahoho, un tunnel di lava creato dal raffreddamento e dal consolidamento della parte più esterna della colata lavica: quando le onde s’infrangono sulle rocce, l’acqua del mare penetra nel tunnel e crea un potente geyser, uno spettacolo mozzafiato che noi possiamo soltanto immaginare, perché oggi le onde non sono così forti da causare il fenomeno.

Dovremmo poi raggiungere le cascate di Faarumai situate in una foresta di bambù, in una cornice naturale di incantevole bellezza; peccato che la strada che porta alle cascate sia interrotta da una frana causata da un ciclone!

Due cose su tre perse, che delusione!

Ritorniamo allora verso casa, pardon, verso la nave, e Angelle per risollevarci il morale ci insegna una filastrocca nella lingua locale, che tutti in coro cantiamo a più riprese, che fa così:
” Maururu, ia outou, pa e va, ota va, maneva, maeva, y maururu, maururu “

Terminato il giro in bus, ci concediamo ancora una passeggiata sul bel lungomare con i suoi negozi e i suoi locali affollati dalle persone del luogo che festeggiano l’imminente week end, bevendo la buona birra locale, l’Hinano, una vera istituzione in tutto l’arcipelago.

C’è un bel clima di sana allegria, tanti complessini che suonano la dolce musica polinesiana, bancarelle che vendono collane e corone di fiori ai turisti.

Dopo cena, non abbiamo più voglia di scendere a terra, e rimaniamo sul ponte nove ad ascoltare la musica Chill out del DJ Johnny, beandoci del bel panorama notturno della città che si stende sotto i nostri occhi.

Il primo impatto con questo nuovo continente è sicuramente positivo e stiamo già fremendo al pensiero delle tre giornate che ci attendono, niente gite, niente tour, solo sole, mare, spiagge, e che spiagge !!!

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28 febbraio, Thaiti, 2° giorno
Il programma giornaliero è chiaro e semplice: solo mare.

Con gli amici bolognesi Alfredo e Gloria e gli amici toscani Paolo e Carla, Guido e Maurizia, partiamo alla volta della spiaggia del Resort Le Meridien a bordo di un pulmino, alla cui guida siede la Signora Diana, dalle tipiche fattezze polinesiane.

Per tutti i venti minuti del tragitto Diana ci bombarda di informazioni riguardanti Thaiti, la Polinesia tutta e anche la famiglia; ci canta pure la canzoncina che io avevo imparato ieri e così canto insieme a lei sfoggiando la mia bravura, peraltro non molto apprezzata dagli altri passeggeri.

Arriviamo al Resort, io e Gloria, che sedevamo di fianco a lei, con i timpani trapanati e gli altri al limite dello sfinimento; qui lasciamo libera la nostra autista, che ci verrà a riprendere alle tre nel pomeriggio.

Una volta superata la hall, il grande bar e il giardino del Meridien, questa è la veduta che si presenta ai nostri occhi: una bella spiaggia di sabbia bianca davanti a un mare dalle acque cristalline, dove si ergono le cosiddette Overwater Houses, degli splendidi capanni costruiti a mo’ di palafitte sull’acqua, facenti parte del complesso alberghiero; c’è pure una piscina naturale con acqua di mare e tutt’intorno palme, fiori, e pure un laghetto di ninfee.

Insomma, la classica foto che campeggia sui depliant di ogni struttura turistica di queste isole, e quasi tutta per noi.

Essendo solo le nove del mattino, siamo quasi i primi e pertanto ci prendiamo i posti migliori, delle comodissime poltrone con cuscini poste all’ombra delle piante, per evitare i cocenti raggi del sole tropicale, e vicini al Ristorante Bar, per evitare di morire di fame e di sete.

La cosa per noi inusuale è che non si debba pagare una ticket d’ingresso e alla nostra richiesta all’addetto alla cassa, ci sentiamo rispondere che non dobbiamo pagare nulla, basta che si consumi qualcosa al bar e, solo se avessimo noleggiato i lettini il costo sarebbe stato di 80 dollari a persona; incredibile, in un posto così in Italia ci avrebbero spellati ancor prima di posare i nostri piedini sulla sabbia.

Noi due ci tuffiamo subito in mare e non ci sembra vero di poter sguazzare liberi e felici in un’acqua così pulita e calda che non vedevamo più dai lontani tempi dei Caraibi, una vera goduria.

Un po’ alla volta cominciano ad arrivare anche altri amici e ospiti della nave, che come noi, hanno scoperto questo posto incantevole, ma comunque l’ ambiente rimane assolutamente tranquillo e godibile.

Così tra bagni e ciacole arriva anche l’ora di pranzo, che consumiamo comodamente seduti nel giardino del ristorante.

I camerieri sono molto cordiali e gentili e fanno di tutto per accontentarci, il cibo è abbondante e gustoso e c’è pure l’espresso Illy Caffè!

Alla fine paghiamo solo 58 dollari, compresi i succhi e le bevande presi in mattinata, che i camerieri non hanno voluto incassare prima, perché qui non esiste il “ prima si paga e poi si beve”!

Per immortalare questa bella giornata balneare Stelio, fa schierare tutti gli amici in acqua, come i moai dell’Isola di Pasqua, con la faccia rivolta verso il mare e fotografa questo bel gruppo composto dalla sottoscritta più Alfredo e Gloria, Ennio e Novella, Beppe e Clara, Vittorio e Miranda, Carla e Lucia, solo lui poteva avere questa idea!

Alle tre in punto ci aspetta la nostra autista Diana, che ci abbraccia tutti come fossimo amici che non si vedono da tanto tempo e ci riporta alla nave, deliziandoci ancora con i suoi racconti e con la nota canzoncina che però solo io mi ostino a cantare; regala a me e a Gloria, le sue indiscusse preferite, una collana di conchiglie a testa, scusandosi per non averne altre da regalare agli altri sei amici.

Al momento del commiato sotto la nave, Diana, dopo aver abbracciato tutti, ed essersi fatta fotografare con Stelio, prende me e Gloria sottobraccio per accompagnarci fino all’ultimo ingresso e quando proprio non può più proseguire con noi, scoppia in lacrime sincere, e pure noi ci emozioniamo davanti a tanta simpatia e sensibilità.

Prima di cena, pur stanchi e un po’ cotti, ci accomodiamo in teatro per assistere al “Polinesian Folk Show”, un viaggio in musica e balli attraverso i costumi e ritmi polinesiani con degli artisti thaitiani, che rimarranno a bordo per qualche giorno, per deliziarci ancora con il loro folclore.

Dopo cena, proprio per consumare le ultime energie rimaste, un po’ di musica e balli americani in piscina.

Il viaggio in Polinesia è cominciato bene e Thaiti ci è proprio piaciuta!

 

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1 marzo, Polinesia Francese, Moorea
Poiché la distanza che separa Moorea da Thaiti è di sole 25 miglia marine, la Deliziosa, partita alle cinque del mattino, impiega poco più di due ore di tranquilla navigazione per arrivare nella baia di Opunohu e gettarvi l’ancora, proprio di fronte al monte Tohivea che, con i suoi 1.207 metri s.l.m., è la montagna più alta dell’isola.

Moorea è un’isola vulcanica, con una superficie di 134 chilometri quadrati, abitata da circa sedicimila abitanti.

Per via degli scenari affascinanti e l’accessibilità rispetto a Papeete, Moorea è una delle mete preferite dai turisti occidentali che si recano nella Polinesia Francese, in modo particolare è meta di luna di miele e viene spesso citata su riviste di settore statunitensi.

Noi, anche se non siamo in luna di miele, rimaniamo subito abbagliati dallo spettacolo che ci aspetta non appena apriamo la tenda della nostra cabina: un contorno di verdissime colline a picco su un’acqua più azzurra che mai, qualche casetta nascosta fra le palme, e sulla punta dell’isola alcune Overwater Houses, una tranquillità quasi irreale, disturbata solo dal motore delle nostre lance che cominciano a portare passeggeri a terra.

Ieri abbiamo prenotato a Thaiti una gita in catamarano per scoprire la laguna e pertanto, una volta sbarcati a terra, dobbiamo solamente cercare il punto di partenza dell’imbarcazione, pagare e partire.

Sono con noi gli amici calabresi Angelo e Rina, anche loro come noi vogliosi di fare quest’esperienza.

Nella mezzoretta di tempo che precede la partenza, io giro per il piccolissimo paese di Papetoai, appena alle spalle del porticciolo, costituito da un pugno di casette, due negozi, due chiesette, una cattolica e una protestante, e un piazzale sterrato, con l’immancabile mercatino, che fa da punto di partenza per le escursioni in bus e fuoristrada.

Fa tanto caldo e c’è un’afa terribile, cosicché Stelio, anziché venire con me, pensa bene di rifugiarsi nella chiesetta protestante, sicuro di trovare un posto a sedere al fresco; peccato che dentro si stia celebrando un funerale, con la salma del morto in bellavista, coperta soltanto da un velo bianco, non proprio un bello spettacolo che però alcuni turisti pensano bene di immortalare con le loro macchine fotografiche…..quando si dice il gusto del macabro!

Alle 10.30 lasciamo il piccolo molo su un’imbarcazione che ospita una cinquantina di persone, puntando in direzione ovest.

Io, come tutti gli altri, sono rapita dalla bellezza del paesaggio e sparo foto a raffica, mai avevo visto prima una tavolozza con questi colori: tutti i toni del turchese della laguna, l’azzurro intenso del cielo, il bianco della schiuma delle onde che s’infrangono sul reef, tutte le tonalità di verde della vegetazione che ricopre i fianchi delle colline a strapiombo sull’acqua.

Facciamo una prima sosta in prossimità della barriera corallina per osservare da vicino delfini e razze nel loro habitat naturale.

Stelio, naturalmente, è il primo a tuffarsi, anche perché deve recuperare la mia ciabatta accidentalmente caduta in acqua; io invece rimango a bordo col compito di filmare e fotografare tutto quello che succede.

La barca è immediatamente circondata da un numero incredibile di pesci attirati dall’esca che il nostro marinaio butta in acqua, incuranti della presenza di questi strani pesci a due gambe.

Stelio sembra impazzito di gioia, non gli pare vero di nuotare e accarezzare razze e delfini, che sguazzano tranquilli fra gli estasiati nuotatori…….però che strani delfini!

Solo dopo si viene a sapere che si tratta di squali “pinna nera”, non potevano dirlo prima del bagno?

Comunque Stelio risale a bordo tutto intero e con un sorriso che va da orecchio a orecchio.

Fra l’altro, mentre sto fotografando, una signora in acqua mi chiede se gentilmente le scatto una foto che poi le manderò via e-mail; detto, fatto, ecco pronto un bel servizio fotografico per la bella e sconosciuta signora.

Ma come farò a mandarle la foto se non so chi ? Boh!

Finito il bagno, si riparte puntando su un motu nella laguna; i motu, di cui questi mari sono pieni, sono degli isolotti, dei rilievi sabbiosi sul livello dell’oceano, con un’altezza di pochi metri, sul margine della barriera corallina.

Ed è proprio su uno di questi che mettiamo piede, sbarcando dalla nostra barchetta.

Ci attende, naturalmente tutto organizzato, un bel pranzetto a base di pollo alla griglia e riso alla creola con tanta frutta tropicale, ma per noi il cibo è poco importante, quello che più ci interessa è tuffarci in queste acque da sogno.

Stiamo un’oretta in acqua, facendo snorkeling in mezzo a tanti pesciolini colorati…..qui niente squali!

In questo stato di assoluto godimento, non ci accorgiamo che i pericoli sono in agguato: io, priva di scarpette da reef, urto contro un corallo, procurandomi una dolorosississsima contusione al piede destro, mentre Stelio si accorgerà solo dopo alcune ore degli effetti di questa prolungata esposizione al sole.

Dopo il giusto riposino all’ombra delle palme, risaliamo in barca per rientrare piano piano al porticciolo, godendo fino in fondo le bellezze di questa laguna.

Sbarcati a terra, c’è ancora tempo per visitare il paesino che Stelio non aveva visto in mattinata, visto che era al funerale!

Ci beviamo una buona birra Hinano e compriamo un ferma pareo in madreperla per me.

Poi il grande caldo ci spinge dritti sulla lancia che ci riporta sulla Deliziosa.

Prima stima dei danni: io con il dito medio del piede destro “micro fratturato”, terapia stecche, impacchi di ghiaccio e tempo; Stelio con un’ustione di ?grado al cuoio capelluto e alle spalle, terapia crema doposole, poi Foille per le bruciature!

La serata prosegue al ponte 9 Lido Azzurro con una dimostrazione di pareo e accessori polinesiani ed io sfoggio, un po’ impacciata ma con i complimenti di amici e persino di sconosciuti, il mio pareo acquistato ieri a Tahiti; mi ci vorrà un po’ di tempo per imparare a portarlo nei tanti modi che le donne polinesiane conoscono.

Dopo cena, la festa prosegue con musica dal vivo, balli e divertimento con il gruppo Polynesian o Tahiti Group.

Alle 21.00 la nave salpa l’ancora con destinazione Bora Bora, lontana solo 136 miglia, e noi ammiriamo per l’ultima volta dal ponte 11 quest’atollo, i cui colori rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria.

 

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2 marzo, Polinesia Francese, Bora Bora
Bora Bora è unanimemente riconosciuta come la “perla del Pacifico”.

Sorge al centro di una laguna circondata a nord da due lunghi motu, mentre a est la barriera corallina, che affiora con piccoli motu separati da brevi tratti di mare di poca profondità, la cinge come una diga.

Bora Bora in origine era un gigantesco complesso vulcanico che, con il passare degli anni, ha subito un progressivo inabissamento e di esso rimane oggi un vulcano spento, dalla forma di un parallelepipedo in piedi, il monte Otemanu che con i suoi 727 metri s.l.m. è la cima più alta dell’isola, visibile da ogni prospettiva.

Sull’isola, lunga 2,60 Km e larga 3,80 km, vivono in totale novemila abitanti, cinquemila dei quali nel centro più importante che è Vaitape, mentre i rimanenti sono suddivisi nei paesi di Faanui, Anau e Matira.

Come gran parte delle isole polinesiane, Bora Bora basa la propria economia su pesca, perle e turismo.

Qui sono presenti le più importanti catene alberghiere mondiali con i loro esclusivi resort (quando io lavoravo, si chiamavano alberghi) come Hilton, Intercontinental, Le Meridien, Sofitel, Four Season, meta ogni anno di migliaia di turisti esigenti.

Per raggiungere Bora Bora dall’Italia ci vogliono quasi due giorni di viaggio, fra ore di volo e scali nei vari aeroporti; i nostri amici Alfredo e Gloria, abitudinari dell’isola, ci arrivano così: Bologna-Parigi, Parigi-Los Angeles, Los Angeles-Tahiti, Thaiti-Bora Bora……insomma, un viaggetto!

Oggi, ahimè, mi tocca uscire da sola perché Stelio è KO.

La scottatura rimediata ieri a Moorea è tale da impedirgli per qualche giorno qualsiasi esposizione solare e pertanto deve rimanere al fresco…..della nave!

Io, seppur dispiaciuta per lui, non mi sogno nemmeno di stare a bordo a fargli compagnia e consolarlo, e perciò parto in compagnia degli amici Alfredo e Gloria con l’intenzione di ripetere l’esperienza di ieri.

Senza aver nulla prenotato prima, ci affidiamo al caso e fissiamo tre posti su una piccola barca in grado di portare non più di quindici persone, noi tre più dodici francesi, sigh!

Il programma prevede una straordinaria escursione nella Laguna Blu di Bora Bora, che si estende per circa ottanta chilometri quadrati, tre volte più all’isola stessa: faremo il giro completo tutt’attorno all’isola, due soste in laguna per fare snorkeling e una sosta su un motu.

Il nostro marinaio Yannik si dimostra subito un perfetto conoscitore del territorio, oltre che persona gioviale: anziché fermarsi nel luogo scelto da tutte le altre barche per la prima sosta, prosegue fino ad arrivare in una zona dove saremo solo noi, pochi fortunati, a fare il bagno con razze e delfini…. pardon…. squali!

Eh sì, oggi tocca a me provare questa incredibile emozione, perciò niente foto e via con maschera e pinne nell’acqua.

Ad essere sinceri però, c’è da dire che questi squali pinna nera, lunghi meno di 2 metri, sono totalmente innocui, anche se …. non si sa mai, in ogni caso noi e i francesi ce ne stiamo mezz’ora in acqua a giocare come bambini in mezzo a loro.

Poco prima di immergerci si è pure abbattuto su di noi un violento scroscio di pioggia della durata di soli cinque minuti, sufficienti per bagnare noi, ma questo non è un problema, visto che ci tuffiamo subito in acqua, ma soprattutto i nostri zaini e gli asciugamani con cui ci si doveva asciugare!

Finito il bagno, proseguiamo il nostro viaggio in laguna, con Yannik che ci spiega, in francese naturalmente, per filo e per segno tutto quello che sta in acqua e sulla terraferma; non avremmo potuto trovare una guida migliore.

La seconda sosta, al Coral Garden, è dedicata allo snorkeling in una zona dove l’acqua è più profonda; solo nel Mar Rosso avevo visto una tale quantità di pesci, tant’è vero che a volte devo letteralmente spostarli per poter nuotare, questi però sono innocui pesciolini dai colori più svariati, niente a che vedere con squali feroci.

L’acqua è così calda che ci si potrebbe rimanere delle ore, ma anche qui, dopo mezz’ora, Yannik leva l’ancora per dirigersi verso l’ultima meta, il Motu Tapu, sembra quasi uno scioglilingua, non prima di averci offerto bibite in quantità e frutta tropicale a volontà, la moglie gli aveva preparato dei grandi vassoi carichi di ananas, mango e papaya, un vero tiramisù dopo tanta acqua salata.

Dopo aver quasi completato il periplo dell’isola di Bora Bora, avvistiamo il Motu Tapu, un’ isolotto, dalla forma perfettamente circolare, che emerge solitario dalla laguna, una visione paradisiaca!

Attracchiamo ad un pontiletto in legno e sbarchiamo, a mo’ di naufraghi, su una spiaggia di sabbia bianchissima che abbraccia esternamente questo lembo di terra ricoperto di piante, sotto le quali ci sono capanne, tavoli e panche in legno, gazebi e barbecue, e persino servizi igienici, ma non c’è traccia di anima viva.

Siamo praticamente padroni dell’isola, non crediamo ai nostro occhi, un posto così bello tutto per noi.

Lasciamo tutte le nostre cose, ancora e sempre bagnate per il temporale di prima, e ci tuffiamo tutti nell’acqua più calda e più bella che io abbia mai visto finora.

Qui ci si potrebbe rimanere dei giorni, ma purtroppo il tempo scorre troppo veloce e dobbiamo ritornare alla barca, dove Yannik ci attende con altri vassoi pieni di dolci, sempre opera della sua signora, che divoriamo in pochi minuti.

Il tragitto dal motu al porticciolo è breve e vediamo già la figura imponente della Deliziosa che si specchia nella rada.

Io, a nome di tutti, ringrazio Yannik per le ore belle che ci ha fatta trascorrere, per la sua gentilezza e le sue premure, cantando la solita canzoncina “Maururu, ia outou, pa e va, ota va “ insieme a lui, che incredulo nel sentire un’italiana che canta in polinesiano, ricambia, cantando con bella voce intonata e una perfetta pronuncia “Oh sole mio”.

Sono passate ormai più di quattro ore da quando siamo partiti, ma ci dispiace scendere da questa barchetta.

Alfredo dà la mancia a Yannik e andiamo pure a salutare sua moglie per ringraziarla di averci fatto scoprire questo tour e, naturalmente, per le cose buone che ci ha preparato.

Prima di rientrare definitivamente sulla nave, facciamo un ultimo giro in paese, che è solo un po’ più grande di quello di Moorea, ma niente acquisti di souvenir perché qui i prezzi sono carissimi.

E’ stata una splendida giornata, peccato non averla potuta condividere con Stelio….e questo pensiero, sotto sotto, mi ha assillato per tutto il tempo.

Torno a bordo, pensando di trovarlo in un letto di lacrime per la mia lontananza; invece scopro che è sceso a terra e ha pure fatto shopping, si è comprato una camicia in stile polinesiano, il solito pin che compriamo in ogni posto, e delle collanine in madreperla per me!

Vengo a sapere che ha pranzato con la sconosciuta signora cui ho fatto le foto ieri, che tanto sconosciuta non è visto che si tratta di una nota attrice del passato, nonché vedova di Carmelo Bene.

Non posso proprio lasciarlo solo, una ne fa e cento ne pensa….o viceversa!

Alle 18.00 la Deliziosa molla l’ancora e si lascia scivolare dolcemente nell’oceano, con rotta ovest-sud ovest, verso la prossima destinazione, l’isola di Tonga, distante ben 1.368 miglia marine e quattro, anzi tre, giorni di navigazione.

Lasciamo oggi la Polinesia Francese, questo meraviglioso angolo di mondo, dove la natura raggiunge una bellezza indescrivibile.

Quello che finora avevamo visto nelle riviste patinate, sui cataloghi dei tour operator, nei documentari in tv, qui lo abbiamo visto con i nostri occhi e toccato con mano e la realtà ha superato ogni nostra immaginazione.

Ma oltre ai colori dell’acqua, porteremo nel cuore il ricordo di questa gente, semplice e gentile, ospitale e rispettosa, dal fisico possente e dal cuore grande.
na’ na’ Diana, na’-na’ Yannik, na’-na’ Polinesia, y maururu

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3,4 marzo, in navigazione

 

 

5 marzo, Oceano Pacifico, 180° meridiano, il giorno che non c’è
Durante la notte tra mercoledì 4 marzo e giovedì 5 marzo ci sarà il cambio data: dal giorno mercoledì 04.03.2015 si passerà direttamente al giorno venerdì 06.03.2015, saltando di brutto il giorno di giovedì 05.03.2015, che sarebbe stato oggi!!!

Il mondo è suddiviso in 24 fusi orari, definiti con riferimento al Meridiano Primo di Greenwich. Viaggiando verso ovest, noi abbiamo spostato indietro l’orologio di un’ora ogni volta che si è attraversato un fuso orario.

Ma compiendo un viaggio intorno al mondo, si sarebbero così accumulate 24 ore “doppie”, cioè un giorno intero.

La Linea internazionale del cambio di data è una linea immaginaria sulla superficie terrestre, istituita nel 1884, che segue in gran parte il 180° meridiano; ogni nuova data comincia a essere contata a partire dal versante occidentale di essa, attraversando poi i diversi fusi orari da est verso ovest.

Nel momento in cui nel fuso orario centrato sulla linea di cambio dato scatta l’ora 00.00, a ovest della linea sarà il 6 marzo, a est di essa il 4 marzo: chi viaggia dall’Asia verso l’America deve contare la stessa data due volte, mentre in direzione opposta, come nel nostro caso, bisogna saltare un giorno.

La cosa buffa di tutta la faccenda, a parte le lunghe e sterili disquisizioni e le battute che si sprecano, è che molti passeggeri, convinti di aver effettivamente perso una giornata, vogliono chiedere alla Costa il rimborso della quota di servizio e dei servizi non usufruiti in questo giorno fantasma!

 

 

 

7 marzo, Tonga, Nuku’Alofa
Il regno di Tonga è composto da un arcipelago di 173 isole, delle quali solo 53 sono abitate, nell’ Oceano Pacifico meridionale; la sua superficie misura in totale 748 chilometri quadrati e gli abitanti sono circa 105.000, due terzi dei quali vivono sull’isola maggiore, Tongatapu.

La città più grande e capitale dello stato è Nuku’ Alofa, che conta 22.500 abitanti e qui si trova il palazzo reale, dove risiede l’attuale re Tupou VI con la sua famiglia e la sua corte.

Un rullo di tamburi ci dà oggi la sveglia: un gruppo di percussionisti appostati sotto il balcone della nostra cabina ci dà il benvenuto nel regno di Tonga; sono solo le sette del mattino ma tutto il comitato di accoglienza, banda musicale, gruppo di cantanti e ballerini con tanto di presentatrice, sono già pronti sul molo per accogliere con una grande festa la grande nave bianca che si fermerà per un giorno intero nel porto di Nuku’ Alofa.

Per la popolazione locale l’arrivo di una nave da crociera rappresenta un grande affare, con tante persone che si riversano sull’isola, a caccia di emozioni e di souvenir.

Così, già di prima mattina, a parte il comitato artistico e folcloristico di benvenuto, è già pronto l’apparato “affaristico”: subito sotto la nave è già allestito il mercato dei prodotti artigianali locali, l’ufficio turistico, l’ufficio cambio, l’ufficio postale, tassisti e venditori di tour in barca, in bici e con degli strani mezzi, a metà fra moto e risciò; poiché mancano i bus granturismo, sono stati precettati tutti i pulmini e gli scuolabus dell’isola per le escursioni organizzate dalla Costa.

Ed è proprio su un vecchio scuolabus giallo, naturalmente senza aria condizionata, che saliamo per la nostra escursione, “Avventura in Kayak all’Isola Pangaimotu, alla scoperta di incantevoli acque cristalline, popolate da tartarughe marine, delfini e megattere”.

Siamo quattordici coraggiosi, solo noi due italiani più altri dodici di varie nazionalità, e con noi c’è anche Carlos, il nostro maestro di ballo, in libera uscita.

Il panorama che vediamo durante il tragitto dal molo al punto di partenza della gita, benché simile ai paesaggi polinesiani già visti, ci fa intravedere un paese un po’ più povero e anche più disordinato: tanta gente in strada, tanti nullafacenti, tanti impegnati a vendere o a comprare sulle numerose bancarelle di frutta e verdura presenti in quantità lungo la strada principale, tanti cani randagi….e anche qualche maialino nero; le abitazioni sono perlopiù casette in legno, niente ville o edifici di un certo tono.

Arriviamo alla spiaggia di Papiloa, dove ci attende la nostra guida Tu (!) che ci spiega il programma della gita: dovremo pagaiare sul kayak per raggiungere l’Isola di Pangaimotu, proprio difronte a noi, lontana “solo” un chilometro e mezzo; arrivati sull’isola avremo tempo per fare il bagno e un po’ di snorkeling e dopo un gustoso pranzetto, torneremo a riva, sempre pagaiando.

Il nostro primo pensiero è “ma chi ce lo ha fatto fare?”, il secondo è “ne usciremo vivi?” ma non facciamo trapelare alcunché e, con fare da veri professionisti della pagaia, ci infiliamo dentro ste banane di plastica e cominciamo a pagaiare verso la nostra meta.

L’acqua è cristallina e ci lascia vedere il fondale pieno di coralli, la brezza che spira a pelo d’acqua mitiga un po’ il grande caldo; fra una pagaiata e l’altra trovo anche il tempo di fotografare Stelio, l’isola, la nave e i relitti di navi affondate che affiorano dall’acqua.

Sarà per la corrente contraria, sarà per il tempo perso a fotografare, sarà per la scarsa pratica di questo sport, sta di fatto che noi due arriviamo, un po’ trafelati, per ultimi!

Tempo impiegato per la traversata quaranta minuti.

Appena messo piede sull’isola, troviamo, con nostro sgomento, alcuni amici della Costa, comodamente arrivati in pochi minuti con un battello e già spaparanzati chi in acqua, chi in spiaggia!

Scopriamo che abbiamo giusto il tempo per fare un bagnetto prima del previsto “delizioso pranzo sulla terrazza vista mare del ristorante del Pangaimotu Island Resort”, praticamente hamburger e patatine fritte in un capanno sul mare, senza docce e acqua per lavarsi le mani, pomposamente chiamato “Big Mama Yacht Club”.

Dopo il lauto pasto, un altro breve bagno e poi via di nuovo verso riva sui nostri missili; questa volta, con la corrente favorevole, impieghiamo solo trenta minuti per compiere la traversata, arrivando comunque ancora ultimi!

Naturalmente, di tartarughe, delfini e megattere neppure l’ombra!

Purtroppo le tre ore previste per questa escursione si sono rivelate un tempo troppo esiguo e tutto quello che s’è fatto l’abbiamo dovuto fare di corsa, peccato, perché l’idea era buona.

Stelio è molto contrariato per questo e sicuramente andrà a protestare nelle dovute sedi.

Comunque, a parte questo errore di valutazione della tempistica e la pia illusione di vedere “tartarughe, delfini e megattere” l’esperienza ci è piaciuta!

Altro viaggetto sul nostro scuolabus e all’una siamo di nuovo sotto la nave, dove il caldo comincia a farsi sentire.

Stelio, che ha tenuto botta alla grande allo stress da kayak, decide che Tonga per lui finisce qui e mi lascia andare tutta sola in giro per la città, che peraltro è miserella, pur essendo la capitale.

La cosa più importante da vedere, proprio vicino alla nave, è il Palazzo Reale, un edificio bianco in stile vittoriano i cui componenti furono inviati dalla Nuova Zelanda e assemblati in loco nel 1867, ora adibito esclusivamente a ospitare cerimonie e presidiato da un, dicasi un soldato.

Vado poi al mercato coperto, pullulante di gente, più indigeni che turisti, ma il caldo soffocante e l’odore nauseabondo mi fanno rinunciare subito al giro fra i molteplici banchi di vendita.

Ritorno quindi a bordo, dopo aver percorso la via principale, poco più che una via delle nostre periferie; unico episodio rimarchevole, la polizia che porta via un ubriaco, perché qui ci tengono all’ordine e alla tranquillità dei turisti.

Sotto la nave stanno ancora ballando e suonando, cosa che hanno fatto per tutto il giorno, sotto un caldo micidiale, e continueranno a farlo finché la nave non si stacca dal molo, dandoci così il loro saluto di commiato, commovente, ricambiato dal suono della sirena e da centinaia di mani che li salutano dai ponti e dai balconi della nave!

Durante la giornata sono saliti a bordo, ospiti del Comandante, il Re e la Regina di Tonga, e la nostra amica Anna è pure riuscita a farsi fotografare insieme a loro, queste si che son soddisfazioni, altro che pagaiare su un kayak!
Malo e Lelei Tongatapu !!!

 

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8,9 marzo, in navigazione

 

 

10 marzo, Auckland
Auckland, the City of sails, la città delle vele, ovvero il paradiso in terra per Stelio!

Nessuna tappa del nostro lungo viaggio è stata tanto sognata e attesa come questa.

Oggi no tour, no downtown, niente parchi o giardini botanici, niente musei, niente vie dello shopping, solo barche e vele, solo barche a vela.

Il nostro menù di oggi, già da tempo programmato, prevede tre succulente portate :

1. Wynyard Quarter, base della Volvo Ocean Race
2. Veleggiata a bordo di New Zealand, barca di Americas Cup
3. Dinner Cruise nel porto di Waitemata

Alle nove del mattino siamo già in pista, abbigliati da perfetti velisti, con la nostra maglietta della SVOC, Società Vela Oscar Cosulich, il nostro circolo velico di Monfalcone, il cui guidone portiamo con orgoglio in giro per il mondo.

A poche centinaia di metri dalla nave, si trova il quartiere marittimo di Wynyard, collegato da un ponte mobile alla terraferma.

Troviamo subito un gran brulicare di gente e di attività: qui fa tappa, dal 27 febbraio al 15 marzo, la regata velica più importante a livello mondiale, la Volvo Ocean Race, la regata intorno al mondo che a grandi linee segue la nostra rotta; per noi è festa grande poter visitare tutto quanto una manifestazione di questa portata comporta.

Un’imponente macchina organizzativa ha creato in questa zona portuale un villaggio dove sono sistemate le sei barche in gara, tutta la logistica, la zona eventi, gli stand dei consorzi sponsor, il negozio ufficiale, musica, il cinema, insomma, di tutto, di più.

Noi puntiamo subito su Alvimedica, l’imbarcazione turco-statunitense, sulla quale veleggia il grande velista italiano Alberto Bolzan, friulano di Romans d’Isonzo e nostro compagno di circolo.

Figurarsi il suo stupore, allorquando ci vede; resta senza parole e gli si legge in faccia un bel “ma che caspita ci fanno qui questi due?”

Pochi convenevoli però, perché Alberto non può scendere dalla barca, impegnato com’è nella preparazione per l’imminente allenamento, riusciamo solo a scattare delle belle foto a lui e alla barca.

La zona equipaggi è rigorosamente interdetta al pubblico, ma Stelio, con il suo savoir faire, riesce a convincere un addetto alla security a farlo entrare per pochi minuti, giusto il tempo di salutare Alberto, con la scusa di essere venuti apposta dall’Italia per questo!

Ci aggiriamo nel villaggio, dove regna un allegro e frenetico fervore di attività; le persone dello staff sono di una gentilezza squisita, nel fornire informazioni e dare assistenza per qualsiasi cosa.

Tutte le attività, escluso il negozio, sono gratuite; persino le foto che ci fanno, una a bordo di un’imbarcazione e un’altra con il trofeo della regata, sono gratis e ce le inviano pure in tempo reale al nostro indirizzo mail, una cosa incredibile, visto che tutto quello che si fa in giro per il mondo è rigorosamente a pagamento.

In Nuova Zelanda, in effetti, è tutto un altro mondo, non solo perché siamo agli antipodi, down under, a testa in giù, ma perché la civiltà e il senso di assoluto benessere che si respirano qui, non li troviamo altrove e questo lo avevamo già sperimentato due anni fa, quando visitammo questo splendido paese per la prima volta.

Esaurita la mattinata, una rapida capatina in nave per una rinfrescata ed uno spuntino e poi via di corsa per l’evento clou del giorno.

Nel bacino più interno del porto ci aspetta New Zealand, la barca protagonista dell’ Americas Cup del 2007, ora usata a fini turistici, per far provare l’ebbrezza della vela di alto livello ad appassionati e non.

Lo skipper Tom e tre guys di equipaggio ci attendono e, dopo le dovute istruzioni per l’uso, una ciurma di trenta passeggeri è pronta per vivere questa grande emozione.

Noi siamo gli unici italiani a bordo, e, insieme a due tedeschi, siamo solo in quattro della Costa; ci sono poi persone di varie nazionalità, di varie età, ma nessun velista apparentemente esperto, a parte noi naturalmente.

Le condizioni meteo sono ottimali, il giusto vento, un sole splendido e una temperatura di circa 26°.

Appena usciti dal porto, Tom chiede se qualcuno degli ospiti a bordo vuol prendere in mano il timone; indovinate chi è il primo a tuffarsi letteralmente sul povero Tom e strappargli il timone, il grande skipper Stelio, che da due anni non aspetta altro che questo momento.

A Tom bastano due minuti per capire che il timone è in buone mani e che si può dedicare alle manovre alle vele, in cui vengono coinvolti anche altri passeggeri.

Io metto subito in chiaro che non avrei fatto alcunché, a parte fotografare, filmare e godermi il panorama di Auckland vista dal mare e di tutto il golfo di Hauraki…..non sono mica sull’ Ilyt, dove mi tocca fare tutto!

E così per mezz’ora buona veleggiamo, spinti da un bel vento, con la barca molto inclinata e i passeggeri passivi a fare peso seduti sul bordo; io me ne sto in piedi a poppa, il punto di osservazione e di azione migliore, anche se in certi momenti, entra l’acqua, da tanto inclinata è la barca!

Io so che in questo momento Stelio è l’uomo più felice al mondo perché sta facendo la cosa che più gli piace, timonare una barca a vela, e che barca e in che acque!

Poi, com’è giusto che sia, deve farsi da parte e lasciare il timone ad altri, ma saranno solo tre o quattro ad avere questo onore, seppur per pochi minuti, data la loro scarsa capacità.

Allora Stelio si dedica alle vele, aiutando i tre ragazzi del crew prima a issare e poi ad ammainare un gennaker di 500 metri quadri, poi a regolare la scotta della randa e a sistemare tutte le cime, insomma una gran lavoro per lui.

Dopo due ore abbondanti rientriamo in porto, io contenta, lui esaltato per questa grande emozione che non dimenticherà e che racconterà chissà quante volte ai suoi invidiosi amici di circolo e compagni di regate.

La nostra giornata non finisce qui perché alle 18.00 ci aspetta la barca per il Dinner Cruise organizzato dalla Costa: “un’esperienza unica e indimenticabile, con l’opportunità di cenare nel bellissimo porto di Waitemata, veleggiando al tramonto e godendo di una vista spettacolare della città mentre tramonta il sole”.

Siamo in totale quattordici passeggeri, otto italiani, due austriaci, due svizzeri, la guida locale Johanna e la nostra Veronica dell’ Ufficio Escursioni, più lo skipper Tom e un ragazzo di equipaggio.

Usciamo dal porto e, a motore, raggiungiamo il marina di Waitemata, dove ci fermiamo per una cena spartana, servita dentro la barca, stretti come sardine: non è esattamente quello che ci aspettavamo come Dinner Cruise.

Inoltre, con un tempismo eccezionale, ci servono la cena proprio mentre il sole sta tramontando e se Stelio non avvisasse che sono le 19.30 e il tramonto si avvicina, perderemmo anche questo spettacolo.

Allora tutti lasciano il piatto per uscire ad ammirare i colori del sole e del mare; per me non è un gran sacrificio, visto che il menù proposto, anzi imposto, prevede solamente salmone ed agnello che a me non piacciono, mentre Stelio gradisce, e un dolcetto che mangerò per pura disperazione.

Scopriamo anche che le bevande non sono comprese, come sarebbe normale in queste occasioni, lasciando di stucco tutti i passeggeri, guide comprese.

E allora si sprecano commenti poco edificanti su chi ha potuto organizzare una cosa del genere.

Consumata la cena, al calar delle tenebre, è ora di veleggiare.

Nessuno dei passeggeri, a parte noi naturalmente, è in grado di partecipare alle manovre, oltretutto sono pure abbigliati da ristorante, invece che da barca, le signore addirittura con scarpe tacco 12 o sandaletti infradito.

Allora Tom affida il timone a Stelio e glielo lascerà fino alla fine, mentre io continuo nella mia astensione velica, con la scusa di fotografare.

Per noi due, ognuno con le rispettive mansioni a bordo, sarà una goduria, poter veleggiare nel golfo di Hauraki, racchiuso dallo skyline di una Auckland illuminata a giorno, con la Sky Tower che domina con i suoi cambi di colore tutta la città, da una parte e l’ Harbour Bridge, anch’esso illuminato, dall’ altra parte.

Ed altrettanto emozionante è il momento in cui passiamo proprio sotto il ponte, con l’impressione di toccarlo con la punta dell’albero.

Tira un bel vento e la temperatura è scesa rispetto al pomeriggio, noi stiamo benissimo, mentre tutti gli altri battono i denti per il freddo, kiwis esclusi off corse!

Dopo un’ora facciamo rientro al porto, passando sotto il ponte girevole illuminato di una bella luce blu.

Noi due siamo i soli ad essersi divertiti, anche se Stelio non mancherà di protestare al Tour Office per la seconda escursione consecutiva venuta meno alle aspettative.

Sono ormai passate le dieci di sera quando percorriamo per la sesta volta oggi la Quay Street, la via che collega il porto nautico al Queens Wharf dove è ormeggiata la Deliziosa: negozi aperti, locali pieni di gente, vie affollate, un’atmosfera di festa e di allegria, il tutto in assoluto ordine e rispetto dell’educazione e del vivere civile e siamo sempre più convinti che qui si vive proprio in un altro modo, in un altro mondo!

Rientrando verso la nave incontriamo tanti amici che ci raccontano come hanno passato il loro primo giorno a Auckland, ma entusiasti come noi…..pochi, anzi, nessuno!

A rendere ancor più bella la nostra giornata è stato il rientro a bordo del nostro amico Italo, “sbarcato” a Valparaiso; quando stamattina siamo scesi dalla nave ce lo siamo inaspettatamente ritrovato davanti con due valigie, pronto per il suo secondo imbarco e ci siamo abbracciati con tanta gioia ed emozione; ci sarà tempo da domani per raccontarci le nostre personali avventure e per riprendere insieme questo viaggio meraviglioso che ci unisce.

 

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11 marzo, Auckland, 2°giorno
Dopo l’esaltante giornata di ieri, ci rimangono purtroppo poche ore da passare a Auckland, perché la nave alle 13.00 lascerà il molo di Queen Wharf.

Due cose, anzi tre, ci rimangono da fare: vedere un breve film inerente la Volvo Ocean Race, visitare il Museo Marittimo e……comprare qualcosina, tanto per non perdere l’abitudine, il tutto nel nostro quartiere preferito, il Wynyard, subito dopo Quay Street.

Io parto subito a razzo, per non perdere neanche un minuto ed esco di prima mattina dalla nave, mentre Stelio si attarda, e così ci diamo appuntamento per le 10.30 davanti al cinema.

Io, approfittando dell’assenza di Stelio, mi fiondo subito nel negozio della Musto, fornitore ufficiale della manifestazione, per fare il mio shopping in santa pace: compro una maglietta per me e un cappellino per il mio skipper, il tutto rigorosamente marchiato Ocean Race.

Qui incontro Alberto e mi faccio fotografare insieme a lui; peccato che debba subito uscire in barca e non abbia tempo di aspettare l’arrivo di Stelio; lui vorrebbe incontrarci entrambi nel pomeriggio che ha libero, ma noi purtroppo partiamo all’una, che sfiga!

Sistemato il problema shopping, mi ricongiungo con Stelio, arrivato troppo tardi per impedire gli acquisti.

Entriamo nel cinema, dove assistiamo alla proiezione del filmato girato a bordo della barca Vestas, incagliata sul reef davanti a Mauritius nel corso della tappa precedente, dopo una collisione col reef stesso, una cosa davvero impressionante.

Ancora scossi per queste immagini, usciamo dal cinema per entrare nel vicino Museo Marittimo, bellissimo, che raccoglie tutto, ma proprio tutto quanto concerne la navigazione, dai tempi degli indigeni Maori ai giorni nostri, oltre a tutti i cimeli inerenti l’Americas Cup, per la quale tutti i neozelandesi hanno un vero e proprio culto.

Il tempo passa veloce ed è ora di rientrare, a malincuore, a bordo.

Certo che potevano lasciarci qui ancora qualche oretta, partire magari alle 18.00, come quasi in tutti gli altri porti, invece no, alle 13.00 in punto la Deliziosa si stacca dalla banchina e, dopo aver percorso il lungo canale che separa l’Isola Nord dall’Isola Sud, si rituffa nell’Oceano Pacifico, puntando la prua in direzione Australia.

Sidney è lontana “soltanto” 1.288 miglia marine e ci vorranno “solo” tre giorni di navigazione per raggiungerla.

Sarò anche noiosa, ma la Nuova Zelanda e Auckland in particolare ci piacciono sempre più e speriamo prima o poi di tornarci, e magari fermarci un più a lungo, perché qui è …… trooooppo bello ! Kia ora New Zealand !

 

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13 marzo, in navigazione
E’ un po’ che non scrivo dei giorni di navigazione, non perché non ci siano argomenti, ma perché non voglio ripetermi, visto che la vita di bordo per noi scorre in modo abbastanza ripetitivo, pur nella molteplicità delle nostre attività giornaliere.

Una delle poche varianti sono gli spettacoli in teatro, che seguiamo solo quando ci sono spettacoli che veramente ci interessano; quelli che non perdiamo sono gli spettacoli folcloristici locali dei vari posti che tocchiamo, l’ultimo dei quali, quello dei maori neozelandesi è stato veramente affascinante, così come in precedenza lo erano stati anche quelli dei polinesiani, dei cileni, dei brasiliani.

Due sera fa c’è stata pure la finale dello show “Deliziosa Dream Dance”, il Reality Show dei passeggeri ballerini, sul modello del nostrano “Ballando con le stelle”: i passeggeri si sono esibiti ballando con i nostri maestri di ballo, dopo giorni e giorni di dure prove; alla fine ha vinto il nostro amico Mukesh che ha ballato con Lia, davanti alla nostra amica Maria Grazia che ha ballato con Thiago, con le immancabili polemiche di queste situazioni.

Oggi è un giorno importante perché è l’ultimo giorno della seconda tratta, e questo significa che tanti passeggeri che non compiono tutto il giro completo, ma una singola tratta, domani sbarcheranno.

Tra costoro ci saranno pure Mauro e Franca con Pino e Ida, i nostri grandi amici del primo giro del mondo, nonché avversari agguerriti nel burraco…meno male che se ne vanno, così avranno finito di vincere tornei su tornei, facendo man bassa di cappellini e borsellini; ci mancheranno, ma siamo sicuri che prima o poi ci incontreremo, chissà dove, chissà quando, e che la nostra amicizia non verrà mai meno perché Costadeliziosiani si rimane per sempre!

Domani ci lascerà anche Gaetano, il nostro Cruise Director, che torna a casa per due meritati mesi di ferie; ci mancheranno tanto la sua presenza, la sua disponibilità, il suo entusiasmo, il suo sorriso e la sua fede palermitana!

Siamo stati ieri fino a tardi a chiacchierare con lui, per accomiatarci in modo tranquillo, visto che domani sarà super impegnato e non avrà tempo da dedicarci; ci sembrerà strano non vedercelo più attorno, perché lui era dappertutto!

Ciao Gaetano, siamo stati bene con te.

Ma domani, non parte solo Gaetano, ci lascerà anche Pietro, bravissimo musicista e grande trascinatore, vero show man, indiscusso beniamino di tanti passeggeri e soprattutto di passeggere; la sua partenza lascerà nello sconforto stuoli di ammiratrici, che ogni sera lo ascoltavano in assoluta adorazione.

La festa di arrivederci che dedica ai suoi fans tocca il suo culmine quando la dolce Selene gli legge una lettera che ha scritto per lui, commuovendo fino alle lacrime tutti i presenti e Pietro per primo…..eccola:
“Perché tu ti ricordi di me
Ciao Pietro,
voglio dedicarti queste parole, che mi vengono dal cuore
con la speranza che tu non le possa dimenticare
anche a distanza di tempo
quando per il mondo ancora dovrai navigare
Sono stata bene insieme a te
con il tuo sorriso e la tua voce mi hai fatto sognare
mi hai fatto cantare, mi hai fatto anche ballare
Sei stato il compagno delle mie serate
mi hai fatto ricordare con la tua voce, con il tuo sorriso
i bei momenti che ho avuto nel mio passato.
Questa avventura del giro del mondo mi lascerà un ricordo profondo
tu domani te ne andrai, e tanto mi mancherai
Quando a cena andrò e questo corridoio passerò
sempre nella mente ti avrò e, credimi, tanta nostalgia sentirò.
Di te non mi dimenticherò e nel mio cuore ti porterò.
So che in questa bella avventura, fra i ricordi più belli ci sarai tu
la tua simpatia, la tua allegria,
il tuo sorriso sempre contento,
i tuoi capelli biondi lasciati al vento.
il tuo caldo sorriso che mi ha dato, ogni sera, un angolo di paradiso.
Le parole che mi dicevi la sera, entravano nel mio cuore
e mi davano la forza di credere che, comunque, posso ancora sperare
in un futuro che, in qualche modo, mi ha voluto abbandonare
Ciao Pietro,
un bacio e un abbraccio.
Non ti dimenticare di me
Io ho imparato che la vita deve continuare,
anche se tante prove belle e brutte si devono affrontare
ricordalo anche tu quando, lontano dalla tua famiglia,
per mare, ancora, dovrai andare….
Con tanto affetto, Selene
Giro del Mondo 2015,
Costa Deliziosa 13.03.2015″

 

 

 

Fine Seconda tratta

 

 

Capitolo 3

Terza tratta

Da Sidney a Savona
14 marzo – 1 maggio

 

 

14 marzo, Australia, Sidney
Questo è lo skyline di Sidney che si presenta ai nostri occhi e ai nostri cuori, entrando nella baia di Watson, dove staremo all’ancora per tre giorni.

Rispetto a due anni fa cambia solo il tempo, pioggia e vento allora, sole e caldo oggi, ma l’emozione di trovarci qui di nuovo è la stessa di allora.

Quella che noi riteniamo essere la città più bella del mondo ci accoglie in tutta la sua bellezza e noi siamo pronti a riscoprirla, a girarla, a godere di ogni singolo minuto che qui passeremo.

L’unica cosa che ci “infastidisce” un po’, per usare un eufemismo, è il fatto di non attraccare in banchina direttamente nella città, ma di dover rimanere in baia, e dovere utilizzare le lance o i traghetti del porto per scendere a terra; in questo caso il malcontento generale accomuna i passeggeri di tutte le nazioni, persino tedeschi e francesi, in perenne guerra tra di loro per ogni quisquiglia.

Il nostro programma prevede due giornate “self”, ovvero liberi di andare dove vogliamo, ed una giornata di escursione con Costa, con meta le Blue Mountains.

Oggi però la giornata è dimezzata, perché fra arrivo in rada e discesa a terra, è già mezzogiorno passato che tocchiamo il sacro suolo australiano, al molo Man o War, di fianco alla Sidney Opera House, che ritroviamo in tutto il suo splendore, più bella che mai, col bianco del suo tetto che luccica contro l’azzurro terso del cielo.

Qui le nostre strade si dividono: Stelio andrà Downtown, in centro città, con il bus gratuito a farsi un giro, mentre io salgo sul Sidney Explorer, l’autobus scoperto che fa il giro di tutta la città, col sistema “Hop on Hop off”, sali e scendi.

Approfittando di questo mezzo ho modo di passare in tutti i posti più significativi della città e scendere dove e quando voglio, indubbiamente il modo migliore di viaggiare in una città tanto grande e con tanti bei posti da vedere.

Anche se il bus è pieno di turisti, io sono sola, non ci sono amici, non c’è nessun passeggero della Costa, insomma non c’è nessuno che mi può distrarre dal mio privilegiato punto di osservazione e distogliermi il mio stato di assoluta beatitudine.

Rivedo con immenso piacere tutto quello che due anni prima avevo visto sotto la pioggia o che non avevo visto perché avvolto dalla nebbia, e la differenza è abissale.

A metà giro, scendo e cambio bus per fare il giro di Bondi, il quartiere più balneare della città con la sua famosissima spiaggia di Bondi Beach, regno dei surfisti, oggi frequentatissima, vista la splendida giornata e la concomitanza del sabato pomeriggio.

Dopo la sosta a Bondi, il viaggio riprende, salendo sulle Dover Hights, con le sue belle ville, giardini, campi da golf e vista meravigliosa sulla baia.

Finito questo giro, alla Central Station riprendo il bus dell’altro itinerario che mi riporta in pieno centro, passando per i quartieri di Paddington, The Rocks, Darling Harbour e ritornare, dopo ben cinque ore di tour, al punto di partenza a Circular Quay.

Sono ultra soddisfatta ma sfinita, più che se fossi salita sul Monte Luco, perché quaggiù, agli antipodi, il sole che picchia forte e l’aria che è diversa dalla nostra prosciugano in fretta le energie.

Rientrata in nave, ritrovo Stelio altrettanto sfinito e soddisfatto per il suo giro, seppur più piccolo del mio; è riuscito a percorrere tutta la George Street, la via più importante della città, che unisce il centro al quartiere The Rocks, dove si trova il porto, non un’impresa da poco per lui…bravo!

Fossimo stati in banchina, avremmo avuto ancora voglia di uscire per assaporare la vita notturna di Sidney, ma l’idea di riprendere per due volte la lancia ci fa desistere.

Ci consoliamo cenando al Ristorante Costa Club al ponte 10, in modo di godere, oltre che dell’ottima cucina e del servizio perfetto di questo ristorante, anche della magnifica vista sulla baia con i grattacieli, l’Opera House e l’Harbour Bridge illuminati……..ops…ma c’è qualcosa che non va: l’ Enel australiana deve aver tagliato la luce alla città, perché c’è poco o nulla di illuminato, why ???

Il primo giorno a Sidney è andato, siamo più che soddisfatti, location a parte, e finiamo la giornata scambiando con gli amici pareri e impressioni sulle rispettive attività odierne.

Salutiamo anche i fortunati che domani partiranno per dei fantastici Overland in terra australiana: Arrigo e Anna faranno un tour nell’interno del paese e visiteranno anche la Tasmania, mentre Franco e Giorgia, Alfredo e Gloria andranno all’ Ayers Rock, uno dei luoghi simbolo dell’ Australia.

Buon viaggio amici, guardate anche con i nostri occhi e portateci idealmente con voi, certi che al vostro ritorno avrete storie meravigliose da raccontare e tante foto da mostrare e scambiare.

In fondo siamo un po’ come i bambini che si scambiano le figurine: tu mi dai l’Ayers Rock e io ti do le Blue Mountain, se mi dai la Tasmania ti do Sidney dall’elicottero….
Good night everybody in this wonderful town!

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15 marzo, Sidney, 2° giorno
Sono solo le sette del mattino, fuori è ancora buio, e noi siamo già pronti per partire in escursione con Costa, “ Alla scoperta delle splendide Blue Mountains”, escursione tanto attesa da noi montanari e tanto consigliata da chi già l’aveva fatta due anni orsono.

I presupposti non sono però dei migliori perché il tempo è brutto e minaccia pioggia; pertanto si parte ben vestiti ed equipaggiati per affrontare questa giornata impegnativa.

Il bus parte con il suo carico misto di italiani e spagnoli; ci fanno buona compagnia i nostri amici Massimo e Flavia.

Abbiamo anche l’onore e la fortuna di avere con noi il Dottore di bordo, non si sa mai, in giornata libera con la sua Signora, la brava cantante lirica Daniela.

La guida locale, Alda Perez, per metà italiana e metà spagnola, come il gruppo, ci dà subito il benvenuto bilingue, esordendo con un categorico “Le Blue Mountains non sono montagne e non sono neppure blu”!

Noi ci guardiamo sbigottiti e ci chiediamo “ma allora perché …zo ci stiamo andando?“.

La spiegazione arriva subito : “ Per voi europei montagne alte mille metri non si possono considerare montagne, e non sempre si verifica il fenomeno del colore blu, ci vogliono particolari condizioni…”.

Siamo a posto!!

Comunque sia, le Blue Mountains si trovano a circa cento chilometri da Sidney e sono l’unico gruppo montuoso di una certa rilevanza di tutto il continente australe, anche se la cima più alta supera di poco i mille metri s.l.m..

Queste montagne si chiamano così a causa della bruma azzurra frutto dei raggi del sole che illuminano pulviscolo e goccioline di vapore nell’atmosfera; si tratta di un interessante fenomeno scientifico, particolarmente evidente dal momento che i pendii sono ricoperti di eucalipti, di cui esistono ben centoquaranta specie diverse.

Imbocchiamo l’autostrada che ci condurrà alla meta, e dopo aver attraversato i sobborghi residenziali a ovest di Sidney, a circa metà strada, ci fermiamo per la prima tappa prevista dal programma, la visita del Featherdale Wildlife Park, un parco zoologico che vanta una ricca collezione privata di fauna australiana unica nel suo genere: koala, canguri, wallaby, wombat, dingo, coccodrilli, uccelli della foresta pluviale e dell’entroterra, pappagalli variopinti e rettili.

Stelio, manco dirlo, è nel suo regno, solo le barche a vela gli danno più gioia degli animali, mentre io mi emoziono solamente quando posso accarezzare un koala vivo, non un peluche!

La nostra guida, che fin dall’inizio del viaggio ci ha fatto una testa così auspicando puntualità da parte di noi passeggeri per non stravolgere il programma, ci mette una gran fretta, così la visita al parco dura soltanto tre quarti d’ora mentre noi avremmo voluto fermarci di più per vedere bene tutti gli animali.

Sempre la nostra Alda, per tutto il tragitto non ha fatto altro che spiegarci che in Australia tutti si comportano bene e rispettano le leggi perché chi va “against the law“ viene immediatamente e severamente punito, soprattutto per quanto riguarda il codice stradale, i cui trasgressori vengono messi alla gogna, al pari di delinquenti incalliti.

Per questo motivo i limiti di velocità, che in autostrada sono di ben 110 Km all’ora, 100 per i bus, vengono rispettati da tutti, e anche per questo il traffico è ordinato e scorre……lento.

Ripartiamo e mentre Alda ci spiega che nel comprensorio delle Blue Mountains ci sono ben ventisei paesi che si assomigliano tutti e portano ognuno il nome degli esploratori che nel diciottesimo secolo aprirono la strada che da Sidney portava fin quassù, un rumore sinistro scuote il nostro bus; Stelio subito sentenzia che è partita la frizione.

L’autista, fra mille difficoltà nel cambio marcia, continua imperterrito nella sua corsa, fedele al principio che in Australia tutto funziona bene, ma dopo qualche chilometro deve arrendersi all’evidenza e si ferma nella corsia di emergenza.

Oh no, è la seconda volta che ci troviamo in questa situazione (la prima a Buenos Aires), ma non saremmo noi a portare un po’ di sfiga?

Dopo decine di telefonate e richieste di intervento, Alda ci tranquillizza, no panic please, don’t worry, un altro bus verrà a prenderci…..tra un’ora!

Un’ora???? Si, però nel frattempo dobbiamo starcene buoni e fermi sul bus, non possiamo scendere perché questo sarebbe against the law.

Per fortuna di Alda e dell’autista Alex sul bus ci sono italiani e spagnoli, perché se ci fossero stati i francesi li avrebbero spellati vivi.

Non ci resta che pazientare, un po’ scherzando e un po’ no; per fortuna siamo in buona compagnia e ci pensa Massimo, con il suo humor a sdrammatizzare e tenere alto il morale della truppa appiedata.

Dopo altre traversie, che per brevità evito di raccontare, raggiungiamo con un altro bus la mai tanto agognata meta di giornata, ste benedette Blue Mountains; naturalmente i programmi sono saltati, e non per colpa dei soliti italiani ritardatari, ed è saltato pure il pranzo previsto per mezzogiorno, ormai è l’una passata.

In ogni modo prendiamo prima un trenino a cremagliera che ci porta in fondo ad una gola, e poi una funivia che ci riporta a monte, dove possiamo ammirare lo spettacolo delle montagne che non sono montagne e che non sono nemmeno blu, e di una cascata che non è una cascata, visto che è praticamente asciutta; il tutto naturalmente dopo lunghe code ed altre attese, perché incredibilmente questo posto, per noi non eccezionale, attira turisti a frotte!

Sono ormai le due e mezza quando risaliamo su un altro bus che ci porta finalmente a pranzo.

Quando verso le tre entriamo nel parcheggio del Golf Club di Leura, uno dei ventisei paesini, il nostro primo pensiero è “in un Golf Club si mangia sicuramente bene” e ci fiondiamo, sfiniti dalla fame e dall’attesa, con grandi aspettative e grande appetito all’interno della Club House.

Ma ahimè, la grande delusione è in agguato sotto forma di: tavoli sporchi, ancora da sparecchiare, menù scarso, piatti sporchi, pollo e bistecche fredde (giustamente, dovevamo arrivare tre ore prima), buffet di verdure composto da tre scodelle di insalata che naviga in uno strano condimento, bevande da pagare a parte!

Stavolta anche i miti ed educati italiani e spagnoli protestano a gran voce per il trattamento, anche se inutilmente.

Io mi limito a mangiare due patate bollite, perché altro non sono in grado di ingurgitare, mentre Stelio, più coraggioso, riesce a trangugiare un po’ di pollo; il caffè è imbevibile, solo la birra è buona anche se servita ghiacciatissima.

Sicuramente domani l’Ufficio Escursioni avrà una lunga lista di lamentele da affrontare e non vorrei essere nei panni di Maria, la responsabile.

Esaurita la formalità del pranzo, se così si può definire, saliamo su un altro bus, il terzo e ultimo per oggi, che ci porta nel centro di Leura, paese famoso perché qui nel mese di luglio si festeggia il Natale, si proprio così.

Siccome qui le stagioni sono invertite, il luglio corrisponde più o meno a dicembre, ci sono le montagne, fa pure freddo, perché non festeggiare il Natale in estate, che per loro è inverno?

Alda ci raccomanda pure un bel negozio che vende articoli natalizi e tante signore vanno subito alla ricerca delle palline di Natale a forma di boomerang e del presepe con i canguri e i koala; peccato che il negozio sia chiuso….oggi non ne va bene una!

Stelio invece ne approfitta per bersi un vero espresso italiano, Lavazza, in un baretto di questo sperduto paesino nell’ Outback australiano.

Dopo un entusiasmante passeggiata nella via principale di Leura, si e no duecento metri, ripartiamo verso Katoomba, il paese più importante dei ventisei fratelli.

Qui si trova un punto panoramico da cui si possono osservare le Blue Mountain e la vallata che si stende ai lor piedi.

Io, affamata, stanca e avvilita, mi rifiuto di scendere dal bus e lascio a Stelio l’incombenza di fotografare questo bel panorama.

A questo punto comincia il viaggio di rientro verso Sidney, in un silenzio quasi totale, perché la maggior parte di noi dorme; pure Alda, sconsolata, non parla più, cosciente che anche in Australia non tutto sempre funziona.

Prima di arrivare a Sidney, passando nella zona del Parco Olimpico, Alda ci propone di fermarci a visitare gli impianti che ospitarono le Olimpiadi del 2000 ma trova scarse adesioni, anzi nessuna, perché tutti sono ormai stanchi e stufi e meno male!

Se anche avessimo voluto fermarci, non sarebbe stato possibile, perché le vie di accesso allo stadio erano chiuse per una manifestazione.

Per finire in gloria il nostro tour, quando scendiamo per l’ultima volta dal bus veniamo investiti da un violento scroscio di pioggia che ci accompagna fino all’imbarcadero prima di prendere la lancia che ci riporta dopo dodici ore, bagnati ma sani e salvi, sulla nave.

Una giornata davvero indimenticabile!

Anche se siamo stanchi, non vogliamo perdere lo spettacolo in teatro per due motivi: primo, conosceremo la nuova Direttrice di Crociera, Patricia, che sostituisce Gaetano (lacrimuccia), secondo, assisteremo ad uno spettacolo folcloristico aborigeno.

Lo spettacolo alla fine sarà veramente bello e toccante, anche se soltanto le persone che conoscono l’inglese lo hanno veramente capito; infatti, la leader del gruppo ha di volta in volta dato spiegazione del significato del ballo o del canto che gli artisti andavano presentando, senza le quali sarebbe stato incomprensibile.

Comunque mai più ci capiterà di assistere a spettacoli di questo tipo e soprattutto di questa gente misteriosa e problematica, vera spina nel fianco nell’ordinato ordinamento australiano.

Grande novità nella nostra vita di bordo, da stasera cambiamo tavolo in ristorante; seppur a malincuore, abbandoniamo il nostro vecchio e rumoroso tavolo 100 e ci trasferiamo in un tavolo più tranquillo, tutto per noi due.

Per noi è impensabile e non più possibile dover rimanere a tavola ogni sera quasi due ore per la cena, visto che oltretutto mangiamo anche poco; così saremo più liberi e ci stresseremo meno, e gli amici del tavolo continueremo a frequentarli fuori del ristorante.

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16 marzo, Sidney, 3° giorno
Dopo la faticosa giornata di ieri, oggi niente escursioni, ma solo tranquille passeggiate Downtown; abbiamo tutto un giorno a disposizione e vogliamo godercelo senza stress e condizionamenti di alcun tipo.

Saltiamo sull’autobus gratuito (!) che ci porta fino in centro, proprio sotto la Sky Tower, su cui stavolta evitiamo di salire.

Per prima cosa Stelio entra in un negozio di barbiere e dopo dieci minuti ne esce, bello tosato; siccome in Australia sono più abituati a tosare le pecore, il taglio che gli hanno fatto è un po’ troppo estremo….ma tanto gli ricrescono in fretta!

Toltosi questo sfizio del barbiere australe, andiamo al Paddy Market, grandissimo magazzino con buoni prezzi….peccato che oggi sia chiuso!

Giriamo parecchi posti per trovare delle caramelle, avendo finito la grande scorta di Big Fruit, e finalmente le troviamo da Woolworth, la più grande catena di supermarket da queste parti.

Proseguiamo la nostra passeggiata in centro città, prima di riprendere il bus che ci riporta a The Rocks, il quartiere che più ci piace e il più vicino alla nave.

Qui passeggiamo per le vie piene di gente, di scolaresche in gita, di turisti, è tutto un brulicare di persone, tutto in un clima di assoluta rilassatezza.

Compriamo in un bel negozio delle cosette prodotte artigianalmente dagli aborigeni prima di infilarci in un localino per uno spuntino: ambiente frizzante frequentato da giovani, personale gentile, ottimi panini e buona birra.

Ormai sono le due e si può rientrare alla nave, passando per l’ultima volta davanti all’Opera House, però qui le nostre strade, ancora una volta, si dividono.

Per Stelio può bastare quello che ha visto in questi tre giorni a Sidney, mentre io ancora voglio vedere i Royal Botanic Gardens, l’enorme e bellissimo giardino botanico che s’incunea fra la baia di Woolloomoolloo (provate un po’ a dirlo!), dove c’è la base della la Marina Militare Australiana, e la Sidney Cove, dove c’è il Terminal Crociere.

Ci salutiamo ed io parto in quarta perché ci vuole un’ora, fra andata e ritorno, per arrivare al punto panoramico che domina tutta la Sidney Harbour, chiamato Mrs Macquaries Chair; in questo punto, su una sedia scavata nella roccia, la Signora Macquaries, moglie del governatore sedeva per ore e ore, ammirando la baia e scrutando il mare, in attesa del ritorno del marito.

Questo bellissimo posto era una pratica rimasta in sospeso due anni fa, causa pioggia, e non volevo partire senza averlo visto.

Avuto quello che volevo, ritorno anch’io a bordo e mi godo l’ultimo tramonto sull’Harbour Bridge, mentre la nave lascia la rada, dove malinconicamente è rimasta all’ancora per questi tre giorni, vedendo le altre navi entrare e uscire dall’ambitissimo Terminal di Circular Quay…….misteri!

 

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17 marzo, Mar di Tasmania, in navigazione
Ci siamo già lasciati alle spalle i primi tre giorni in terra australiana e la Deliziosa solca deliziosamente le acque un po’ turbolente del Mar di Tasmania verso Melbourne, la prossima meta, distante 542 miglia marine, che raggiungeremo domani mattina.

A bordo sono cominciate le grandi manovre per preparare il saggio di danza dei passeggeri nello spettacolo WE CAN DANCE del prossimo mese.

Io e Stelio balleremo il country insieme, mentre io sola parteciperò anche con la zumba; ci attendono giorni di prove e di impegni.

Oggi dobbiamo pure organizzare il torneo di burraco perché Mauro è sbarcato e Franco è all’ Ayers Rock, beato lui!

Ma quanto ci tocca lavorare!!

Oggi è san Patrizio, il patrono dell’ Irlanda, ma soprattutto è il compleanno del nostro amico Massimo di Torino, che verrà festeggiato in grande stile.

Siamo ospiti di Flavia e Massimo con altri sette amici nel Ristorante Costa Club, dove passiamo due ore in allegria, fra battute, scherzi, lazzi, frizzi e trallallà, oltre che pasteggiando a Spumante Ferrari.

Finita la cena, la festa si trasferisce nella Discoteca Sharazad, dove ci attendono tanti altri amici.

Sono presenti in massa anche i croupier del Casinò, grandi amici di Massimo, stasera liberi da impegni, perché il Casinò deve rimanere chiuso fin tanto che si naviga in acque australiane.

Complici il clima festoso, la Disco Music e il Ferrari, la festa impazza fino a tardi, con grande divertimento di tutti i presenti, compresi gli infiltrati, e con grande gioia di Massimo e Flavia, subissati di auguri e di complimenti per la festa organizzata.

Da tanto tempo non si vedeva in discoteca un’atmosfera così frizzante !

 

 

 

18 marzo, Australia, Melbourne
La Baia di Port Phillip ci accoglie con un cielo carico di nuvoloni che nulla di buono lasciano presagire, speriamo in bene per la nostra mattinata che prevede l’escursione Costa con crociera sul fiume Yarra.

Arrivati all’imbarcadero, ecco la prima bella notizia: causa l’alta marea, il battello ci farà fare solo un piccolo giro, nella direzione contraria al centro.

Evviva evviva, non vedremo la parte più bella ma potremo ammirare il porto industriale con i suoi dock e le sue gru, che bello!

Per fortuna avevamo fatto la stessa escursione due anni fa, vedendo tutta la zona meritevole di essere vista, oltretutto con un cielo azzurro acceso, mentre oggi c’è solo da sperare che non piova…..o che non si rompa il battello; lo spiritello maligno che ci perseguita è sempre in agguato.

La crocierina dura solo un’oretta, ma è comunque piacevole la vista dei bellissimi grattacieli che sorgono ai lati del fiume e gli strani ponti che collegano le due sponde.

La seconda tappa è la visita al Melbourne Museum, il più grande museo dell’emisfero australe, anche questo già visto; quello che ci mancava era la sezione dedicata agli Aborigeni, riaperta da poco dopo due anni di restauri ed è qui che noi ci fermiamo per un’altra ora, anche se avremmo potuto passarci un giorno intero.

Poi via di nuovo in bus per un giro nel centro di questa bella città, dove il nuovo dei grattacieli e dei palazzi moderni ben si integra con le vecchie, per modo di dire, costruzioni.

Anche a Melbourne, come in tutte le grandi città australiane, vediamo grandi parchi, viali alberati, traffico ordinato, piste ciclabili, impianti sportivi, insomma una città vivibilissima, nonostante la sua estensione ed i suoi quattro milioni e mezzo di abitanti.

Arrivati a Federation Square, il cuore della città, decidiamo di abbandonare la compagnia e di proseguire il tour cittadino da soli.

Passeggiamo per le centralissime vie Collins Street, Elizabeth Street, Swantson Street, cuore pulsante della città, sulle quali si affaccia ogni genere di attività commerciale, dai negozi di souvenir ai negozi di abbigliamento per teenager e le boutique di marca, fino a gioiellerie di alto livello, per non parlare delle grandi banche che qui hanno tutte la loro sede principale.

Per il nostro pranzo, evitiamo i numerosi fast food, e puntiamo su un locale classico per gente d’affari, in perfetto stile inglese, dove ordiniamo solo due sandwich; ma quello che una gentilissima cameriera ci porta basterebbe per sfamare almeno quattro persone, tant’è vero che entrambi non riusciamo a finire tutto quello che abbiamo nel piatto e che loro chiamano sandwich.

Dopo una lunga camminata per digerire, ritorniamo alla nave in taxi.

Anche questa volta Melbourne non ci delude in nulla, anche se non ha il grande fascino di Sidney; la città è bella, ordinata, pulita e non per nulla nella classifica delle città più vivibili al mondo si piazza sempre nelle primissime posizioni.

Anche qui gli australiani si confermano persone squisite, gentili, felici di parlare con gli stranieri in visita, e sempre disponibili a prestare assistenza e fornire informazioni, anche quando non richieste, pronti a dare aiuto non appena vedono qualcuno in difficoltà, con il loro :
“Do you need help? You look lost!”

 

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19,20,21 marzo, in navigazione
Ben 1631 miglia marine separano Melbourne da Perth nel Western Australia, nostra prossima tappa.

Purtroppo in questi giorni è successa la tragedia di Tunisi che ha coinvolto la nostra nave sorella Costa Fascinosa, costata la vita a troppe persone, come noi in crociera.

Naturalmente a bordo non si parla d’altro e, in segno di lutto, è stato osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime e tutte le attività di intrattenimento vengono svolte in forma ridotta.

Abbiamo ricevuto comunicazione dall’Ufficio Escursioni che ci viene riconosciuto uno sconto del 20% sul prezzo del biglietto dell’escursione alle Blue Mountains, in quanto “consapevoli che nel corso di detta escursione alcune problematiche di natura logistica sono state causa di disagi per gli ospiti partecipanti”.

Grazie Costa!

In questi tre giorni il tempo è sempre stato brutto, con mare anche a forza sette, forte vento e onde che sono arrivate fino al ponte 2, con inevitabili ripercussioni sulla salute dei passeggeri; noi per fortuna siamo immuni dal mal di mare, anzi, Stelio si diverte un sacco ad osservare l’oceano che si agita, fotografando e filmando onde e spruzzi, spruzzi e onde.

Il persistente maltempo mi impedisce le attività esterne, corsa e pallavolo in primis, pertanto mi vedo costretta ad attività indoor, come tornei di burraco, corsi di ballo, lavoro d’ufficio, tipo riordinare le migliaia di foto scattate in giro per il mondo, passare foto e filmati agli amici, che a loro volta mi passano i loro.

Io e Stelio stiamo anche programmando, con l’aiuto di internet, le prossime escursioni in Africa, non solo per noi ma anche per un bel gruppo di amici che a noi, in quanto multilingue, si affidano per queste incombenze.

Aggiornamento bollettino sanitario.

Stelio, nonostante tutte le cure ricevute dai suoi amici del centro medico di bordo, sta ancora scontando le conseguenze della scivolata sul ponte 11 di dieci giorni fa, dove ha visto le stelle e non solo quelle della Croce del Sud, lui e la sua mania di passare le serate a scrutare il cielo per studiare il firmamento!

Pertanto domani non verrà con me nel Deserto dei Pinnacoli, ha aspettato fino all’ultimo prima di riconsegnare il biglietto dell’escursione, sperando in un miracolo; se ne starà buono a Fremantle, dove potrà sempre andare a trovare i suoi colleghi velisti al Royal Perth Yacht Club.

In questi tre giorni abbiamo conosciuto personalmente la nuova Direttrice di Crociera Patricia, un’argentina della Patagonia, dalla prorompente simpatia e vitalità, che, smaltite le fatiche del lungo viaggio che l’ha portata da Cordoba in Spagna, dove vive, fino a Sidney, porterà con la sua grande esperienza nuova linfa nella vita di bordo.

 

 

 

22marzo, Australia, Perth
Dopo il New South Wales con Sidney e Victoria con Melbourne, oggi visitiamo il Western Australia, il più esteso, il più ricco e il meno popolato stato australiano.

Su una superficie di 2.645.000 chilometri quadrati, un terzo dell’intera Australia, vivono solo tre milioni di persone, due terzi delle quali concentrati nella capitale Perth, il che significa meno di un abitante per chilometro quadrato: il motivo è semplice, due terzi del territorio sono costituiti da deserto e i pochi centri abitati si trovano tutti lungo la fascia costiera.

Due anni fa avevamo già visitato la cittadina di Fremantle, nel cui porto siamo ormeggiati, e la città di Perth, la più isolata delle metropoli australiane, distante più di quattromila chilometri da Sidney.

Pertanto stavolta salto il tour in bus di queste due località e vado ad esplorare deserti.

La mia giornata sarà lunga, perché sono previste dodici ore di escursione in bus: l’attrazione principale di oggi, il Deserto dei Pinnacoli, dista “solo” duecentocinquanta chilometri da Fremantle, per gli australiani poco più di uno sputo.

Assieme all’amica tarantina Jenny, anche lei lasciata libera, ma solo oggi, dal marito Giovanni, ci infiliamo sul bus misto di italiani e spagnoli.

Ci accompagna la guida locale, la veneziana Fabia che vive in Australia da dieci anni, e Isabel, l’hostess spagnola di bordo.

Attraversiamo comunque Perth, e la cosa mi fa molto piacere, ammirando i bei quartieri residenziali lungo il fiume Swan e la Downtown con i suoi grattacieli.

Passata la città, transitiamo per la Swan Walley, una pianura coltivata a vigneti e uliveti, che, grazie al clima di tipo mediterraneo, danno dell’ottimo vino e olio.

Durante il tragitto Fabia ci racconta, con malcelato orgoglio, di tutto ciò che gli italiani, a partire dall’ ottocento e fino ai giorni nostri, hanno prodotto e costruito in questo stato in tutti i settori dell’economia, e non c’è da meravigliarsi se qui la comunità italiana è la più numerosa, la più ricca e la più invidiata.

Dopo un’ora e mezza di viaggio arriva la prima sosta , il parco zoologico Caversham Wildlife Park; poiché abbiamo solo un’ora a disposizione, puntiamo l’attenzione solo sugli animali che ci interessano, koala, wombat e canguri.

Mi faccio fotografare mentre accarezzo koala e wombat, e passeggio tranquillamente in mezzo a decine di canguri liberi nel parco.

Dopo l’immancabile sosta al negozio di souvenir del parco, ripartiamo con meta Cervantes, un paesino di cinquecento anime, famoso solo per il fatto di trovarsi vicino al Deserto dei Pinnacoli, immancabile attrazione per tutti i turisti che visitano l’Australia.

Abbandoniamo l’autostrada e ci immettiamo sulla Indian Ocean Drive, la strada costiera che collega da nord a sud le migliaia di chilometri della costa occidentale, attraversando il bush australiano, un’immensa zona arida di terreno sabbioso, ricoperta da fiori e piante che sono sempreverdi nonostante la quasi totale assenza di acqua.

Per un paio di centinaia di chilometri non vediamo alcun centro abitato, solo animali al pascolo, cavalli, mucche, pecore, e qualche canguro spiaccicato sull’asfalto, investito dalle rare automobili in circolazione.

Di tanto in tanto ammiriamo sia sul lato mare che a monte della strada delle imponenti dune di sabbia bianca, che viste in lontananza sembrano colline ricoperte di neve.

Il tempo è bello, il cielo pulito e la temperatura è perfetta; non dobbiamo nemmeno litigare con l’autista per la giusta regolazione dell’aria condizionata.

Le due ore di viaggio passano in fretta, anche per merito di Fabia, che con grande competenza, condita da umorismo e simpatia, ci intrattiene, parlando del Western Australia in tutti i suoi aspetti, sicuramente la guida migliore di tutti i tour fatti finora.

A Cervantes ci fermiamo solo per il pranzo, in uno dei più noti resort della costa; come ormai d’abitudine, visto il menù servito, mi limito a mangiare un po’ d’insalata e un gelatino; ormai mi sono rassegnata a questo tipo di alimentazione on the road.

Sbrigata questa formalità, lasciata l’ insignificante Cervantes, arriviamo nel National Nambung Park, esteso su diciassettemila ettari, all’interno del quale si trova Il Deserto dei Pinnacoli, così chiamato per i pinnacoli che vi si ergono, ovvero delle formazioni rocciose calcaree che hanno le forme più svariate.

Queste strutture calcaree hanno avuto origine dalla deposizione di organismi viventi sul fondale marino; dopo l’emersione dei fondali marini i processi erosivi del vento hanno fratturato le rocce calcaree creando queste strutture colonnari, interamente ricoperte dalla sabbia fino a poche centinaia di anni fa.

Pur avendo precedentemente visto molte fotografie di questo luogo, il trovarsi qui di persona è davvero emozionante e la bellezza del panorama che ammiriamo è veramente qualcosa di unico al mondo.

Seguiamo la nostra guida per il sentiero lungo poco più di un chilometro che porta fino al punto panoramico, da cui possiamo ammirare in tutta la sua estensione questo mare di sabbia color giallo ocra, punteggiato da centinaia di pinnacoli, e delimitato a nord da un’immensa corona di dune di sabbia bianca, che solo con il teleobiettivo riesco a cogliere.

Dopo un’ora di permanenza nel parco, risaliamo sul bus e continuiamo sulla strada costiera fino al paesino di pescatori di Lancelin, poco più di cinquecento anime, dove ci fermiamo per lo spettacolo del tramonto sulle dune di sabbia.

Tutti i passeggeri, io per prima, si arrampicano in cima alle varie dune, vere e proprie collinette, alte trenta, quaranta metri, di una sabbia bianchissima e finissima che sembra quasi farina bianca.

Anche da quassù la vista è mozzafiato e le foto che scatto, insieme a quelle scattate nel deserto, saranno poi fra le più belle di tutto il giro del mondo.

Fabia riesce a fatica a trascinare via questi indisciplinati passeggeri che felici come bambini giocano con la sabbia, alcuni addirittura rotolando giù dalle dune, incuranti della sabbia che, portata dal forte vento, si infila nelle scarpe, nei vestiti e pure negli occhi.

Dopo questa goduria, ci fermiamo pochi minuti sulla spiaggia per vedere anche il tramonto sul mare.

Poi comincia il viaggio di rientro verso Perth, dove giungiamo a serata inoltrata; qui ci fermiamo a King’s Garden, il punto più alto della città, dal quale ammiriamo lo skyline notturno dei grattacieli sul fiume Swan.

Sono passate ormai dodici ore da quando abbiamo lasciato la nave stamattina e la ritroviamo, alle nove passate di sera, tutta illuminata fare bella mostra di sé nel porto di Fremantle.

Sono stanca morta e affamata, ma stracontenta per la bellissima escursione odierna; questa volta è andato tutto bene, a parte il pranzo, ma questo ormai lo abbiamo capito, gli australiani non sanno cucinare.

Sono anche felice di riabbracciare Stelio dopo tante ore di lontananza; chissà cosa avrà combinato questa volta in mia assenza?

Per farla breve, Stelio esce verso le dieci, prendendo il trenino fino in centro a Fremantle; visita una zona che non aveva visto l’altra volta, dopodiché punta dritto sul circolo velico ma, siccome questo è abbastanza lontano e lui é abbastanza affamato, le forza lo abbandonano presto e allora decide di rientrare sulla nave.

Rifocillato e riposato, gli viene voglia di fare il tour di Perth, con l’escursione Costa, anche se non l’aveva prenotata……dovendo venire con me ai Pinnacoli.

No problem, i ragazzi del tour office gli danno il biglietto e via si parte, in compagnia di Italo, che sta decisamente bene.

Dopo il solito giro in centro per vedere i grattacieli e i quartieri residenziali con le ville da milioni di dollari, si fermano a Sorrento Quay, una bella spiaggia con un altrettanto bello lungomare, che ricorda tanto Santa Monica in California.

Qui i due ragazzi curiosano un po’ per i negozi, e poi dicono delle donne, ma non comprano niente perché i prezzi sono esageratamente cari, tipo 110 dollari un paio di ciabatte di gomma o 7,5 dollari per una pallina di gelato.

Stelio raccoglie, secondo gli ordini, la sabbia da aggiungere alla mia collezione di sabbie; a fine crociera mi ci vorrà un container per portare a casa tutta la sabbia raccolta in giro per il mondo.

Poi classica fermata al King’s Garden, per le foto di rito sui grattacieli e sul prato. Completato il giro di Perth, ritornano a Fremantle, dove tutto è chiuso perché è domenica pomeriggio; Stelio non è nemmeno riuscito a spendere gli ultimi trenta dollari australiani, se li avesse lasciati a me, avrei saputo come spenderli!

Finisce la giornata, cenando solo soletto in attesa del mio rientro, comunque soddisfatto per la tenuta del suo fisico, ha fatto il massimo che poteva fare nelle sue attuali condizioni.

Alle 22.00 la Deliziosa si stacca dalla banchina del porto di Fremantle, abbandonando definitivamente questo immenso paese tanto lontano da noi, down under come dicono gli Aussie.

Visitare l’Australia è sempre stato un sogno per noi e ora che ci siamo stati due volte nel giro di due anni siamo sempre più convinti che questo paese, insieme alla vicina Nuova Zelanda, sia un esempio di civiltà, educazione, rispetto delle persone, grande forza di adattamento ad una natura non sempre amica dell’uomo, e soprattutto volontà di preservare l’ambiente il più incontaminato possibile.

In questo paese, che ha accolto gente da tutto il mondo, la convivenza fra i numerosi gruppi etnici è un fatto naturale e pacifico, anche se resta e resterà sempre aperta la scottante questione degli Aborigeni, ma questa, aimè, è tutta un’altra storia, che nessuno sarà mai in grado di spiegarci!

 

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23- 28 marzo, Oceano Indiano, in navigazione
Riassumo solo gli eventi degni di nota di questa lunga settimana di navigazione necessaria per arrivare da Perth fino a Mauritius, dove giungeremo domani mattina, dopo aver navigato per ben 3217 miglia marine.

Per fortuna l’Oceano Indiano non ha dato problemi e il tempo è sempre stato bello, favorendo l’attività più praticata a bordo, prendere il sole!

 

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29 marzo, Oceano Indiano, in navigazione
Oggi è la Domenica delle Palme e nel Teatro Duse viene celebrata la Santa Messa con un rito congiunto italiano e francese.

Il Teatro è stracolmo di gente che, nonostante il clima vacanziero, non vuol perdere questo importante momento di spiritualità.

Non essendo stato possibile reperire i ramoscelli d’ulivo, viene consegnata a tutti i presenti una croce costruita con tanta pazienza e tante ore di lavoro da tutti i ragazzi dell’animazione….grazie ragazzi, siete splendidi!

In questi giorni Stelio è rimasto tranquillo al fresco della nave, complice il grande caldo e pure il mal di schiena, che si trascina dietro da ormai due settimane; ha approfittato di queste giornate per programmare e prenotare le prossime escursioni in Sudafrica e in Namibia, operazione portata a termine con successo e con il plauso unanime degli amici che con noi condivideranno queste avventure.

Io invece ho dato fondo a tutte le energie: di mattina pallavolo, di pomeriggio ballo e ginnastica, con le prove di country e zumba per lo spettacolo del prossimo mese, di sera ancora e sempre ballo in bella e allegra compagnia.

Dopo una settimana così “stancante” ben vengano i prossimi tre giorni di discesa a terra, le spiagge di Mauritius e La Reunion ci stanno aspettando!

Oggi è un giorno importante per i nostri amici romani Luciano e Tina che festeggiano cinquant’anni di matrimonio e lo fanno invitando gli amici più cari al Ristorante Costa Club.

E’ stata una bella serata, ottimo cibo, il migliore finora a bordo, ottima compagnia, un pizzico di commozione e tanta allegria.

 

 

 

 

30 marzo, Mauritius, Port Louis
Mauritius, insieme a La Reunion, appartiene all’arcipelago delle isole Mascarene e si trova proprio sul Tropico del Capricorno a circa 550 km dalle coste del Madagascar.

Su una superficie di 2.040 chilometri quadrati vivono 1.300.000 persone, 150.000 delle quali vivono nella capitale Port Louis, dove la Deliziosa attracca di buon mattino; dopo aver solcato per ben sette giorni le acque, fortunamente tranquille, dell’Oceano Indiano, si concederà un po’ di riposo, visto che ci fermeremo qui per due giorni e una notte.

Un caldo “africano” ci dà il benvenuto; sono le otto del mattino e ci sono già 30 gradi con un bel tasso di umidità quando posiamo i nostri piedini sul suolo africano.

Siamo a Port Louis, città che i turisti diretti alle spiagge si limitano a superare senza degnarla del minimo interesse, ed è quello che facciamo anche noi.

Per questi due giorni abbiamo un programma ben preciso: spiaggia e mare.

Oggi la nostra meta è la spiaggia di Troux aux Biches, a venti chilometri dal porto, che raggiungiamo in perfetta solitudine, dopo questo tragitto un po’ tortuoso: un barchino di pescatori locali ci traghetta dalla nave al terminal; attraversiamo a piedi le vie del centro interamente occupate da bancarelle e negozi di strada, in un caos incredibile di persone, auto, moto, clacson e persone urlanti; raggiungiamo a fatica il piazzale degli autobus e troviamo finalmente il nostro vecchio e sgangherato mezzo; dopo un’ora di viaggio, inframmezzato da decine di fermate, unici turisti in mezzo ai locali che ci squadrano da testa a piedi, raggiungiamo la tanto agognata meta di Troux aux Biches, unanimemente riconosciuta come una delle spiagge più belle di tutta l’isola.

Qui troviamo tutto quello che ci si aspetta di trovare nelle spiagge tropicali: acqua calda e cristallina, sabbia bianca finissima, palme, e soprattutto pochissima gente; ci hanno preceduto solo i ballerini ungheresi del gruppo Latino Dance che domani sbarcheranno per fine contratto e la nostra maestra di ballo Giusy insieme al fidanzato, arrivati fin qui comodamente in taxi!

Dopo più di quattro ore di bagni e relax ed un abbondante pasto fatto di ben due ananas, decidiamo che può bastare: il sole africano non permette di stare esposti troppo tempo.

Rientriamo a Port Louis con un confortevole taxi, stavolta, avendo già provato l’ebbrezza del trasporto locale.

Il panorama che abbiamo visto ci ricorda un po’ la Thailandia, tanto disordine e tanto sporco: tutto il territorio, ad esclusione della zona costiera con le sue splendide spiagge, e delle sterminate piantagioni di canna da zucchero, è costituito da un insieme informe di costruzioni senza uno stile ben definito, in maggior parte non finite, e lungo la strada un susseguirsi continuo di negozi e attività commerciali di ogni tipo, e tanti cani randagi…..non esattamente un paradiso.

Anche se Mark Twain scriveva che “si ha l’impressione che sia stata creata prima Mauritius e poi il paradiso, e che il paradiso sia stato copiato da Mauritius”.

Rientrati al terminal ci concediamo una buona birra locale in compagnia degli amici francesi David e Helene, pure loro entusiasti della spiaggia di Grand Baie.

Sempre col barchino del locale Caronte ritorniamo sulla nostra Deliziosa.

Di sera ci sarebbe tutto il tempo di riscendere a terra, ma gli effetti del caldo e del sole si fanno sentire e dopo cena ci ritiriamo subito in cabina; io, oltretutto, soffro di un fastidioso raffreddore, il secondo ormai.

I continui sbalzi di temperature, di clima, i numerosi cambi di fuso orario, e l’eterna lotta con l’aria condizionata, producono effetti micidiali, mettendo a dura prova anche i fisici più forti e temprati…..come il mio, modestamente!

 

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31 marzo, Mauritius, 2° giorno
Oggi abbiamo in programma un’escursione all’ Ile aux Cerfs, l’Isola dei Cervi, una delle mete predilette dai turisti che visitano Mauritius in cerca di paesaggi tropicali da sogno.

Questa volta non ci affidiamo all’Ufficio Escursioni Costa, ma ci fidiamo di Madame Vera, una passeggera francese che, per puro divertimento, ha organizzato questo tour, raccogliendo ben sessantotto adesioni, in maggioranza francesi e spagnoli con sei infiltrati italiani, noi, gli amici fiorentini Paolo e Carla e gli amici brianzoli Giorgio e Angela.

Si parte suddivisi su tre piccoli bus.

La meta si trova sulla costa orientale dell’isola, a circa quaranta chilometri da Port Louis.

Pertanto ci concediamo questo piccolo coast to coast, potendo ammirare il paesaggio isolano, costituito da coltivazioni di canna da zucchero a perdita d’occhio e sterminate distese di terra rossa, il tutto contornato dai rilievi montagnosi che dominano tutto il panorama.

Anche oggi il caldo e l’umido sono micidiali, e pure il mio raffreddore.

Dopo un’ora di tragitto giungiamo al molo dove troviamo un barchino che in più turni porterà tutto il gruppo su due catamarani che attendono in acque più profonde e che ci porteranno sull’Isola dei Cervi.

Appena sbarcati, scopriamo subito di non essere soli perché l’isola è già stata invasa e conquistata dalla temibile tribù dei Costa People!

Dopo aver, a fatica, trovato il nostro spazio sulla spiaggia e appoggiate le nostre cose, ci tuffiamo in un’acqua che più turchese e tiepida non si può; il braccio di mare incuneato fra due spiaggette è percorso da una forte corrente ed è qui che noi ci divertiamo a risalire a piedi la corrente per farci poi trascinare dolcemente verso riva, un vero spasso che durerà per tutta l’ora che abbiamo a nostra disposizione.

Lasciata la spiaggia e tutti i suoi chiassosi abitanti, ritorniamo sul catamarano che, dopo aver circumnavigato a vela tutta l’isola, dirige la sua prua verso la foce di un fiume; altro trasbordo su un barchino che risale il fiume fino a una bellissima cascata e qui si che ci si avvicina al concetto del paradiso!

Ridisceso il fiume, ritorniamo a bordo del catamarano dove ci attende il pranzo preparato a bordo dai ragazzi dell’equipaggio; tutti si abbuffano, tranne la sottoscritta che, fedele alla linea adottata in precedenza, evita il contatto con il cibo al di fuori della nave.

C’è ancora il tempo per un po’ di snorkeling in queste splendide acque cristalline, muniti di pinne e maschere, ma di pesci neanche l’ombra!

Il rientro avviene in un clima di assoluta euforia, visto che francesi e spagnoli si ingozzano di coca e rhum prima, e di rhum con coca dopo.

Fra i pochi a mantenersi lucidi siamo noi italiani e i nostri amici spagnoli Tina e Arturo e Daniel e Esperancia, cosicché quando il motore del catamarano resta in panne nessuno se ne accorge, per fortuna.

Allora continuiamo la navigazione solo a vela, sfruttando il poco vento che soffia, e a Stelio non sembra vero di poter prendere in mano un timone.

Ci mettiamo un po’ di tempo in più a ritornare al barchino che ci riporta a terra sul bus che ci riporta in nave, ma vuoi mettere il divertimento di veleggiare nell’Oceano Indiano?

Brava Madame Vera, da dilettante hai organizzato proprio una bella gita e non era facile mettere d’accordo per un giorno francesi, spagnoli e italiani…..nemmeno la Costa ci riesce!

Stavolta non si è perso nessuno e allora la Deliziosa alle 19.00 può ripartire per un breve viaggio che ci porterà nella vicina Ile de La Reunion, a sole 134 miglia marine.

Aurevoir Mauritius, piccolo angolo di paradiso in terra, lo diceva anche Mark Twain!

 

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1 aprile, Francia, Ile de La Reunion
L’Isola de La Reunion è un dipartimento d’oltremare francese ed i suoi 800.000 abitanti sono a tutti gli effetti cittadini francesi, esattamente come i parigini e i marsigliesi, anche se la maggior parte di essi sono di discendenza, cultura e lingua creola; la lingua ufficiale è il francese e la moneta è l’euro.

La capitale è Saint Denis, circa 150.000 abitanti, la più grande di tutte le città francesi d’oltremare.

L’isola è montuosa, di origine vulcanica; il punto più alto è il Piton des Neiges, con i suoi 3069 metri s.l.m. e l’intera linea costiera misura 207 chilometri.

Oggi è in programma l’escursione Costa con la visita di Saint Denis.

Ci sarebbero altre escursioni più accattivanti, come il giro dei vulcani o il viaggio nel sud dell’isola, ma la durata è eccessiva, in relazione al grande caldo ed alle nostre condizioni di salute; e poi siamo troppo curiosi di scoprire questo pezzo di Francia ai tropici.

Saliamo sul bus-frigorifero, proprio quello che mi serve per curare il raffreddore, e con una rivolta popolare riusciamo a ottenere una temperatura più umana, a costo di denudarci per il troppo caldo.

Ci accompagna la guida locale, Stefano, un fiorentino che vive qui da dodici anni.

Purtroppo per noi e per i nostri timpani, Stefano non smetterà più di parlare, anzi, di gridare fino alla fine del tour; ci mancava solo la guida logorroica!

Poiché la nave è attraccata nel porto commerciale, ci vogliono buoni venti minuti per arrivare nel centro città dove facciamo la prima sosta.

I venti chilometri che separano Le Port da Saint Denis si snodano per intero lungo una strada costiera, praticamente un budello stretto fra l’oceano da una parte e le altissime falesie dall’altra parte.

Le falesie sono interamente ingabbiate da reti metalliche che dovrebbero impedire la caduta massi.

Stefano ci spiega subito che durante la stagione delle piogge da aprile in poi, la corsia a monte viene spesso chiusa per la caduta massi, mentre nella stagione dei cicloni, viene chiusa la corsia a mare, causa le onde che la invadono; può succedere anche che vengano chiuse entrambe le corsie, cosicché per raggiungere la capitale bisogna inerpicarsi sulla strada di montagna, rendendo necessario un viaggio da una a due ore per percorrere questi venti chilometri; tutto questo ci verrà ripetuto più e più volte!

Speriamo in bene, con la sfiga che ci portiamo dietro, non ci vuol tanto perché un sassolino venga a posarsi sul nostro pulmino.

Arrivati in città, noi decidiamo di lasciare la nostra compagnia e giriamo da soli il piccolo centro cittadino, desolatamente vuoto; ma dove sono tutti quanti?

Scopriamo che qui tutte le attività, commerciali e non, aprono alle 10.00; peccato che siano soltanto le 9.00 e alle 10.00 si debba essere di nuovo sul pullman, proprio un bel tempismo.

Dopo un’ora di camminata nel deserto, ed aver visto le poche cose di interesse come il palazzo della Prefettura, il monumento ai Caduti, il Municipio, la Cattedrale e la Rue de Paris, la via più importante della città con le sue case Creole, il nostro giro raggiunge il picco più emozionante allorché troviamo una farmacia, stranamente aperta, dove Stelio si fionda per acquistare il Voltaren Gel, di cui è grande consumatore.

Alle dieci in punto, come da programma, ritroviamo il bus, con i nostri amici e la nostra brava guida, dove restiamo per quasi mezz’ora fermi, in attesa che la polizia dia il permesso a tutti i dieci bus di muoversi insieme verso la parte alta della città; provate a immaginare l’aria che si respira a bordo, e non solo quella condizionata!

Fatto sta che avuto l’ok, ci rimettiamo in marcia, per un tragitto che dopo soli tre minuti, ci porta al giardino botanico, percorrendo le stesse strade che noi abbiamo già percorso due volte!

Un po’ cominciano a girarci….In questo piccolo parco cittadino, pomposamente chiamato Jarden d’Etat, possiamo rimanere un’ora e mezza; a fare che? tutti ci chiediamo; a vedere il museo di Scienze naturali, dieci minuti, a bere una bibita al bar, cinque minuti, a sedere sulle panchine per più di un’ora.

Risultato: i passeggeri di dieci bus Costa che cazzeggiano tutto sto tempo in un parco; oltretutto la temperatura non invoglia nemmeno a muoversi per le vie limitrofe, ora un po’ più trafficate di stamani.

All’ora convenuta, tutti sul bus, per tornare al porto, incazzati neri, con la suadente voce di Stefano che ci spiega per l’ennesima volta la storia della strada che si chiude e che ci promette, a fine tour, una grande rivelazione.

Poco dopo mezzogiorno raggiungiamo con un grande sospiro di sollievo il porto ed ecco la grande rivelazione: “non solo durante la stagione delle piogge e dei cicloni cadono i massi sulla strada, ma succede anche nella stagione secca, come questa, che si stacchino e volino giù sulla strada interi pezzi di montagna” …..meno male, evidentemente oggi era il nostro giorno fortunato!

Raggiungiamo in sicurezza la nave che, per oggi, non intendiamo più lasciare.

Di Saint Denis abbiamo visto abbastanza, città pulita, ordinata, tenuta bene, di chiara impronta francese, niente a che vedere con il caos e lo sporco di Port Louis a Mauritius.

Questa di oggi è stata in assoluto l’escursione più assurda e insignificante di tutto il viaggio; l’avessimo solo immaginato, avremmo senz’altro optato per un altro programma, posti belli da vedere ce n’erano, ma in libertà, come piace a noi.

Siamo però contenti per i nostri amici, ritornati soddisfatti dal giro dei vulcani, almeno a loro è andata bene.
Adieu La Reunion, domage !

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2,3,4 aprile, Oceano Indiano, in navigazione
Lasciate con qualche rimpianto le Isole Mascarene alle nostre spalle, continua la marcia di avvicinamento al Continente Nero, paraponzi ponzi pa, anche se non arriveremo alle falde del Kilimangiaro, ma più semplicemente nel porto di Maputo, in Mozambico, nostra prossima meta…….anzi no, perché a Maputo non ci arriveremo mai!

Perché? Perché Costa, dopo giorni di Maputo si Maputo no, ha deciso per il no, annullando la sosta in questa città e puntando direttamente verso il Sudafrica, adducendo motivazioni di sicurezza, legate alle avverse condizioni atmosferiche.

Questa motivazione non convince del tutto, lasciando aperte le porte alle più svariate ipotesi, che naturalmente tutti i passeggeri si preoccupano di formulare.

Visto che la città di Maputo è riconosciuta dal nostro stesso Ministero degli Esteri come una delle città più violente al mondo, forse è meglio così; noi comunque non saremmo scesi dalla nave e poco ci cambia.

E così questi tre giorni passano con questo filo conduttore; a bordo nascono i due partiti opposti e sembra che da un giorno all’altro tutti siano diventati grandi esperti di Mozambico, persino quelli che fino a poco tempo fa non sapevano nemmeno in che parte di mondo si trovasse ‘sto posto!

La vita di bordo prosegue la sua routine in attesa della Pasqua, che noi festeggeremo in territorio sudafricano, e più precisamente a Richard’s Bay, dove arriveremo domani, con un giorno di anticipo rispetto al programma originale.

Visto che la cappella è troppo piccola per contenere tutti i fedeli, i riti della settimana santa e la veglia del sabato santo si svolgono in Teatro, con grande partecipazione di fedeli di tutte le nazionalità.

I ragazzi dell’animazione hanno provveduto ad addobbare i saloni ed i corridoi con l’oggettistica pasquale, pertanto siamo sommersi di funghetti, ovetti e coniglietti.

Dopo ben 28 cambi di fuso orario, oggi siamo tornati alla stessa ora italiana !!!!!

A Mauritius c’è stato il cambio del corpo di ballo; al posto degli ungheresi Latino Dance, sono saliti a bordo i sudafricani AfroArimba, che noi abbiamo già conosciuto due anni fa; io sono felice di rivedere Vilakazi Mandla, il mio ballerino preferito oltreché grande amico……tanto Stelio non è geloso.

 

 

 

5 aprile, Sudafrica, Richard’s Bay
Eccoci in Sudafrica, per la prima volta in vita nostra!

Il primo approccio non resterà indimenticabile: il tempo è piovoso e il panorama non è proprio interessante.

Sono le otto del mattino quando la Deliziosa entra nelle acque antistanti il porto di Richard’s Bay.

Questa città, nostro primo approdo in questa terra, deve la sua fama al fatto di essere il porto carbonifero più importante al mondo, ma a noi questo poco interessa; la cosa più importante per noi viaggiatori, che di carbone non necessitiamo, è che questa è la porta di accesso alla regione dove si trova la Riserva faunistica Hluhluwe-Umfolozi, che è la nostra meta di domani.

Ma visto che qui ci troviamo, e non a Maputo, tanto vale vedere come festeggiano la Pasqua da queste parti.

Ma ahimè, questa resterà una pia illusione.

Come è già successo in Australia e a Mauritius, le autorità locali effettuano il controllo face to face di tutti gli stranieri che intendono mettere piede nel loro stato: questo significa che tutte le tremila persone che vivono sulla Deliziosa, duemila passeggeri e mille di equipaggio, devono essere viste in faccia, una a una, dai funzionari dell’ Ufficio Migrazione, dopodichè ricevono il visto sul passaporto, che gli permetterà di scendere a terra.

Tale operazione in teoria doveva completarsi entro la mattinata, per consentire a tutti di godere di un’intera giornata a terra.

Peccato che la nave riceva l’autorizzazione ad entrare in porto solamente a mezzogiorno, e questo faccia slittare tutte le operazioni di controllo e di sbarco di qualche ora, fra polemiche a non finire e motti di impazienza generalizzati, trasversali a tutte le razze presenti a bordo.

Però questa volta non è colpa della Costa!

Fatto sta che tutti, ma proprio tutti, passano la mattinata cazzeggiando per i saloni, in attesa del via libera.

Esaurita velocemente la pratica pranzo, alle tre arriva il nostro momento e dopo un velocissimo contatto visivo con i ferocissimi funzionari sudafricani, superiamo indenni la prova ed otteniamo il nostro bel visto.

Siamo pronti per uscire, anzi Stelio è pronto perché io rimango a bordo, ho appuntamento con la parrucchiera.

Stelio esce in compagnia di Alfredo e Gloria, alla scoperta del territorio che domani ci aspetta;non penso di perdermi un granchè.

Il porto che ci ospita è immenso, una vastità incredibile, ricoperta di cumuli di carbone e di chissà quali altri materiali che giungono qui da tutte le miniere del paese; di porti commerciali ne abbiamo già visti tanti ormai, ma uno strano come questo, ancora no.

Come sembrano lontani i tempi delle baie polinesiane o dei confortevoli terminal australiani.

Naturalmente qui è vietatissimo muoversi a piedi e si deve prendere una navetta per raggiungere l’uscita del porto, dove c’è il nulla o quasi.

Stelio e gli amici riescono ad acciuffare l’unico taxi disponibile e con questo raggiungono il centro di Richard’s Bay, dove c’è l’unico centro commerciale della zona, già invaso dai Costa People e dove rimangono giusto il tempo per un prelievo bancomat di valuta locale che ci servirà nei prossimi giorni.

Poi, serata di gala con cena pasquale, perché, anche se siamo in Africa, nessuno riununcia alla colomba e alle uova di cioccolato!

 

 

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6 aprile, Sudafrica, Umfolozi Park
Grande attesa per l’escursione odierna, interamente organizzata da noi, dopo lunga e fitta corrispondenza con un’agenzia specializzata di Durban, la Tekeweni Tours, con la quale abbiamo appuntamento al Waterfront per le otto del mattino.

Peccato che il servizio navetta cominci solamente alle 8.45, apriti cielo!

Stelio mette a fuoco e fiamme il Servizio Clienti, finché non ottiene un pullman tutto per noi che ci porti fuori dal porto.

Siamo in diciassette, baldi e giovani, si fa per dire, esploratori in partenza per un safari nella riserva faunistica Hluhluwe-Umfolozi Park, a circa settanta chilometri dal porto.

Questa riserva, con i suoi 100.000 ettari di superficie, è seconda per grandezza ed importanza solo al Kruger Park ed è meta ogni anno di migliaia di visitatori: ospita leoni, elefanti, rinoceronti, giraffe e tantissime altre varietà di animali e di uccelli.

Il territorio è collinoso, fatta eccezione per le zone pianeggianti dove scorrono i fiumi, il White Umfolozi e il Black Umfolozi, che dividono la riserva in due.

All’interno della riserva si trovano diversi resort e zone adatte per accamparsi.

Siamo a bordo di un pulmino, e con noi, oltre all’autista, ci sono il responsabile dell’agenzia e la guida vera e propria, Beki, che sa tutto sul parco e sugli animali; parlano solo inglese, ma non è un problema per noi e nemmeno per gli altri, visto che Olimpia, la figlia di Italo, si offre come traduttrice (lei studia per interprete parlamentare).

Dopo un’ora abbondante di viaggio su larghe e comode strade, raggiungiamo uno dei tre ingressi al parco e qui comincia la nostra avventura.

La cosa che un po’ ci infastidisce è che per tutta la nostra permanenza all’interno della riserva non potremo scendere dal nostro mezzo, per il pericolo di qualche incontro ravvicinato con qualche animaletto…..questo non lo avevamo previsto; dovremo limitarci a fotografare quello che avremo la fortuna di incontrare stando pigiati in diciassette su un pulmino!

L’obiettivo dichiarato di giornata è l’avvistamento dei BIG FIVE: elefante, rinoceronte, bufalo, leone e leopardo, gli animali più feroci.

All’inizio non vediamo nemmeno l’ombra di un animale e già il malcontento comincia a serpeggiare, con battute tipo “se non vediamo animali, questi qui noi non li paghiamo”, “ecco, i soliti africani che ti vogliono sempre fregare”, “ma non ci avevano assicurato che c’erano gli animali?”, ecc. ecc.

Stelio già si sta spazientendo, con gli umani non con gli animali, quando la nostra guida Beki avvista il primo quadrupede, un bufalo!

Allora tutti, in stato di trance, cominciano a fotografare, eccitati come bambini allo zoo, e questo stato di euforia collettiva ci accompagnerà per tutto il giorno.

Attraversiamo la savana, percorrendo una strada accidentata e piena di buche e spesso ci dobbiamo fermare per permettere il transito di altri automezzi che provengono in senso contrario.

Anche se non vedo animali, io mi godo questo splendido panorama, ecco questa è l’Africa come io m’immaginavo!

Dopo aver visto cinque volte il film “La mia Africa”, questo era quello che io volevo vedere con i miei occhi e pazienza se non riuscirò ad accarezzare un leone.

Ma la fortuna ci assiste e un po’ alla volta riusciamo ad avvistare giraffe, antilopi, un rinoceronte con il suo piccolo; l’agenzia può tirare un sospiro di sollievo, animali=rand.

Dopo un paio d’ore ci fermiamo in un’area attrezzata per pic nic, dopotutto oggi è pasquetta e non può mancare il pic nic.

I nostri giovanotti sono ben organizzati ed in un quattro e quattr’otto ci preparano uno squisito barbecue a base di pollo, salsiccia e manzo, molto ben cotti e speziati; persino io mi arrischio a mangiare un pezzettino di pollo!

L’atmosfera è piacevole e tutti stiamo molto bene insieme; anche delle scimmiette vengono a farci compagnia, mangiando il pane e le mele che noi gli offriamo.

C’è persino il tempo per un po’ di shopping nel negozietto del vicino Mpila Resort, dove cominciano ad arrivare i primi avamposti di Costa People; ma quando loro arrivano noi abbiamo già mangiato, in assoluta solitudine, e siamo pronti a riprendere il viaggio, alla ricerca degli animali che ancora non si sono fatti vedere da noi.

Il clima è sempre più allegro e le battute si sprecano, solo Vittorio e Olimpia, seduti un po’ scomodi dietro tutti, si lamentano un po’, ma non si può accontentare tutti.

Beki ci avvisa che non vedremo il leopardo, perché lui gira solo di notte, e forse nemmeno il leone, perché….non si sa.

In ogni modo, sulla via del ritorno vediamo tanti animali, quanti non ne avevamo ancora visti, elefanti, babbuini, kudu, impala, giraffe, i quali, avvicinandosi l’ora di chiusura della riserva, cominciano forse a sentirsi meno osservati da questi strani animali a due gambe che li fotografano a tutto spiano, disturbando la loro vita quotidiana.

Fatto sta che a causa dei continui stop, il tempo passa veloce e sono quasi le cinque che usciamo dal parco; abbiamo pochissimo tempo per raggiungere in orario la nave e allora il nostro bravissimo autista si lancia a tutta velocità in autostrada, col dichiarato intento di non farci arrivare in ritardo.

Nemmeno l’alt di una pattuglia della polizia rallenta la nostra corsa: il poliziotto si è impietosito e ci ha lasciato andare, anzi correre verso il nostro destino, in Italia ci avrebbero fatti neri…..ma qui neri lo sono già!

Sono le sei che arriviamo trafelati in porto e qui si sciolgono le fila di questa piccola truppa chiassosa, felice come una pasqua, anzi come una pasquetta, della bellissima giornata trascorsa nella savana.

Bravo Stelio, come al solito, sei stato bravo ad organizzare tutto e a tenere a bada questi indisciplinati passeggeri in gita allo zoo!

 

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7 aprile, Sudafrica, Durban
Solo 82 miglia marine separano Richard’s Bay da Durban, città di quattro milioni di abitanti, capitale dello Stato del Natal, sulla costa dell’Oceano Indiano, di cui è il più grande centro portuale, nonché porto commerciale dello zucchero più grande al mondo.

Un cielo plumbeo carico di pioggia ed un’altissima percentuale di umidità ci accolgono al nostro arrivo.

Il porto è praticamente a ridosso del centro città, ma è necessario utilizzare il bus navetta per percorrerlo tutto fino all’uscita; infatti è proibito il transito a piedi ed è complicato persino per i bus muoversi, nel caos di centinaia di mezzi meccanici di ogni tipo, ammassati sui moli in attesa di essere caricati o scaricati sulle enormi navi cargo che affollano tutte le banchine; non avevo mai visto una così grande quantità di ruspe, caterpillar, trattori giganteschi, come qui, altro che sacchi di zucchero!

Essendo la nostra escursione Costa in programma nel pomeriggio, decidiamo di passare la mattinata a spasso sul Golden Mile, la zona del lungomare, principale attrattiva della città.

La Golden Mile è lunga sei chilometri e unisce da nord a sud la lunga sequenza di spiagge cittadine.

La bella passeggiata, che ricorda un po’ Copacabana a Rio, è stata rimodernata con gusto e costeggia tutto il litorale, mentre sull’altro lato della strada si affacciano grandi alberghi, moderni palazzi e centri commerciali.

Lungo tutta la sua lunghezza è una striscia continua di bancarelle dove gli zulù vendono i loro prodotti artigianali; ci sono anche quelli che trasportano i turisti a bordo di coloratissimi risciò.

Forse per colpa del tempo, c’è poca gente in giro, a parte i Costa People, alla ricerca spasmodica di tutto quanto fa Africa; anch’io non posso esimermi dall’acquisto dei coloratissimi braccialetti di perline, simbolo di questa nazione multi-color.

Dopo una lunga ma rilassante camminata lungo il mare, dove surfisti coraggiosi sfidano le alte onde e gli squali, rientriamo sulla nave per un veloce pranzo prima dell’uscita pomeridiana.

Ci infiliamo sul bus 43 dove troviamo la guida locale Mirca, una veronese trapiantata qui da quarant’anni, la quale subito smorza il nostro entusiasmo, portandoci subito a visitare il giardino botanico!

Oh no, siamo stufi di giardini botanici, ne abbiamo visti tanti ormai, tutto nel mondo ci interessa, ma di fiori e piante non se ne può più.

Comunque, seppur di malavoglia, entriamo rassegnati, qui dovremo rimanere tre quarti d’ora!

Meno male che questo giardino è un po’ più grande che a La Reunion e pure molto più bello: flora locale, la casa delle orchidee e una rara collezione di cicadofite, piante antichissime simili alle palme comparse sulla terra durante l’era preistorica.

Poi via di corsa verso la seconda tappa del nostro tour, per noi la più interessante: visita allo stadio Mose Mabhida, vero capolavoro di architettura sportiva, inaugurato in occasione del Campionato Mondiale di calcio del 2010.

E quando il solito rompiballe di turno si azzarda a dire alla guida “a me non me ne frega niente dello stadio, andiamo avanti”, solo il savoir faire di Stelio mi impedisce di sbranarlo e finirlo a colpi di karatè, perché niente e nessuno mi impedirà questa volta di vedere lo stadio, come già successo a Buenos Aires con la mitica Bombonera!

Una volta conquistata la nostra meta, saliamo su una piccola cabinovia che ci porta addirittura a sorvolare la grande struttura che ricopre tutto lo stadio e ci lascia su un terrazzo da cui si gode una splendida vista a 360 gradi su tutta la città.

Vediamo le chilometriche spiagge, tutti gli impianti sportivi che fanno da corona all’impianto principale, il vecchio stadio che sorge accanto al nuovo, gli enormi parcheggi, immersi anch’essi nel verde, e tutto il verde, compreso il campo da golf, in cui è immersa questa città.

Ritornati giù, ancora un piccolo giretto nei negozi al piano terra, peccato che non ci sia il tempo per fare una visita anche all’interno; se solo lo avessi immaginato, avrei senz’altro lasciato perdere il giardino botanico.

Mirca ci spinge di nuovo sul pullman, dopo che Stelio per un pelo non viene investito da un auto; non riusciremo mai ad abituarci alla guida a sinistra, e spesso, attraversare la strada, rappresenta un attentato alla nostra incolumità.

Poi, dopo aver avuto il piacere di conoscere da vicino il caotico traffico dell’ora di punta, sono ormai le cinque del pomeriggio, ci fermiamo nell’ultima tappa del giro, il Victoria Street Market, più noto come Indian Market, per dare un’occhiata a raffinati ornamenti e oggetti esotici vari, in un effluvio d’aromi d’Oriente e d’Africa che ci avvolgono durante il nostro girovagare.

Qui ci fermiamo solo un’ora, anche se qualcuno ha il coraggio di dire “ma come, solo un’ora?”; tutti o quasi comprano qualcosa da indossare per la festa africana di domani sera……e,un po’ mi vergogno, anch’io!

Finito il tempo a disposizione per lo shopping etnico, ritorniamo alla nave, passando per la quarta volta per il Victoria Embankment, il viale costeggiato di palme che collega il porto al centro città.

Grazie Mirca, ci scusiamo con te per tutti quei passeggeri che ti hanno subissato di domande idiote, tipo “ma quanto è grande il Sudafrica?” o “quanto guadagna qui un meccanico?”……..per la serie viaggiare informati!

Alle 21.00 la Deliziosa, riparte con destinazione Città del Capo, distante 806 miglia marine.

 

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8 aprile, Oceano Indiano, in navigazione
Dopo le prime fatiche africane, due giorni di relax in attesa di Città del Capo, altra meta dove riponiamo grandi aspettative e per la quale ci stiamo preparando per bene, perché vogliamo ottenere il massimo dai due giorni di permanenza previsti.

Ci aiutano in questo particolare studio del territorio i nostri amici inglesi Jeff e Susan, che in questa città hanno vissuto per tanti anni e pertanto sono in grado di darci tutte le dritte del caso.

Grazie amici…..non vediamo l’ora!

Dopo l’emozionante spettacolo di ieri con il Coro formato dai ragazzi dell’Istituto di Kearsney, un misto di musica classica, pop e indigena, ecco per stasera un altro spettacolo propostoci dalla Compagnia Afro Arimba, “Ritmi dal cuore dell’Africa”, con i bravissimi cantanti Rene Mabotha e Lyle Wolwyn e i favolosi ballerini che noi ben conosciamo.

Il teatro è pieno come non mai ed il pubblico apprezza calorosamente le performance sul palco.

Dopo lo spettacolo, ci attende un importante appuntamento: siamo ospiti a cena al Ristorante Costa Club, nientemeno che della Direttrice di Crociera Patrizia e del suo assistente, il bell’ Alejandro dagli occhi di ghiaccio; artefice di questo prestigioso invito la dolce ed efficiente Margherita, che non sa più cosa inventarsi per coccolarci.

Passiamo una bellissima serata insieme a loro, degustando ottimo cibo accompagnato da un ottimo vino del Collio, cantina Livio Felluga, roba da intenditori.

La festa poi prosegue al Gran Bar, con la Serata Africana che impazza; pure io indosso il sahari comprato ieri al mercato indiano di Durban e faccio la mia discreta figura.

Grazie amici, è stato un onore ed un grande piacere essere stati vostri ospiti.

 

 

9 aprile, in navigazione

 

 

10 aprile, Sudafrica, Città del Capo
Già alle prime luci dell’alba siamo svegli per seguire l’avvicinamento della nave alla costa e al porto di Cape Town, e la prima visione che abbiamo è quella che campeggia su tutti i poster e su tutti i depliant, il profilo della Table Mountain che sovrasta in un grande abbraccio la città, uno spettacolo davvero splendido che ci lascia subito senza fiato.

L’inizio è davvero promettente e scendiamo fra i primi dalla nave, per non perdere nemmeno un minuto.

Lo shuttle bus ci porta fino al Victoria & Albert Waterfront, e da lì saliamo sul City Sightseeing Bus che ci dovrà scarrozzare in giro per tutta la città e i suoi dintorni.

Prima e imperdibile tappa, la salita sulla magica montagna, la Table Mountain, simbolo e icona di Cape Town.

Data l’ora non dobbiamo fare tanta coda per prendere la teleferica che in quattro minuti ci deposita in vetta, a 1.060 metri di altitudine.

Già lungo il tragitto ci rendiamo conto di quanto sia bello il panorama, ma, una volta in cima, ci sembra di aver raggiunto il paradiso.

Non me ne vogliano i tanti amici brasiliani, ma Pan di Zucchero e Corcovado, per quanto belli siano, non possono eguagliare in bellezza tutto quello che si stende sotto di noi.

Siamo pure molto fortunati perché la giornata e la visibilità sono eccezionali: da un lato la città, racchiusa in un catino naturale, formato dalla montagna alle spalle e dalle due colline ai lati, Devil’s Peak sulla sinistra, e Lion’s Head sulla destra con il porto sulla Table Bay e il nuovissimo stadio; dall’altra parte la costa con le baie e i paesini che si affacciano sull’Oceano Atlantico.

Da quassù si può ammirare l’area naturale protetta che si estende da Signal Hill a Cape Point, con i suoi 2.285 tipi di piante.

Io, carica di adrenalina, percorro sentieri e sentierini che seguono il perimetro della montagna, a picco sugli scogli, e scatto foto a raffica, mentre Stelio mi aspetta al piazzale della funivia, godendosi tranquillamente lo spettacolo dai balconi artificiali.

E’ ancora presto e non c’è confusione; dopo più di un’ora di permanenza, allorquando arrivano i primi avamposti delle truppe d’assalto dei Costa People, decidiamo che possiamo scendere.

Risaliamo sul nostro bus scoperto, che ci scarica alla fermata successiva, il centro balneare di Camps Bay, spiaggia e quartiere d’elite, bei locali, ottimi ristoranti, splendide ville.

Qui prendiamo un taxi con il quale raggiungiamo la famosa località di Hout Bay, un paesino di pescatori, noto per i suoi ristoranti di pesce.

Stelio, già da troppo tempo in astinenza da aragoste, è in fremente attesa di gustare il suo piatto preferito, cosa che farà leccandosi a più riprese i baffi…e anche la barba, mentre io mi limito a mangiare una bella porzione di gamberoni, il tutto in un posto molto rustico, direttamente sulla spiaggia; nessun servizio, cibo servito in scatole di cartone, ma così squisito che ce lo ricorderemo per un pezzo, pagato pochissimo!

La nostra giornata potrebbe finire anche ora e ne saremmo strafelici, ma abbiamo ancora tanto da girare e da vedere.

Riprendiamo il nostro bus che ci porterà di nuovo in città dopo aver percorso tutta la strada costiera, la Victoria Drive, e attraversato i bellissimi sobborghi cittadini di Green Point, Sea Point e Camps Bay, incorniciati dalle vette della catena montuosa dei Dodici Apostoli.

Sotto la strada, splendide spiagge di sabbia bianca, sopra la strada, un susseguirsi di ville, residence, hotel, il tutto costruito in uno stile ricco ma per niente sfarzoso, tutto molto di buon gusto, niente di pacchiano, niente condomini o casermoni di cemento; si ha la sensazione di stare in un contesto dove tutto è perfetto, dalle meraviglie di madre natura a quanto costruito dall’uomo, si tocca quasi con mano il rispetto per l’ambiente che qui regna sovrano.

Ritornati in centro città, al punto di partenza del tour, nella Long Street, cambiamo bus e prendiamo la linea gialla, quella che percorre le strade di Downtown.

Città del Capo è una magnifica città, dove il passato e il presente si incontrano in totale armonia, nella storia e nell’architettura, nelle iniziative culturali e nella molteplicità delle razze che la popolano.

Ammiriamo gli splendidi palazzi dell’epoca coloniale e vittoriana, vicino ai nuovissimi grattacieli, tutto vetro e cemento, passiamo per il Company’s Garden, il primo parco del Sudafrica, realizzato nel 1652 e originariamente usato come orto, i cui prodotti erano destinati al rifornimento delle navi in transito.

Al suo interno sorgono la sede del Parlamento, la Galleria d’arte nazionale, il Museo Ebraico e la Grande Sinagoga.

Passiamo poi per il District Six, un tempo il quartiere povero della città, raso al suolo negli anni sessanta; i suoi vecchi abitanti, persone di colore e di basso ceto sociale furono privati delle loro case e spostati in altre zone.

Ora, dove sorgevano quelle dimore, rimane come ricordo una distesa di gramigna. Passati davanti al castello olandese, l’ edificio più antico di tutta la città, terminiamo il nostro giro col bus.

Passeggiamo quindi per le stradine di Downtown, con giro al mercatino artigianale di Greenpoint, piccola pausa caffè e un po’ di shopping.

Poiché è troppo presto per rientrare sulla nave, decidiamo di tornare al Waterfront che stamattina ci eravamo limitati ad attraversare di corsa; e allora si riparte con un altro taxi.

Arrivati a destinazione, ci accorgiamo subito del cambiamento: dalla pace del mattino alla gran folla di adesso; complice il venerdì pomeriggio, sembra che buona parte degli abitanti di Cape Town si sia riversata in questa zona della città.

Nemmeno a San Francisco, Sidney e Auckland, i più bei Waterfront visti finora, avevamo visto niente di simile, sia come moltitudine di persone, che di grandezza e bellezza del posto: un’ enorme estensione di negozi, gallerie, centri commerciali, bar, ristoranti, luoghi di spettacolo, orchestrine, cori di musica africana, ballerini improvvisati, un grande mercato coperto e tutti i tipi di servizi turistici e nautici, da lasciare senza parole.

Inutile dire che, oltre alla gente del luogo e alle migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo, ci sia tutta la Costa Deliziosa al completo, equipaggio compreso, che compra, mangia, beve, passeggia e cazzeggia.

Dopo un paio d’ore passate in questo grande tourbillon, Stelio si arrende e torna in nave con lo shuttle bus, mentre io voglio godermi ancora un po’ questo posto brulicante di persone e attività.

Sono le sette di sera, è ormai buio inoltrato, quando decido di tornare a casa anch’io: sono passate più di dodici ore da quando abbiamo lasciato la nave stamattina, durante le quali, per fare tutto quello che s’è fatto, abbiamo utilizzato i seguenti mezzi: due volte lo shuttle bus, due taxi, tre line di City Sightseeing Bus, rossa, blu e gialla, una funivia…..e poi la gente a casa pensa che siamo in ferie; quello del turista, specialmente “fai da te” come noi, è un lavoro vero e proprio!

Una cena super veloce a bordo e poi subito a nanna, non ce la facciamo proprio a uscire di nuovo, alla scoperta di Cape Town by night!

Io so già che sognerò tutta la notte quella magica montagna, che mi resterà sempre nel cuore.

 

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11 aprile, Cape Point, Cape of Good Hope
Oggi seconda e ultima parte del nostro programma, escursione al mitico Capo di Buona Speranza, il punto più a sud del continente africano e punto d’incontro tra le acque calde dell’Oceano Indiano e quelle fredde dell’Oceano Atlantico.

Partiamo noi due soli, a bordo di un taxi sgangherato, un Mercedes dell’ 82, guidato da un serbo di Belgrado, Nino, che vive qui da trent’anni e che parla un ottimo inglese.

Nino ci rassicura subito sul tempo: sulla città grava la solita cappa di nebbia, ma dove andremo noi ci sarà il sole….speriamo bene!

Evitiamo di percorrere la strada costiera sull’Atlantico che abbiamo fatto ieri e prendiamo l’autostrada fino a Muizenberg, sulla costa opposta della penisola, sull’Oceano Indiano.

Attraversiamo tutto il territorio che sta alle spalle della Table Mountain, i distretti di Constantia e Wynberg, ricoperto di vigneti e ricca vegetazione autoctona; questa è una zona molto bella dove risiede l’alta società di Cape Town, qui ci sono le tenute della famiglia di Lady Diana e del figlio di Margaret Tatcher.

Arrivati a Muizenberg ci immettiamo sulla costiera e attraversiamo una serie di paesini balneari, tutti uguali, con gli edifici pubblici e privati a lato strada, e la spiagge protette dalle reti anti-squali: Kall Bay, Fish Hoek, Simon’s Town sono i più importanti.

Prima sosta a Boulders dove, in una baia protetta da grandi rocce di granito, si trova una bella colonia di pinguini africani.

Il nostro autista si dimostra molto ben preparato su tutto, flora, fauna, storia, geografia, e ci fornisce informazioni e spiegazioni con dovizia di particolari.

Dopo una settantina di chilometri raggiungiamo finalmente l’ingresso del Parco Nazionale del Capo di Buona Speranza, che si estende per ben 7.750 ettari lungo 40 chilometri di costa e accoglie innumerevoli specie vegetali e animali, racchiuso dalle scogliere di Cape Point, le più alte del paese.

Unica nota stonata, dobbiamo pagare il tiket d’ingresso di 110 rand anche per l’autista, cosa che non succede in nessun’altra parte del modo, dove guide turistiche e autisti entrano ovunque gratis.

La storia del Capo di Buona Speranza rappresenta una parte importante della storia del Sudafrica, perché fu l’area in cui si stabilirono i primi europei, i portoghesi, con Bartolomeo Dias nel 1487, che cercavano una via marittima per le Indie Orientali.

Il luogo fu chiamato Cabo das Tormentas, Capo delle tempeste, dato che lo scontro di correnti provenienti dall’Oceano Indiano e l’Oceano Atlantico in questa zona rende le acque particolarmente pericolose per la navigazione; infatti in queste acque si calcola che vi siano circa quattrocento relitti di navi affondate.

Il Capo di Buona Speranza é un luogo dal forte significato simbolico, un vero “finis terrae”, reso ancor più suggestivo dalla violenza delle sue acque.

Presso il Capo, secondo una leggenda, navigava eternamente l’Olandese Volante, avendo giurato che avrebbe doppiato il capo anche a costo di navigare in eterno, ed essendo poi affondato prima di superare il promontorio.

Per salire in cima a Cape Point saliamo su una funicolare chiamata Flying Dutchmann, ovvero l’Olandese Volante, la quale ci scarica proprio alla base del faro.

Io parto come una freccia alla conquista del faro, superando di corsa i centosessantadue gradini, mentre Stelio, come al solito, si ferma al campo base, in attesa che io concluda le mie esplorazioni.

Lo spettacolo che ammiro dalla vetta è qualcosa di unico: a sinistra del capo una cappa di nebbia ricopre le acque, lasciando intravedere solo le cime della catena montuosa dall’altra parte della baia di False Bay, mentre a destra un cielo limpidissimo sovrasta l’oceano Atlantico con le scogliere che scendono a picco sull’acqua; in mezzo è netta la linea di separazione delle acque, e io fotografo una barca a vela nel momento in cui lascia la zona del sereno per inoltrarsi in un mare di nebbia, nell’ignoto!

E’ un’emozione unica, che mi dispiace non poter condividere con Stelio, che continua a scrutare verso l’alto, cercando di seguire i miei spostamenti.

Io, come già successo ieri sulla Table Mountain, sono in stato di trance assoluta, dipendesse da me, potrei stare quassù tutto il giorno; da sempre i fari esercitano su di me un’attrazione particolare, figurarsi questo, in luogo così affascinante e mitico.

Dopo aver sparato un milione di fotografie, ridiscendo, non senza rimpianti, al campo base; c’è pure un sentiero che porta fino giù alla spiaggia e che mi piacerebbe fare a piedi, ma non posso abbandonare per altri quaranta minuti il povero e paziente Stelio.

Ridiscesi con la funicolare, assistiamo alla scena di un babuino che strappa letteralmente di bocca il panino ad una signora, inseguito vanamente dal personale del bar; ci racconta Nino che ha visto pure lui una scena di un babuino che tentava di rubare i biscotti ad un’altra signora, la quale però, non volendo mollare la presa, si è presa due ceffoni dal rognoso animale.

I babuini sono una piaga in tutta la zona, perché sono fastidiosi, sempre alla ricerca di cibo e diventano pure violenti se non vengono accontentati; ovunque ci sono cartelli che mettono in guardia i turisti.

Ripartiamo col nostro taxi verso la spiaggia che sta alla base del Capo, il vero e proprio Capo di Buona Speranza, segnalato da un apposito monumento, indicante le coordinate fisiche, dove naturalmente ci facciamo immortalare, a futura e imperitura memoria.

Per noi è una soddisfazione enorme essere arrivati fin qui, avendo già doppiato il mitico Capo Horn, soprattutto per il velista e lupo di mare Stelio, che potrà annoverare anche queste tappe nel suo glorioso curriculum e si farà invidiare da tutti i suoi amici e colleghi di circolo.

Lungo la strada abbiamo anche la possibilità di ammirare sulla spiaggia degli struzzi e un branco di babuini, uno dei quali salta letteralmente sulla nostra macchina, tentando di infilarsi all’interno; per fortuna sono svelta a chiudere il finestrino, altrimenti me lo sarei trovato in braccio!

Dopo lo schock da babuini, facciamo un’altra sosta, consigliata da Nino.

Ci fermiamo in un allevamento di struzzi, per noi una novità assoluta.

Il posto è molto bello, immerso nel verde; nei recinti ci sono diversi animali, di varie misure e noi proviamo pure l’ebbrezza, per modo di dire, di dar da mangiare a due di loro, enormi e affamati, che prendono il becchime direttamente dalle nostre mani.

Cominciamo la via del ritorno, fermandoci nei punti panoramici più belli, per ammirare panorami da sogno e immortalarli con la nostra Canon.

Ad un certo punto della strada costiera, sovrastante il paese di Simon’s Town, Nino si ferma per farci conoscere una figura professionale, a noi finora sconosciuta, the Shark Spotter, l’ “avvistatore di squali”.

In una guardiola a picco sul mare una persona, sta ferma ore ed ore a scrutare l’acqua, in attesa di vedere comparire uno o più squali; quando questo succede, e succede spesso, questa sentinella avvisa i socorritori che fanno scattare l’allarme.

Quando arriviamo noi è di turno una ragazza di colore, che proprio in quel momento sta mangiando, senza però mai distogliere lo sguardo dal mare; ci saluta gentilmente e ci parla, senza però mai guardarci in faccia, perché anche la minima distrazione può essere fatale.

Fatta anche questa esperienza, proseguiamo il nostro viaggio e Nino ci porta su una strada alternativa, che si inerpica sulle colline, dandoci modo di ammirare dall’alto gli stessi paesini che avevamo attraversato al mattino, fino ad arrivare a Muizenberg, dove riprendiamo l’autostrada che velocemente ci riporterà a Cape Town.

Passiamo per i bei quartieri periferici e lungo il percorso possiamo ammirare la zona degli impianti sportivi con il Campo di golf, l’Università di Città del Capo, il Rhodes Memorial e il famoso Groote Schuur Hospital, dove il Dottor Barnard eseguì il primo trapianto di cuore.

Sono ormai passate più di sei ore da quando abbiamo lasciato il porto, ma è troppo presto per ritornare a bordo, così ci facciamo lasciare al Waterfront, dove vogliamo mangiare…..siamo ancora digiuni, dopotutto.

Ringraziamo Nino per l’ottimo servizio che ci ha reso e ci tuffiamo nel caos di gente che oggi, ancor più di ieri, anima questo posto, che è il vero cuore pulsante della città.

Dopo esserci rifocillati e aver fatto gli ultimi acquisti, ritorniamo, questa volta a piedi alla nave, dove dobbiamo sottoporci all’ennesimo face to face con la polizia locale, prima di lasciare definitivamento lo stato del Sudafrica; questa operazione si protrarrà per ore, quaranta minuti per noi, e alle 22.00 la Deliziosa lascia il porto di Table Bay, per cominciare il lungo viaggio di risalita dell’Atlantico.

Lasciamo a malincuore questa affascinante città, con il rimpianto di esserci rimasti troppo poco tempo, ma con la speranza di poterci tornare un giorno.

Per me questi due giorni sono stati in assoluto i più belli del nostro lungo viaggio, mentre per Stelio la veleggiata di Auckland rimane in testa alla sua classifica di gradimento.

Abbiamo scoperto una nazione giovane e dinamica dove, pur con i ben noti problemi, convivono in un’apparente armonia tante razze, persone di tutti i colori di pelle, quegli stessi colori che figurano sulla bandiera nazionale e dappertutto in Sudafrica, quegli stessi colori di collane, orecchini e braccialetti che ho comprato e che conserverò come ricordo di questa terra, dove madre natura ha regalato bellezze che non hanno eguali al mondo.

Shosholoza, South Africa !

 

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12 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione
Dopo le grandi fatiche e le forti emozioni sudafricane, oggi la giornata è dedicata al riordino di foto, cartine, piantine e tutto il materiale raccolto e/o acquistato in questo nostro ultimo girovagare.

Il pensiero è ancora fisso su quanto abbiamo visto in questi due fantastici giorni e la soddisfazione per la riuscita del programma è ancora più evidente quando confrontiamo con gli amici le reciproche esperienze.

Tutti sono concordi nell’affermare di aver conosciuto una nazione e dei posti fantastici.

Cresce però anche il rammarico di quello che non siamo riusciti a fare, causa la mancanza di tempo.

Stelio avrebbe voluto provare l’emozione unica di un safari sottomarino; ci sarebbe stata l’occasione di andare sottacqua, in mare aperto, e, chiuso in una gabbia speciale, immergersi sott’acqua per vedere da vicino, in totale sicurezza, il famigerato squalo bianco.

A me invece sarebbe piaciuto andare in escursione a Robben Island, l’isola su cui sorge il carcere dove fu detenuto per tanti anni Nelson Mandela, ora divenuto museo e Patrimonio dell’Umanità.

A entrambi sarebbe piaciuto andare a visitare il paese di Paternoster, si proprio così, un paese che porta il mio nome!

Ho scoperto l’esistenza di questo posto, diversi mesi fa, per caso, navigando in Internet: si trova a 140 chilometri a nord di Città del Capo, sulla costa atlantica; venne scoperto dai portoghesi nel sedicesimo secolo e lo chiamarono così, come la preghiera, in segno di ringraziamento per essere arrivati fin lì, superando le insidie della navigazione nelle pericolosissime acque dell’oceano.

E’ un paesino di pescatori, circa duemila persone, famoso per la pesca di ostriche e aragoste.

Nella mattinata di oggi, navigando in direzione nord est, con destinazione Walwis Bay in Namibia, passeremo proprio davanti alla costa dove sorge il mio paese; che occasione persa, sarebbe bastato un solo giorno in più, ma non è detto che in futuro ……………………

 

 

13 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione

 

 

14 aprile, Namibia, Walwis Bay
Da quando siamo partiti da Cape Town non abbiamo più visto il sole, viaggiando sempre nella nebbia, col fischio della sirena d’allarme che ci ha fatto da colonna sonora.

Ed è con la nebbia che alle sei di stamattina attracchiamo al porto di Walwis Bay in Namibia.

“Apriti cielo“, è proprio il caso di dirlo, perché oggi abbiamo in programma un giro in barca nella laguna, alla scoperta della fauna marina.

Già da diversi giorni Stelio ha fissato con l’agenzia locale Levo Tour questa escursione per il mattino, cui seguirà una gita in fuoristrada nel deserto per il pomeriggio.

Si comincia la giornata con una levataccia, perché a partire dalle sei dobbiamo sottoporci al solito face to face con la polizia namibiana; cominciamo ad essere un po’ stufi di questo rito!!

Alle nove siamo già fuori del porto dove ci attende il pullmino che ci porta all’imbarcadero.

Siamo in venti, suddivisi su due bei motoscafi per dieci persone; con noi ci sono Giovanni e Jenny, Vittorio e Marianna, Paolo e Carla e gli amici francesi David e Helene mentre Clara e Beppe, Vittorio e Miranda sono con il secondo gruppo.

Non siamo ancora partiti che già comincia la litania dei lamenti, “c’è la nebbia, non vedremo niente”, “niente sole, niente animali”, “farà pure freddo”, “sarebbe stato meglio rinunciare”, “ma chi ce l’ha fatto fare”, ecc. ecc..

Stelio, io lo vedo, sta ribollendo dentro ma non dice niente.

La nostra guida e pilota è un bel ragazzo biondo e dagli occhi azzurri, di nome Ruan.

Com’è possibile? D’accordo che qui siamo in Africa, ma la Namibia è popolata da migliaia di persone di discendenza germanica e la popolazione bianca presenta tutti i caratteri somatici dei tedeschi.

Per facilitare la comprensione, Ruan parla un inglese perfetto, evitando il tedesco e l’afrikaans, le altre lingue che qui si parlano; è molto simpatico, spiritoso e si capisce subito che sa tutto sulla laguna e sulla fauna che la abita.

Il motoscafo è molto bello e comodo ed è dotato di due potenti motori fuoribordo da cento cavalli l’uno, e questo tranquillizza subito il Comandante Stelio.

Il clima è uggioso, come pure l’umore dei naviganti, tutti imbacuccati nelle loro giacche a vento, alcuni addirittura con le coperte addosso per ripararsi dal freddo.

Dopo aver esplorato l’area del porto ci dirigiamo verso l’area di attracco dei motopescherecci russi.

Ma all’improvviso ecco il miracolo, richiamati dal fischio di Ruan planano vicino alla barca quattro enormi pellicani, dando il via ufficiale alla rinascita degli spiriti languenti.

I pellicani, attirati dal pesce che Ruan offre loro generosamente, si esibiscono in evoluzioni in aria e in acqua, aprendo i loro grandi becchi; il più coraggioso di loro sale addirittura sulla scaletta della barca, mettendosi a sedere in mezzo a noi.

I nostri amici sembrano impazziti di gioia, buttano le coperte, dimentichi della nebbia e del freddo, e fanno a gara per farsi fotografare vicino all’animale……potenza degli animali!

Un altro pellicano si posa davanti al pilota, in attesa della sua razione di pesce; Ruan allora mi porge un pesciolino da offrire alla bestiola, grande privilegio per me, ma mi ritrovo in un attimo con la mano chiusa dentro l’affilato becco e la cosa non mi piace neanche un po’.

Potrò sempre vantarmi di essere l’unica a bordo della nave a portare i segni di una ferita da becco di pellicano.

I pellicani ci accompagnano per un bel po’ di tempo, uno pure appollaiato sul tendalino sopra di noi.

Meno male, la mattinata è salva, tutti sono contenti e felici, e non sanno che il bello deve ancora arrivare.

Dopo qualche evoluzione a venti nodi di velocità, Ruan, con un altro dei suoi fischi magici, ci porta a bordo nientemeno che una foca!

E qui l’esaltazione generale aumenta ancora di intensità, perché tutti, ma proprio tutti, sgomitano, sbraitano e strepitano per toccare, accarezzare, baciare, fotografare il dolce animaletto, il quale pensa bene di accovacciarsi ai miei piedi e posare la sua testolina sulle mie gambe….che bei momenti.

Proseguiamo quindi il nostro viaggio verso Pelican Point, la punta estrema della baia, popolata da una grande colonia di foche e branchi di delfini che nuotano seguendo la scia delle imbarcazioni.

Sui moli antistanti la costa nidificano numerosi anche i fenicotteri, oltre che cormorani, pellicani e trampolieri.

Dopo questa indigestione di animali, la gita raggiunge il suo culmine al momento dello spuntino; come una magia, ecco spuntare dalla cambusa dei vassoi pieni di cosettine sfiziose, ma soprattutto di ostriche, pulite sul posto direttamente da Ruan, il tutto ben innaffiato da dell’ottimo champagne sudafricano.

Stelio, ben coadiuvato da Giovanni, si fa carico di mangiare tutte le ostriche, compresa la razione di tutti quelli che fanno gli schizzinosi non fidandosi della purezza di questi crostacei.

Scopriremo solo domani chi ha avuto ragione e chi no.

Fatto sta che, vuoi per gli animaletti che abbiamo visto, toccato e ospitato a bordo, vuoi per il cibo e soprattutto per lo champagne, l’atmosfera a bordo è decisamente effervescente e un clima di generale euforia pervade tutti i bravi naviganti, Ruan compreso, che lascia addirittura il timone in mano a Stelio; figurarsi se lui non doveva pilotare anche questa barca.

Ormai lo scetticismo della vigilia e di questa mattina è un lontano ricordo, e tutti, una volta rientrati a terra, omaggiano e ringraziano Stelio per aver ideato e organizzato questa bella escursione in mare.

Ma bando ai festeggiamenti, il tempo corre e già ci aspettano i fuoristrada pronti per un’incursione del deserto.

La cosa buffa che il capo di questa operazione “Desert Storm”, un tedesco di nome Peter Hermann, ha chiamato a raccolta dei suoi amici dotati di potenti mezzi fuoristrada, per riuscire a portarci tutti venti, e questi sono tutte persone che non fanno questo per lavoro, ma per puro divertimento.

E così sistemati a quattro a quattro su questi mostri del deserto, partiamo, attraversando Walwis Bay; questa città di 65.000 abitanti, fondata nel diciottesimo secolo dai coloni tedeschi, è la seconda città della Namibia, dopo la capitale Windhoek, ed è il porto più importante del paese.

La città non ha niente di interessante da offrire e tutta la sua vita ruota attorno al porto che è veramente grande, in grado di ospitare enormi petroliere e centinaia di motopescherecci; non molto al largo della costa ci sono inoltre delle gigantesche navi piattaforme per lo studio dei fondali marini e la ricerca del petrolio.

Dall’altro lato della costa, dove stiamo viaggiando noi, c’è la palude di Sandwich Harbour, un’area protetta dove stazionano, in presenza della bassa marea, migliaia e migliaia di fenicotteri rosa.

Il colpo d’occhio che si offre ai nostri occhi è veramente eccezionale: un’enorme macchia rosa nell’acqua azzurra sotto un cielo che ora è di un blu intenso, visto che la nebbia si è alzata.

Dopo questa emozione imprevista, ci addentriamo nel deserto dove i nostri autisti di fuoristrada danno una dimostrazione di abilità, salendo e scendendo dalle alte dune con una facilità estrema, fra lo stupore misto a terrore dei malcapitati passeggeri.

Fra un salita e una discesa da queste montagne russe di sabbia, c’è anche il tempo per delle soste e le nostre brave guide improvvisate ci forniscono spiegazioni sulla vita nel deserto perché, nonostante ad uno sguardo superficiale possa sembrare una zona desolata, l’area delle dune costiere pullula di vita, con un’affascinante varietà di piante e animali che si sono adattati all’ambiente e riescono a sopravvivere grazie alla costante presenza della nebbia che scende per l’azione dell’Oceano Atlantico.

Ed ora che la nebbia non c’è il contrasto fra il blu del cielo e l’intenso colore delle dune crea un effetto magico.

Dalle dune riusciamo anche a scorgere in lontananza la nostra nave.

C’è pure un bivacco di un solitario abitante del deserto, che non riusciamo però a vedere, il quale ha attrezzato una capanna a mo’ di galleria d’arte, con i disegni dipinti da lui, nel corso di questa sua solitaria esistenza.

Infine vediamo dall’alto le saline che al mattino avevamo visto dal mare.

Insomma, un pomeriggio immersi in un paesaggio bellissimo e sconfinato, con un viaggio all’insegna del divertimento e dell’adrenalina, in compagnia di simpaticissimi pazzoidi, il nostro autista Wali, il boss Peter, Andreas di Berlino, il gigante Willi e Wolfi.

Loro continuerebbero a scarrozzarci in giro per il deserto, ma ormai è ora di rientrare in nave, perché dobbiamo passare il controllo di polizia entro le sei; così ci riportano al porto dove ci accomiatiamo con abbracci e poderose pacche sulle spalle e li ringraziamo per le emozioni che ci hanno regalato…..Danke schoen Jungen !

Quel poco che abbiamo visto della Namibia e dei suoi abitanti ci è piaciuto moltissimo; oggi abbiamo trascorso in bella compagnia una delle più belle giornate del nostro viaggio.

Bravo Stelio, da oggi sei un mito e tanti vorranno aggregarsi a noi per le prossime escursioni

Una piccola considerazione ci sorge spontanea dopo tante escursioni fatte: non c’è niente in assoluto che catturi l’attenzione e scateni la frenesia dei passeggeri come la vista degli animali, altro che chiese, musei e giardini botanici!

E io so già che stanotte sognerò il becco del pellicano e il simpatico musetto della foca.

 

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15,16 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione

 

 

 

17 aprile, Gran Bretagna, Sant’Elena
Mai e poi mai, quand’ero una diligente studentessa che studiava la storia di Napoleone, avrei immaginato che un giorno avrei posato i miei piedi su questo isolotto che deve la sua fama al solo fatto di essere stato l’ultimo esilio del grande generale dal 1815 al 1821, anno in cui morì.

Napoleone giunse sull’isola il 16 ottobre 1815 con la nave da battaglia inglese Northumberland insieme con alcuni suoi fedelissimi e fu trasferito nel villaggio interno di Longwood, ove rimase fino alla sua morte.

Ora Longwood House è un possedimento del governo francese, acquistato dal Regno Unito nel 1858.

L’isola di Sant’Elena, che fa parte di un Territorio Inglese d’Oltremare, che comprende anche le isole di Ascensione e Tristan da Cunha, fu scoperta dai portoghesi nel 1502 e all’epoca era completamente disabitata.

Distante dalla costa africana 1950 chilometri e da quella sudamericana 2900, è uno dei posti più sperduti al mondo.

Misura 10 Km per 17 Km e su una superficie totale di 122 chilometri quadrati vivono 4.200 abitanti, 800 dei quali nella capitale Jamestown.

Poiché l’aeroporto è ancora in costruzione e sarà ultimato non prima di un anno, l’unico modo per raggiungere l’isola è la nave RSM St Helena, una nave costruita nel 1989 appositamente per rifornire Sant’ Elena.

Oltre che trasportare passeggeri, max. 156, trasporta tutto quello che serve ad una comunità: generi alimentari, macchinari, abbigliamento, medicine, giornali.

Il viaggio da Città del Capo, da dove parte, dura cinque giorni e si effettua con frequenza bisettimanale.

Oggi niente face to face, perché siamo in territorio inglese, però c’è il fastidiosissimo sbarco in rada, l’ultimo degli otto previsti in tutto il viaggio!

Fortunatamente il tragitto nave-molo è brevissimo e così alle 10.30 siamo già comodamente seduti sul pulmino di Jeff, che per le prossime tre ore ci porterà in giro alla scoperta di quest’isola misteriosa.

Sono con noi Beppe e Clara, Vittorio e Miranda, Angelo e Rina, Adriano e Romana, Pino e Cristina.

Siccome è presto, la nave ha attraccato meno di un’ora fa, tutti i mezzi noleggiati da Costa per le escursioni non sono ancora partiti, cosicché abbiamo la certezza di arrivare nei pochi luoghi di interesse prima di tutti e vedere in santa pace i siti dove Jeff ci guiderà.

Noi abbiamo avuto anche la fortuna di trovare subito un mezzo, perché sull’isola non abbondano certo i taxi e quei pochi che ci sono diventano merce preziosa quando arriva una nave, la cui popolazione è quasi pari a quella totale dell’isola; in queste rare occasioni, una ventina all’anno, anche i privati cittadini si trasformano in tassisti e guide, mettendo a disposizione i loro mezzi, anche quelli più strani e sgangherati.

Il tempo è bello, la compagnia pure, let’s go!

La strada, stretta e tortuosa, si inerpica verso la parte alta dell’isola e noi puntiamo subito verso il sito che ospita la tomba di Napoleone, anche se le sue ceneri riposano ormai a Parigi.

Per raggiungere l’eremo scendiamo a piedi lungo un bel sentiero nel bosco, lungo 750 metri, che Stelio evita di percorrere, pensando alla salita che poi dovrebbe fare per risalire.

Il posto, anche questo sotto la sovranità francese, è molto appartato e carico di atmosfera; anche se le spoglie non si trovano più qui, i visitatori sono molto silenziosi, rispettosi della “soglia immemore, orba di tanto spiro”.

Ripartiamo alla volta di Longwood, la località ove si trova la casa che ospitò Napoleone nel suo esilio.

La dimora, ora adibita a museo, è molto bella, per niente sfarzosa, con un grande giardino e una vista panoramica sul Diana’s Peak, la montagna più alta dell’isola con i suoi 823 metri s.l.m..

Commento unanime ”però, non stava proprio male qui!”.

Continuiamo il giro, attraversando zone molto belle, c’è tanto verde, boschi, vallate con praterie dove pascolano mucche, sembra quasi un paesaggio alpino.

Quando siamo arrivati stamattina, trovandoci davanti le altissime scogliere a picco sull’oceano, mai avremmo pensato di trovare tutto questo verde e tanta bellezza.

C’è pure un bel campo di golf a nove buche, e la cosa curiosa è che la buca numero 4, la più lunga del percorso, serve anche da pista di atterraggio per i piccoli aerei Cessna che arrivano dall’Isola di Ascensione.

Jeff ci porta a vedere l’enorme cantiere del costruendo aeroporto, che vediamo dall’alto: la pista di atterraggio, lunga 2400 metri, finisce proprio al limite della scogliera!!!

Ultima tappa a Plantation House, la residenza ufficiale del Governatore dell’isola, immersa in una bella foresta.

Nel grande prato antistante la villa in stile vittoriano, vive Johnatan, una tartaruga gigante; con i suoi centosettanta anni, è probabilmente l’animale più longevo al mondo e una vera star qui a Sant’ Elena.

Continuiamo il nostro tour scendendo giù dalla collina e arriviamo a Ladder Hill, da dove si può ammirare il più bel panorama del paese di Jamestown con il porto.

Questo è il punto più alto della scala di Giacobbe, Jacob’s Ladder, una ripidissima scalinata di 699 gradini che dal paese porta fino a 183 metri di altezza.

Dopo la sosta fotografica, il pulmino riprende il suo viaggio verso il centro città, punto di partenza e di arrivo del nostro tour, con una passeggera in meno, però!

Io abbandono la compagnia e decido di farmi a piedi i 699 gradini, un must per chi viene qua ed ha gambe buone per salire o scendere di qui.

Mi fiondo giù e mi accorgo subito che gli scalini sono scoscesi, di diverse altezze e abbastanza malmessi, insomma c’è da stare attenti; oltre ai furbi che scendono ci sono naturalmente quelli che salgono, arrancando e sbuffando a più non posso.

Arrivo comunque in fondo, e le mie gambe, seppur allenate, sono in evidente sofferenza; era comunque una cosa da farsi assolutamente, soprattutto per la vista!

Ritrovo Stelio e visitiamo Jamestown, adagiata in uno stretto canyon fra due colline, e divisa in due dalla Main Road, la via principale, dove si trova praticamente tutto: chiesa, posta, polizia, tribunale, castello, giardino botanico, mercato, banca, ufficio turistico, negozietti vari, un paio di alberghetti, pochi bar e un ristorantino.

Facciamo una sosta tecnica al Sandwich Bar, dove gustiamo degli enormi e ottimi panini.

A questo punto Stelio mi abbandona e ritorna a bordo, mentre io continuo il mio tour esplorativo.

Giro ancora per tutto il paese, che è proprio piccolo, e mi spingo oltre il lungomare, proprio sotto la scogliera, alla ricerca della sabbia!

A Sant’Elena c’è solo una spiaggia, ma si trova dall’altra parte dell’isola, comunque riesco a trovare fra gli scogli un fazzoletto di sabbia nera, nera perché l’isola è di natura vulcanica, evvai!

Ormai è ora di prendere la lancia, ciò che si doveva fare è stato fatto and well done!

Non avevamo grandi aspettative per questa tappa, Napoleone a parte, ma siamo stati piacevolmente sorpresi, dalla bellezza dell’isola e dalla gentilezza dei suoi abitanti; questi isolani, inglesi in tutto e per tutto, sono cordiali ma non invadenti e soprattutto non approfittano della situazione con i turisti, come succede in quasi tutto il mondo.

Good by, Aurevoir Sant’ Helena !

 

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18-19 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione
Lasciata l’isola di Napoleone, ben 2128 miglia ci attendono prima di arrivare a Praia, capitale dell’ Isola di Santiago nell’ Arcipelago di Capo Verde, distanza che percorreremo in quattro giorni.

No panic please, non ci sarà da annoiarsi!

Per tanti passeggeri questi giorni saranno pieni di impegni: sono in pieno e frenetico corso le prove per gli spettacoli “Costa Talent Show”, cui questa volta non partecipo, avendo già dato, e “Deliziosa Hollywood Dance” che mi vedrà impegnata per ben due volte.

Nei vari saloni e in piscina si vede continuamente gente che prova coreografie, con la disperazione dei maestri di ballo, che hanno il duro compito di istruire i soliti dilettanti allo sbaraglio e forse, più loro di noi, non vedono l’ora che arrivi il giorno dello show, per finire questo tortuoso percorso artistico.

Pertanto le mie giornate sono scandite dai miei impegni con le prove di country e zumba, senza mai perdere però l’appuntamento fisso con la pallavolo.

Sul campo al ponte 11, ogni giorno di navigazione, in compagnia delle nostre sport instructor Ana Luisa e Nicoletta, noi pallavolisti ci sfidiamo in agguerriti incontri, incuranti del caldo micidiale che arriva dal cielo e dal pavimento, per non parlare del fumo del camino giallo che ci fa neri!

Ora il livello del gioco è di molto migliorato rispetto agli inizi un po’ stentati, merito anche del nostro commissario tecnico, Simon di New York, che ha trasmesso a tutto il team la sua carica e il suo entusiasmo, amalgamando un gruppo composto da giocatori provenienti da ben otto nazioni diversi, come on guys!

 

 

20 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi è un giorno importante, perché dopo 93 giorni e circa 28.000 miglia percorse, ripassiamo l’ Equatore che avevamo superato il 17 gennaio, diretti verso il Brasile.

L’avvenimento viene festeggiato con una grande festa in piscina, con la sfilata degli animali del giro del mondo, animali a due gambe però, vestiti con i costumi creati da Carola e realizzati con l’aiuto dei ragazzi dell’animazione.

Io non so cosa ci sia tanto da festeggiare, visto che questo passaggio segna l’inizio della via del ritorno! Mah!!

Il mio amico romeno Chris vince alla grande il Costa Talent Show.

Oltre che un bravo cantante rock, Chris è un grande sportivo, e, insieme alla sua amata Roxi, fa parte del fantastico Deliziosa Volley Team.

 

 

21 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione,
L’avvenimento del giorno è lo spettacolo dai ragazzi dell’equipaggio, appuntamento molto sentito da tutti, passeggeri e crew.

Il teatro è strapieno e una grande emozione pervade l’atmosfera.

Nei quarantacinque minuti di spettacolo sarà un susseguirsi di performance di alto livello, quasi professionistico, da parte di ragazzi e ragazze che hanno speso nell’ultimo mese tutto il loro tempo libero per prepararsi per questo evento.

Gli applausi scrosciano continuamente, caldi e sinceri, e alla fine una standing ovation accompagna la presentazione finale di tutti i partecipanti, roba da far venire la pelle d’oca!

Il momento più toccante è l’esibizione dei cantanti Veronica, dell’Ufficio Escursioni, e Valeriano, Housekeeping Manager, che cantano “We are the World”, mentre sul grande schermo passano le immagini girate a Walwis Bay, quando una rappresentanza dell’equipaggio si è recata in visita al locale orfanatrofio, portando doni, solidarietà e tanta allegria.

Costa è anche questo e noi ne siamo orgogliosi.

Grazie ragazzi, per tutto quello che in tutti questi giorni ci avete dato, con il vostro impegno e con il vostro amore.

We love you, we’ll miss you!

 

 

 

22 aprile, Capo Verde, Praia
Eccoci dunque arrivati nell’ isola di Santiago, dove non era previsto che arrivassimo; questa tappa sostituisce infatti quella molto più interessante di Dakar in Senegal, annullata giustamente per i noti problemi legati all’epidemia di ebola nell’ Africa Centrale.

Avendo già visitato, senza grande entusiasmo, all’ andata l’Isola di Sao Vicente, sappiamo più o meno cosa aspettarci, cioè molto poco.

Diciamo che questa è una tappa interlocutoria, uno scalo tecnico, prima di puntare verso le Canarie; la stessa durata della sosta a terra, dalle 14.00 alle 20.00, è indicativa di quanto possa offrire questo posto.

Comunque sia, vogliamo aggiungere anche questa località alla lunga lista dei posti che alla fine della crociera avremo visitato.

Compagni di spedizione, gli amici Alfredo e Gloria, con i quali andiamo a scoprire la città di Praia, capitale non solo di questa isola, ma di tutto l’arcipelago di Capo Verde, costituito da dieci isole.

Praia conta ben centotrentamila abitanti e speriamo offra qualcosa d’interessante in più rispetto alla povera Mindelo.

Usciti dal porto col bus navetta, prendiamo al volo il primo taxi che passa, guidato da Moreno, un nero che più nero non si può.

Moreno non parla e non capisce nessuna lingua all’infuori del creolo e vani sono i nostri tentativi di farci capire in spagnolo e col poco portoghese che mastichiamo; comunque sia, gli facciamo capire con l’aiuto della mappa dell’isola dove vogliamo andare.

Prima sorpresa del giorno: il nostro autista, di sua spontanea volontà, ci porta a vedere da vicino il faro che si trova sulla punta dell’isola, proprio all’imbocco del porto.

A me non par vero di vedere così da vicino un altro faro, ma la mia gioia aumenta di molto quando Jorge, il guardiano del faro, ci invita ad entrare e visitare l’interno.

Ci inerpichiamo sulla ripida scala a chiocciola che porta fino alla lanterna ed usciamo sulla balconata a 15 metri di altezza, da dove possiamo ammirare il panorama della città e del porto.

Bravo Moreno, noi siamo già soddisfatti così, oltretutto siamo gli unici visitatori, nessuno ha ancora scoperto questo posto!

Seconda tappa, la spiaggia di San Francisco, ma non in California; questa spiaggia, molto bella e selvaggia, quando è stagione, cioè non adesso, viene chiusa perché le tartarughe vengono a deporre qui le loro uova.

Quando arriviamo non c’è nessuno e solo quando si parte arrivano dei fuoristrada con i passeggeri Costa che hanno scelto l’escursione nel deserto.

Proseguiamo il giro, attraversando un paesaggio abbastanza desolato, e per poter bere qualcosa, l’unico posto decente è il piccolo aeroporto, intitolato a Nelson Mandela.

Ritorniamo quindi verso Praia, dove Moreno ci mostra orgoglioso la sede del Parlamento ed il Municipio e il monumento a un certo Gomez, primo scopritore dell’Isola.

Ci concediamo quindi da Moreno, il più enigmatico e silenzioso dei tassisti fin qui conosciuti, che ci regala comunque un sorriso con i suoi denti bianchissimi.

Facciamo ancora un giro a piedi nel centro città, che offre la stessa desolazione e sporcizia dell’entroterra, e dovei cinesi la fanno da padroni, prima di rientrare sulla nave in partenza per la nostra Tenerife !

Adios Praia, Adios Capo Verde, siamo sempre più convinti che da queste parti non torneremo più.

 

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E’ arrivato il grande giorno, the show must go on !

Dopo tre mesi di corsi di ballo, dopo più di un mese di prove, dopo ore e ore di duro lavoro, ma anche di tanta allegria, ecco il momento fatidico.

Siamo tutti pronti per affrontare il palco ed il pubblico, con tutto il carico di tensione e di emozioni che questo comporta.

Io, che ho già provato per ben due volte questa emozione, sono tranquilla e mi godo tutto quello che avviene attorno a me, mentre i miei compagni di avventura sono nervosi e tesi come non mai.

Dietro le quinte c’è un caos ordinato, perché tutti sanno quello che devono fare.

Il teatro è pieno di spettatori, tanti coinvolti personalmente, visto che sul palco saliranno famigliari, amici o parenti, vicini di tavolo o di cabina.

La scaletta della serata prevede prima i saggi di cha cha cha, merengue, bachata, tango, dopo di ché ecco il momento del ballo country, che mi vede in prima fila assieme ai maestri Carlos e Ana Luisa e gli altri amici che si sono fin qui cimentati in questa dura prova.

L’esecuzione della coreografia rasenta la perfezione e gli scroscianti e prolungati applausi del pubblico testimoniano il successo riscosso da questo ballo.

Poi è il turno del bolero, cui segue la prova di ginnastica e zumba; io faccio appena in tempo a svestirmi del mio abbigliamento country per indossare quello da palestra e via di nuovo sulla scena con tutto il gruppo e con la guida Ana Luisa, la bravissima brasiliana che con la sua carica e la sua simpatia travolgente ha creato un team affiatato, pronto a dare il meglio di sé questa sera.

La performance, seppur con qualche piccola e inevitabile sbavatura, è simpatica e spiritosa, col gran finale che vede tutte noi donne indossare uno dei tanti cappellini che hanno reso famosa Ana, la quale invece indossa il costume dell’asinello I-Ho !

Tutto molto bello e divertente.

Dopo di noi ancora i saggi di valzer lento e fox trot, prima dell’ovazione finale che saluta tutti i partecipanti, chiamati uno a uno sul palco da Patricia.

Poi via alla festa finale, con gli abbracci dei nostri cari e i complimenti di tutti i presenti.

Stelio naturalmente ha filmato le mie prove e gongola soddisfatto per il successo della sua ginnasta-ballerina preferita!

Un grazie di cuore a tutti i maestri di ballo, in particolare a Carlos e Ana do Brasil, grazie per la pazienza che hanno avuto con tutti noi e per l’affetto con cui ci hanno seguiti in questo lungo e faticoso percorso, gioendo giorno dopo giorno per ogni piccolo nostro miglioramento.

Questa serata ha regalato a tutti noi una grande gioia e resterà certamente uno dei momenti più belli della crociera.

La serata era cominciata comunque con auspici favorevoli; infatti, rientrando in nave nel pomeriggio, dopo l’escursione a Praia, ho avuto la fortuna di incontrare la famosa cantante spagnola Marta Llenas, in partenza per Barcellona, dopo le due serate di show, in cui ha deliziato tutti i passeggeri con la sua splendida voce.

 

 

 

23 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione,
Smaltite le emozioni di ieri sera, oggi mi concedo una giornata di riposo, niente balli o ginnastica, solo l’immancabile appuntamento con la pallavolo.

Il cielo è nuvoloso e tira un fortissimo vento, i lettini sui ponti per oggi rimangono chiusi e i patiti della tintarella devono rinunciare al loro sport preferito.

Sono pochi quelli che si aggirano sui ponti esterni, imbacuccati manco fossero sul Monte Bianco; solo otto valorosi, in pantaloncini e maglietta, giocano, felici come bambini, a pallavolo, incuranti della tormenta, mentre qualcuno sentenzia che “questi non sono mica normali”!

Dopo una lunga assenza, dovuta ai miei impegni artistici, rientriamo nel circolo del burraco, che continua imperterrito a macinare i suoi tornei, sotto la direzione del nostro amico Franco, diventato ormai un inflessibile arbitro, degno erede del grande maestro Mauro; la fortuna oggi non ci arride, ma è comunque sempre bello ritrovare i nostri amici di tante partite.

 

24 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi comincia l’ultima settimana di questo lunghissimo e appassionante viaggio e già da qualche giorno si è dato il via al festival dei commiati, delle ultime volte, degli arrivederci e dei saggi di fine crociera.

Oggi si chiude la stagione dei corsi di ballo, con i nostri maestri che ci mostrano per l’ultima volta tutti i passi di tutti i balli che ci hanno insegnato, dandoci modo di filmarli per conservare oltre ai loro insegnamenti anche il loro vivo ricordo.

Si comincia al mattino al Gran Bar, sede dei corsi dei balli classici da sala, per finire al pomeriggio in piscina, dove si sono ballati tutti i balli latino-americani.

Il folto stuolo di ballerini, ormai divenuti provetti, segue con passione ed entusiasmo queste ultime esibizioni dei nostri bravi maestri, e alla fine tutti a fotografare e farsi fotografare con tutti, come l’ultimo giorno di scuola.

Alle cinque del pomeriggio, ultima esibizione in teatro dei passeggeri: oggi tocca alla Corale Costa Deliziosa, composta da quaranta elementi appartenenti a ben otto nazioni, che, sotto la guida del Maestro Montagner di Costa Deliziosa e del passeggero francese Messier Reinard, offrono una prestazione di altissimo livello, esibendo un repertorio di canzoni universalmente note, in un tripudio di applausi del foltissimo pubblico presente.

Come già prima col canto individuale e con il ballo, ed ora con il canto corale, la cosa che più risalta è che solo una crociera così lunga poteva dar vita a tanta esplosione di creatività e di comunanza d’intenti fra persone rappresentanti tante nazioni e tanti popoli così diversi tra loro e tutte le persone che hanno partecipato a queste attività porteranno certamente a casa un qualcosa in più, che resterà insieme ai ricordi più belli di questo viaggio.

Non poteva mancare in serata l’esposizione dei bellissimi oggetti ideati e costruiti nel laboratorio di manualità, o Art&Craft come adesso va di moda dire, sotto la sapiente guida della nostra mitica Carola.

Per finire la giornata, notte bianca al Gran Bar con i nostri amici dell’ Animazione, e anche qui scatta il tourbillon delle foto ricordo, tutti con tutti!

E sarà così per tutta questa settimana, che vorrei non finisse mai!!

 

25 aprile, Spagna, Santa Cruz de Tenerife
E’ più di un anno che aspettiamo questa giornata!

La nostra amata isola di Tenerife, che ormai da cinque anni è diventata il nostro caldo rifugio nei freddi mesi invernali, ci vedrà arrivare questa volta via mare, anziché via cielo.

Alle sette del mattino, dopo 918 miglia dacché abbiamo lasciato il continente africano, facciamo il nostro ingresso trionfale a bordo della Deliziosa nella baia antistante al porto, con lo spettacolo del sole che sorge e colora di rosso le colline alle spalle della città.

Passato un quarto d’ora la nave è già attraccata al Terminal crociere di Santa Cruz, la capitale di Tenerife e di tutto l’arcipelago delle Canarie, di cui è l’isola maggiore.

Per noi, che qui siamo di casa, è una grande emozione.

Oggi niente escursioni, noi dell’isola abbiamo già visto tutto e più volte.

Aspettiamo visite a bordo: oggi verranno a trovarci gli amici veronesi Vasco e Luisa che, come noi, passano i loro inverni a Las Americas e che non sono mai saliti a bordo di una nave.

Prima del loro arrivo abbiamo anche il tempo di uscire dal porto per una passeggiata nel centro città, che si trova proprio di fronte a noi; dopo quasi quattro mesi respiriamo la prima aria europea ed è una bella sensazione, ormai cominciamo a sentire l’aria di casa!

Il tempo è bello, caldo giusto, cielo pulito, come è normale da queste parti; è sabato mattina, tanti bar e negozi sono ancora chiusi, perché qui la vita comincia dopo le dieci, ma noi, anche per questa tranquillità, passeggiamo piacevolmente per strade e stradine che noi ben conosciamo.

Verso le undici arrivano gli amici che, sbrigate velocemente le formalità previste per l’ingresso dei visitors, diventano per un giorno ospiti della Deliziosa.

Noi facciamo da ciceroni, facendo visitare la nave in lungo e in largo, e anche in alto; Vasco e Luisa sono subito colpiti dalla bellezza e dalla grandezza degli spazi e trovano semplicemente “delizioso” tutto quello che vedono.

Pranziamo insieme al Ristorante Albatros e alle quattro lasciano la nave, felici per averci rivisti a distanza di mesi e per aver assaporato per qualche ora la vita di bordo.

Grazie amici per la visita e hastaluego!

Sappiamo già che passeremo tutta la serata a sentire i vari resoconti di giornata degli amici che oggi sono andati in escursione sul Teide o in giro per l’isola, dove noi li abbiamo consigliati di andare e sappiamo già che tutti saranno contenti, perché Tenerife è troppo bella e piace a tutti quelli che ci vengono!

 

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26 aprile, Lanzarote, Arrecife
Alle quattro di notte la nave già attracca alla banchina del porto di Arrecife; a bordo si è verificata un’emergenza medica e c’è la necessità di anticipare l’arrivo, previsto per le otto, per poter ricoverare in ospedale un passeggero colpito da infarto, purtroppo a bordo succede anche questo!

Noi scendiamo presto perché vogliamo noleggiare un auto per fare il giro dell’isola.

Lanzarote, una delle isole più affascinanti delle Canarie, è dichiarata dall’Unesco Riserva della Biosfera, per il suo enorme patrimonio naturalistico perfettamente conservato e noi tenteremo di vedere, anche se di corsa come sempre, le attrazioni più significative.

Alle nove in punto partiamo già con la nostra bella Panda e dopo quasi quattro mesi di astinenza da guida, Stelio riprende in mano un volante.

Prima meta di giornata il Parco Nazionale di Timanfaya, un’impressionante mare di lava, esteso per ben 172 chilometri quadrati (la superficie totale dell’isola è di 800 Kmq), distante una ventina di chilometri, in direzione sud, da Arrecife, la capitale dell’isola e sede del porto.

Essendo domenica mattina, non c’è praticamente nessuno per strada e noi viaggiamo in assoluta tranquillità prima in autostrada e poi lungo un interminabile rettilineo che ci porta dritti all’ingresso del parco.

Il panorama che abbiamo visto finora ci ricorda un po’ la nostra Tenerife, solo un po’ più selvaggio e molto meno urbanizzato.

Cittadine e paesini sono costruiti con lo stesso stile, le case, tutte piccole, sono tutte uguali, dipinte di bianco e con gli infissi verdi, il che conferisce al paesaggio un’ atmosfera molto rilassante.

Il panorama cambia completamente aspetto all’interno del parco, un’area vastissima completamente ricoperta dalla lava in seguito a varie eruzioni verificatesi tra il ‘700 e l’800, che hanno conferito a questa parte dell’isola un aspetto lunare.

Lasciata l’auto nel parcheggio, saliamo sul bus per fare il tour guidato, lungo gli undici chilometri di una stradina a senso unico che attraversa il parco, unico mezzo autorizzato a transitarvi.

Ci inoltriamo lungo la “Strada dei Vulcani”, tra colate di lava, ormai pietrificate, enormi crateri e paesaggi mozzafiato.

In tutta quest’area si trovano ben centootto crateri vulcanici e ci sono ben ottocento specie di vegetali e animali, comprese due coppie di avvoltoi.

Finito questo emozionante tour con il bus, ci fermiamo in un luogo chiamato “El islote di Hilario”, dove assistiamo ad alcuni esperimenti geotermici; qui si trova pure il negozio di souvenir e il ristorante, dove, per grigliare la carne, utilizzano direttamente il calore che sale dalle viscere della terra.

Dopo un’ora e mezza, lasciamo il parco e puntiamo verso sud, per vedere la costa meridionale, ripercorrendo in parte il bellissimo rettilineo fatto all’andata.

Arriviamo al mare, pardon, all’ oceano, in prossimità delle Saline e ci fermiamo sulla spiaggia deserta per vedere bene lo spettacolo delle onde, e per raccogliere la sabbia nerissima da aggiungere alle sabbie di tutti i colori della mia collezione.

Percorrendo una bellissima strada costiera, arriviamo al paesino de El Golfo, e qui ci fermiamo a pranzo in un ristorante, “Casa Torano”, direttamente sugli scogli.

Il menù a base di aragosta e ogni altro ben di Dio, il buon vino locale, la cortesia del personale, la posizione, il rumore delle onde che si infrangono sotto di noi fanno di questo pranzo il migliore in assoluto fra quelli consumati in giro per il mondo.

Riprendiamo il nostro viaggio, dirigendo la prua, pardon, la Panda verso nord, perché vogliamo vedere anche la parte settentrionale dell’isola, risparmiata dalle eruzioni vulcaniche e arricchita da una florida vegetazione, grazie al clima mite durante tutto l’anno.

Ripercorriamo l’autostrada fino a Arrecife e poi imbocchiamo la statale che arriva fino alla punta estrema.

Noi ci fermiamo a “Jameos del Agua”, un sistema di grotte sotterranee trasformato dal grande artista Cesar Manrique in un’opera d’arte unica nel suo genere: si tratta di oasi sotterranee costituite da una laguna naturale creata dalle infiltrazioni del mare ed una piscina sapientemente integrata nell’ambiente, il tutto arricchito da una lussureggiante vegetazione.

Continuiamo fino all’estremo nord, al Mirador del Rio, un punto panoramico situato a 479 metri s.l.m., dal quale si dovrebbe godere di una vista mozzafiato sulle vicine isole di La Graciosa e Montana Clara; peccato che proprio quando arriviamo noi, un banco di nebbia assassino ci impedisce qualsiasi visuale, e dire che abbiamo avuto il sole fino ad ora!

Cominciamo il viaggio di rientro, percorrendo in discesa una strada interna, che attraversa l’unica zona coltivata a vigneti dell’isola, Los Valles, attraversando dei piccoli villaggi, tutti uguali, tutti belli.

Nel villaggio di Haria si trova la casa-museo di Cesar Manrique, l’artista più importante delle Canarie, pittore, architetto e scultore, oltre che grande ecologista e ovunque nell’isola ci sono le testimonianze della sua arte, che generosamente ha donato alla sua terra.

Alle cinque del pomeriggio ritorniamo al porto e riconsegniamo l’auto, dopo aver percorso la bellezza di 200 chilometri.

Bravo Stelio, hai guidato bene per strade e stradine di quest’ isola che ci è piaciuta tantissimo e dove torneremo sicuramente.

Hastaluego!

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27 aprile, Oceano Atlantico, in navigazione
Oggi giornata dedicata a vari festeggiamenti.

Con la fine ufficiale dei corsi di ballo e di ginnastica, c’è la consegna dei diplomi di partecipazione; prima, in piscina, vengono premiati tutti coloro che hanno frequentato i vari corsi di ginnastica ed il campo sportivo e io partecipo a pieno diritto alla festa, essendo stata coinvolta in tutte le attività sportive.

Foto, abbracci e ricordini con le nostre istruttrici Ana Luisa e Nicoletta e grandi feste con tutti gli sportivi.

A seguire, al Gran Bar Mirabilis, stessa cerimonia per tutti i ballerini, io compresa, con il commiato dai nostri favolosi maestri di ballo Giusy, Lia, Nicola, Carlos e Thiago; foto, baci, abbracci e tanta commozione.

A seguire, partita di pallavolo, senza commiato, però, perché il nostro campionato non è ancora finito e abbiamo ancora un giorno per l’ultima partita!

Che tristezza!!! Nel pomeriggio, in teatro, tutto lo staff dell’ Ufficio Escursioni, capitanato da Maria, ci regala il suo particolare commiato, con un video che ripercorre tutto il viaggio attraverso i momenti più belli di tutte le escursioni.

Anche qui, commozione a quintali, con i ragazzi del Tour Office che salutano ad uno ad uno tutti i presenti, quasi non ci volessero lasciar andare via…..e si che li abbiamo fatti sudare in tutto questo tempo!

Grazie anche a voi, per la pazienza che avete avuto, anche se a volte, ne abbiamo avuto tanta anche noi passeggeri!

Ciao Christian, il mio favorito, sei stato grande, e sempre sorridente!

In questo clima di generale commozione e gratitudine reciproche, ho dimenticato di scrivere che ieri sera Patrizia, la Direttrice di Crociera, ci ha fatto un altro regalo: tutti i partecipanti al saggio dei passeggeri sono stati invitati per un brindisi in piscina ed hanno potuto vedere sul maxi schermo il video del nostro spettacolo, che non avevamo potuto vedere, perché impegnati sul palco o confinati nel ventre del teatro.

Grazie Patti, sei sempre splendida!

Stasera ultima serata italiana, con grande festa in ristorante, per dare l’addio agli spagnoli che sbarcano domani a Malaga.

Adios Fernando y Gloria, Adios Esperancia y Daniel, siamo stati bene con voi e con todos los españoles, da domani saremo un po’ più soli!

 

 

 

28 aprile, Spagna, Malaga
Stanotte abbiamo cambiato per l’ultima volta il fuso orario e, dopo ben trentadue cambi e un salto di data, siamo tornati finalmente all’ora italiana.

Inoltre, avvenimento importante, abbiamo lasciato definitivamente l’Oceano Atlantico: alle tre di notte la Deliziosa, attraversa lo Stretto di Gibilterra, riabbracciando le più tranquille acque del Mediterraneo, lasciate quel lontano nove gennaio.

Stelio, con tanta buona volontà si alza dal letto per documentare questo passaggio e fotografa la Rocca di Gibilterra by night; non so quanti a bordo abbiano fatto altrettanto, equipaggio a parte, naturalmente.

Eccoci nella terza e ultima sosta in Spagna, paese che noi adoriamo per la bellezza delle sue terre, per il clima e soprattutto per il carattere dei suoi abitanti.

Stelio era già stato in passato a Malaga, capitale dell’ Andalusia e della Costa del Sol, mentre per me è la prima volta.

Fondata oltre duemila anni fa, Malaga è uno dei porti più antichi del Mediterraneo e conserva innumerevoli testimonianze storiche e artistiche, eredità di antiche civiltà.

Anche oggi ce ne andremo in giro da soli e ci serviremo del più pratico dei mezzi per scoprire la città, il Sightseeing City Bus, che abbiamo utilizzato spesso nel nostro girovagare per il mondo.

La giornata è splendida, cielo azzurrissimo e temperatura perfetta, le migliori condizioni per passare tante ore in giro sul bus o a piedi per la città.

Prima tappa, il Gibralfaro, l’antica fortezza della città, costruita nel sedicesimo secolo sul luogo dove i Fenici avevano edificato un faro.

Dalle sue possenti mura, si ammira un’incantevole vista panoramica sulla città, il porto, la baia e gli immediati dintorni.

Io giro tutta la fortezza in lungo e in largo, e faccio tutte le scale, qualcuna anche di corsa, mentre Stelio, come al solito, mi aspetta al fresco del giardino.

Riprendiamo il bus, che scende nuovamente verso il centro città e scendiamo a Piazza de la Merced, dove si trova la casa natale di Pablo Picasso, sede dalla Fondacion Picasso e del museo che custodisce cimeli e opere del grande artista.

Dopo la doverosa visita al museo e la foto di rito con la statua, riprendiamo il bus fino alla fermata del centro storico.

Passeggiamo piacevolmente per calles e avenidas, gustando la piacevolissima atmosfera che aleggia in questa città, dove tutto è molto pulito e curato e la gente sembra vivere senza alcun stress; bei negozi, locali tipici, tanta arte e cultura si fondono in un tutt’uno che piace ed emoziona.

Altra tappa d’obbligo é l’imponente Cattedrale, uno dei più grandi e significativi edifici del Rinascimento spagnolo; per entrare in quella che comunque è pur sempre una chiesa, ci tocca però pagare dieci euro, mentre abbiamo pagato la miseria di due euro alla fortezza e tre al museo di Picasso, perché Stelio è pensionato e pertanto non ha dovuto pagare!

Dopo il sacro arriva il profano sotto forma di un bellissimo negozio di ceramiche artistiche, dove Stelio si lascia tentare ed acquista un bel soprammobile, il tipico toro spagnolo disegnato con una grafica di ispirazione picassiana, il cui peso si aggiungerà al nostro bagaglio già in fase di preparazione.

Terminato il giro a piedi di tutto il centro storico, risaliamo per l’ultima volta sul bus per completare il giro, passando per i larghi viali esterni al centro, sul lungomare della spiaggia Malagueta, e per la zona del porto.

Arrivati al faro, chiamato La Farola, decidiamo di scendere definitivamente e tornare alla nave a piedi, sul bel viale costeggiato di palme che, partendo dal faro arriva al nuovo Terminal crociere.

Naturalmente io fotografo il faro da ogni angolazione, purtroppo senza salirci.

Stelio, ancora a digiuno, rientra a bordo prima che chiuda il buffet, mentre io mi fermo ancora un po’ in zona faro, prima di tornare per una via alternativa, cioè camminando sui pietroni in cemento esterni al viale, naturalmente dopo aver scavalcato il muro di sostegno, sempre per la serie….il pericolo è il mio mestiere!

Alle 18.00, orario di partenza, come ogni volta che la nave salpa, io e la mia amica francese Simone ci troviamo al ponte 11, per cantare “Partirò” sulla musica che esce dagli altoparlanti, per la penultima volta!

E cantando insieme a Andrea Bocelli, salutiamo Malaga, questa bellissima città, dove……….. ci si potrebbe anche vivere, Stelio dixit!

Per finire in bellezza questa bella giornata, aperitivo al Pianobar Excite organizzato da Margherita, in compagnia degli amici Italo, Flavia e Massimo, un bel modo per salutarci in tutta tranquillità, ricordando i tanti momenti belli di questo viaggio.

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29 aprile, Mar Mediterraneo, in navigazione
Oggi ultimo giorno di navigazione e un milione di cose da fare, tante cose da fare per l’ultima volta, con relativa coda di festeggiamenti, foto, baci e abbracci; per concludere un viaggio così ci vuole almeno una settimana per accomiatarsi da tutto e da tutti.

E allora si comincia con la pallavolo, per l’ultimo appuntamento con i miei compagni di gioco con i quali ho trascorso ore e ore sul campo al ponte 11, sfidando il fumo della ciminiera, il caldo soffocante, il freddo australe, il vento micidiale, e pure il mal di mare: Simon (Usa), Simone e Jean Luc (Francia), Juergen e Klaus (Germania), Sakata (Giappone), Chris e Roxi (Romania), Sergej e Boris (Russia), Peter (Olanda), e con la partecipazione straordinaria del fiorentino Paolo , ex nazionale italiano di volley.

Grande commozione alla fine in campo per la conclusione di questa bella avventura, un bel gruppo di amici accomunati dalla passione per questo sport.

Alle 11.00 tutti gli italiani in teatro per la riunione informativa con la Direttrice di crociera Patricia, riguardo tutto ciò che concerne le operazioni di sbarco a Savona.

Ultimata la parte prettamente tecnica, ecco il saluto di tutto lo staff, con la sfilata sul palco dei rappresentanti di ogni reparto.

E anche qui un mare di applausi, condito da qualche lacrimuccia, perché ormai tutti ci sentiamo parte di un’unica grande famiglia e sarà dura lasciare questo fantastico gruppo di persone che, con grandi sacrifici e tanto cuore, ha lavorato per noi e con noi!

G R A Z I E a tutti, siete fantastici e non vi dimenticheremo!

Nel pomeriggio, ultimo torneo di burraco, con gli amici di sempre; un plauso e un ringraziamento speciale a Franco che ha gestito con competenza e polso fermo questo variegato gruppo di giocatori, non tutti esperti di tornei, a volte indisciplinati, a volte rissosi, a volte troppo chiacchieroni, ma sempre vogliosi di divertirsi e passare insieme dei bei pomeriggi al Club Burraco Deliziosa.

In serata Cocktail di arrivederci con il Comandante Serra ed il suo Staff, con un toccante discorso di commiato.

A seguire ultima Cena di Gala.

Per finire questa stressante giornata, un po’ di ballo per sdrammatizzare questo clima di imperante commozione e tristezza per l’imminente fine del viaggio.

Per la prima volta in vita mia ballo un rock ‘n roll col mio maestro di ballo Nicola, fra l’ammirazione dei presenti e lo stupore di Stelio che non crede ai suoi occhi; evidentemente le lezioni private, che mi ha regalato, hanno dato i loro frutti, e meno male, perché lui ha investito nelle mie lezioni di ballo tutti i soldi che ha vinto al casinò giocando a Black Jack!.

Domani si arriva a Marsiglia, pertanto sbarcheranno i novecento francesi, con grande gioia di tutti gli altri passeggeri, che in questi quattro mesi di convivenza non sempre hanno apprezzato l’invadente maggioranza dei cugini d’Oltralpe; ma non tutti ci lasceranno, perché i nostri amici bretoni Gael e Simone e i nizzardi Alain e Michèle arriveranno con noi fino a Savona.

Aurevoir Helene e David, gli amici parigini compagni di ballo e di gite e adieu a tutti gli altri, che minacciavano la revolution per ogni cosa che non gli andava!

 

 

30 aprile, Francia, Marsiglia
Dopo 114 giorni si torna a Marsiglia, che avevamo lasciato il 7 gennaio, al secondo giorno di crociera; allora era pieno inverno mentre ora ci accoglie un bel tepore primaverile e il solito cielo azzurro.

Poiché la città già la conosciamo, decidiamo di fare un viaggetto fino a Aix en Provence che dista una trentina di chilometri.

Con un taxi raggiungiamo la stazione di Saint Charles, bellissima, sia dentro che fuori, e lì saliamo sul bus navetta che in mezz’ora ci porta nel capoluogo della Provenza; città universitaria e termale, è meta obbligata di chiunque passi per Marsiglia.

Cominciamo a passeggiare nelle sue stradine romantiche tra le signorili ville del XVII° e XVIII° secolo, dove si respira un’atmosfera molto sofisticata.

Raggiungiamo subito il cuore della città in Course Mirabeau, un incantevole boulevard alberato con fontane e tanti Caffè.

Dopo aver visto l’Hotel de Ville e la piazza del mercato, Stelio si ferma in un caffè per una pausa ristoratrice, mentre io proseguo il mio giro per tutte le vie del centro città: solo bei negozi con bella merce, tanti negozi di moda ma anche di prodotti artigianali locali, e l’immancabile lavanda, la vera regina di questa terra.

Non esiste in tutto quest’angolo di città un solo negozio di paccottiglia a buon mercato per turisti, niente McDonald o schifezzuole simili, solo prodotti di qualità.

L’unica cosa che un po’ disturba questo clima idilliaco è la scarsità di cortesia dei francesi, che non si sprecano certo in cordialità e sorrisi, e questo lo si nota ancor di più visto che siamo appena stati in Spagna, dove la gente è veramente cordiale; a dire il vero, dopo aver passato gli ultimi mesi in compagnia di novecento francesi, cominciamo ad essere stufi di questo loro modo di fare e non ci piace proprio la loro “grandeur”!

Ritrovato Stelio dopo un’ora di vagabondaggi, riprendiamo lo shuttle bus che ci riporta a Marsiglia, dove con un autobus urbano rientriamo al porto; solo che dalla fermata del bus ci sono ancora un paio di chilometri da percorrere a piedi prima di raggiungere il nostro terminal e questa sarà l’ultima camminata di questo viaggio…..io ho calcolato di aver percorso a piedi oltre 300 (trecento) chilometri fra giri al ponte 3 e camminate fuori nave!

Dopo un rapido spuntino, mi attende il lavoro di ultimazione bagaglio: le tre valigie grandi sono già partite ieri tramite corriere, e mi rimangono ancora quattro colli che verranno ritirati stasera; rimarremo “solo” con il bagaglio a mano, due zaini, un borsone e un borsello.

Alle 18.00 in punto la Deliziosa lascia la banchina del porto marsigliese e sarà questa l’ultima volta che si canta “Partirò”; per l’occasione si unisce a me e Simone la giapponesina Misao, con la quale formiamo un trio che si commuove e commuove i presenti sulle splendide note di questa canzone che ormai è diventata la colonna sonora del nostro giro.

Stelio, Gael e Sakata filmano orgogliosi questo bel momento offerto dalle loro signore.

Merci Simone, arigatò Misao, grazie amiche mie!

In ristorante, dopo cena, assistiamo alla sfilata del personale di tutta la ristorazione che saluta gli ultimi passeggeri rimasti, fra applausi e sentiti ringraziamenti.

Noi ci congediamo dai nostri camerieri indiani Brazil e Sahil e dai maître napoletani Giovanni e Salvatore, con i quali Stelio ha avuto spesso qualcosina da ridire.

Poi tutti al Gran Bar, dove nessuno però ha voglia di ballare, perché su tutto domina la malinconia di quello che è veramente l’ultimo saluto; dopo una settimana di celebrazioni, premiazioni, ringraziamenti e commemorazioni, stasera ci si saluta per l’ultima volta con gli amici, con i ragazzi dell’animazione e con la Spaziani Band, che hanno allietato tutte le nostre serate.

Baci e abbracci con tutti, con scambi di indirizzi e promesse di mantenersi in contatto anche dopo la crociera.

Il momento più toccante, quando la piccola e dolce Lia, la maestra di ballo brasiliana, mi abbraccia e scoppia in un pianto irrefrenabile, sembra quasi che non voglia farmi partire!

Così dopo un paio d’ore di saluti e magoni, ci ritiriamo per l’ultima volta nella nostra cabina, ma il sonno tarderà ad arrivare, troppe emozioni, troppi pensieri per l’oggi e per il domani, troppi ricordi di quello che ormai è già passato.

E’ proprio finita!

 

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1 maggio, Italia, Savona
Dopo 115 giorni in mare e 62.000 chilometri percorsi, Costa Deliziosa torna a casa, con il suo carico di persone, di valigie, di storie e di emozioni, accolta da un cielo grigio, come grigio è il nostro umore, al pensiero che oggi dobbiamo lasciare quella che è stata la nostra casa in giro per il mondo.

Dopo il commovente saluto a Patricia, Alejandro e Margherita, alle 10.30 scendiamo a terra, alle 11.00 partiamo col bus che velocissimo ci porterà fino a Mestre, dove salutiamo i nostri amici veneto-friulani; qui ci attende il nostro amico Paolo che ci porterà a casa a Monfalcone.

Il nostro rientro a casa è, come al solito, allietato dall’accoglienza che ci riservano i nostri cari vicini : androne e giro scala pieni di palloncini e cotillon, sul muro le bandierine dei paesi che abbiamo visitato e sulla porta un bel cartello di benvenuto fatto dai bambini, per non parlare del frigo pieno e di una torta per la colazione di domattina.

Che gioia riabbracciarli tutti, grandi e piccini, grazie amici !

Ora ricomincerà la nostra vita normale dopo quest’esperienza eccezionale!

Abbiamo provato emozioni incredibili, solcato oceani sconfinati, visto posti meravigliosi e inaccessibili, vissuto realtà lontanissime dal nostro modo di vivere, conosciuto culture e popoli così diversi da noi, abbiamo parlato in cinque lingue, abbiamo fatto nuove amicizie, il nostro fisico e anche il nostro spirito sono stati messi a dura prova, abbiamo resistito ad enormi sbalzi di clima e di temperature, abbiamo affrontato e superato lo stress che un viaggio così comporta, e tutto questo patrimonio resterà per sempre impresso nel nostro cuore.

Sarà dura tornare con i piedi per terra.

Ci vorrà del tempo per riprendersi dalla fatica fisica e mentale, per riordinare montagne di cose ed emozioni, per mettere a fuoco tutto quello che è stato e per conservarne i ricordi, ma nulla di questo fantastico viaggio cadrà mai nell’oblio.

E ora ci sentiamo a pieno titolo  cittadini del mondo!

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Capitolo 4

 

Report di viaggio

 

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“ Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo, né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. E’ il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile. ”
( Ryszard Kapuscinsky )

 

Testi e foto di Cristina con il “supporto tecnico-affettivo” di Stelio

 

Autore: dalsnibba

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